1. La storia della filosofia come disciplina autonoma
di LUCA BIANCHI
1.1 Dalle origini al Settecento
Nel primo libro della Metafisica Aristotele presenta il pensiero dei suoi predecessori, e queste pagine rappresentano la principale fonte per la nostra conoscenza dei presocratici, delle cui opere ci sono giunti solo dei frammenti. Sarebbe però errato pensare che egli intendesse fornire una storia della filosofia: il suo obiettivo era semmai mostrare l’inadeguatezza delle teorie dei suoi predecessori, per confutarle o per recuperarne gli aspetti validi e integrabili all’interno del suo pensiero. Resta che, anche in quest’ambito, Aristotele ha fornito un modello, ripreso da quanti – dal suo discepolo Teofrasto sino ai pensatori ellenistici e romani – hanno composto delle dossografie, cioè delle raccolte di opinioni dei filosofi. Molte di queste raccolte non presentano le dottrine secondo il loro sviluppo storico, ma sono organizzate per “scuole”. Ciò mostra come anch’esse siano nate da esigenze teoriche e didattiche: presentare il pensiero dei propri maestri o dei maestri delle scuole rivali serviva infatti a definire la propria identità dottrinale. Complementare a questo modello è quello biografico, la cui massima espressione si ha, nel III secolo d.C., con le Vite dei filosofi di Diogene Laerzio.
Questo genere letterario viene ripreso e sviluppato nella cultura medievale e rinascimentale: dal mondo islamico all’Inghilterra di Walter Burley (1275 ca.-1344) sino alla Firenze di Leonardo Bruni (1370-1444) le compilazioni dedicate alla “vita”, ai “costumi” e ai “detti” di uno o più filosofi si moltiplicano. Anche in questo caso l’approccio non è certo storiografico. Nel mondo cristiano, in particolare, ci si preoccupa anzitutto di mettere a confronto le opinioni dei filosofi antichi con gli insegnamenti della fede religiosa: un confronto che può insistere sui contrasti e denunciare gli “errori dei filosofi”, oppure valorizzare le convergenze, cercando di mostrare che gli antichi sapienti, benché pagani, avevano intuito ed espresso in forma mitica, velata o deliberatamente oscura alcune fondamentali verità poi universalmente rivelate nella Sacra Scrittura.
Se nel Quattrocento la riscoperta dei dialoghi platonici sconosciuti al medioevo alimenta aspre controversie sulla superiorità di Platone o di Aristotele, durante il secolo successivo prevale la volontà di mettere in luce la concordia fra i filosofi, e fra la tradizione filosofica nel suo complesso e la religione cristiana: minimizzata la portata delle polemiche, ridotte le divergenze dottrinali a mere differenze di metodo e di linguaggio, si cerca così di presentare il pensiero delle varie “scuole” come le diverse espressioni di un’unica verità universale, di una philosophia perennis che si sarebbe variamente manifestata nella storia. Quest’impostazione consente di rispondere alla sfida che la cultura europea si trova a fronteggiare quando, fra Quattrocento e Cinquecento, gli umanisti rendono accessibili non solo l’intera opera di Platone ma anche il pensiero delle grandi scuole ellenistiche (l’epicureismo, lo stoicismo e lo scetticismo), la tradizione orfico-pitagorica, l’ermetismo, il neoplatonismo, la patristica greca. La pluralità di dottrine trasmesse dall’antichità viene infatti legittimata e la distinzione fra le diverse “scuole” o “sette” non è più presentata come la prova della vanità della “sapienza mondana” – secondo la formula cara a tanti teologi medievali – bensì come un segno della ricchezza della cultura umana.
Proprio le “sette” filosofiche e il loro avvicendarsi nel corso dei secoli sono le protagoniste delle prime grandi storie della filosofia, prodotto tipico della cultura filologico-erudita dell’età moderna, nella quale i testi dedicati all’argomento si moltiplicano: si pensi alla Storia della filosofia di Thomas Stanley (1655), agli Historiae philosophicae libri VII di Georg Horn (1655), al De philosophia et philosophorum sectis libri II di Johannes Gerhard Voss (1657-1658), alla Istoria filosofica di Giuseppe Valletta (1704), all’Introductio praeliminaris in historiam philosophicam di Ephraim Gerhard (1711). Malgrado i loro limiti di metodo e di informazione, questi testi si segnalano perché rivendicano apertamente l’idea che la storia della filosofia può e deve essere una disciplina autonoma.
Solo con la cultura illuministica emerge però un approccio “critico”, spesso dichiarato sin dal titolo: è il caso della Storia critica della filosofia di André-François Deslandes (1737) e della Historia critica philosophiae di Jacob Brucker (1742-1744). Estesi alla filosofia moderna, questi lavori segnano un’autentica svolta: coniugando gli ideali illuministici con la critica della tradizione promossa nel Seicento dal cosiddetto pirronismo storico e dal libertinismo erudito, consacrata nel monumentale Dictionnaire historique et critique (Dizionario storico-critico) di Pierre Bayle, essi presentano lo sviluppo della filosofia come la progressiva affermazione delle conquiste della ragione. In particolare Brucker, pur dando eccessivo spazio agli elementi biografici, aneddotici e psicologici, non si accontenta di fornire una galleria di ritratti dei filosofi, bensì offre la prima presentazione sistematica e completa dello sviluppo del pensiero filosofico dalle origini sino ai suoi contemporanei, ricostruendo la genesi e la struttura logico-argomentativa dei vari “sistemi”. Non stupisce quindi che, percepita come qualcosa di radicalmente nuovo, la sua Historia critica sia stata accolta con grande interesse in tutta Europa e abbia fornito la principale fonte di numerosi articoli storico-filosofici dell’Encyclopédie.
L’idea che la storia della filosofia appartenga a una più ampia storia dello spirito umano e la nozione di “sistema” svolgono un ruolo centrale nella cultura degli ultimi decenni del Settecento e degli inizi dell’Ottocento. La classificazione delle diverse “sette” e la periodizzazione ritmata sull’affermazione e sul declino delle varie “scuole” vengono sostituite da un approccio sempre più speculativo, che si avvale di schemi esplicativi forti, fondati su nozioni filosofiche astratte: Kant vede la storia della filosofia come la “storia della ragione che si evolve in base a concetti” e afferma che essa è possibile “razionalmente, cioè a priori”; Hegel la trasforma in sapere assoluto, pensiero pienamente consapevole di sé e forma suprema dello spirito. Hegel è però convinto che questo sapere si sia costruito storicamente attraverso un processo dialettico: compito della storia della filosofia è proprio ripercorrere questo processo per mostrare come ogni filosofia esprima nel pensiero la sua epoca e rappresenti la confutazione e il “superamento” della filosofia precedente. In questo modo ogni filosofia appare come una realtà storicamente determinata, espressione del suo tempo, inscindibilmente connessa al contesto politico, sociale, culturale, artistico, religioso in cui nasce; ma è anche portatrice di una verità che è tale solo relativamente al suo tempo, e si riduce a momento dello sviluppo della verità assoluta, che coincide con il “sistema” di Hegel.
La storia della filosofia si identifica così con la filosofia, anzi con la filosofia hegeliana, che si presenta come il compimento dell’intera storia del pensiero e pretende di riassorbirlo integralmente in sé: la successione cronologica dei “sistemi filosofici” viene fatta corrispondere alla “successione che si ha nella deduzione logica delle determinazioni concettuali dell’Idea”. L’autonomia che la storia della filosofia aveva faticosamente conquistato nell’età moderna rischia così di andare completamente perduta: la valutazione dei “sistemi filosofici” del passato è operata tramite criteri esclusivamente teorici; spogliati della loro dimensione temporale e “accidentale”, cioè della loro storicità concreta, questi “sistemi” sono ridotti a fasi preparatorie, a tappe necessarie di una sequenza che necessariamente conduce all’autocoscienza e alla piena realizzazione dello Spirito.
1.2 Tra Ottocento e Novecento
Le conseguenze più radicalmente metafisiche della concezione hegeliana della storia della filosofia emergono nel neoidealismo italiano. Pur muovendo da premesse teoriche diverse, Croce e Gentile convergono nell’affermare (in modo più sofferto il primo, esplicitamente il secondo) l’identità di storia della filosofia e filosofia. Le filosofie del passato vengono così viste come anticipazioni e “precorrimenti” della filosofia idealista, sempre più poveri via via che ci si allontana da essa; interpretata “a ritroso” secondo schemi astratti, l’intera storia del pensiero viene fatta convergere a forza verso l’idealismo, che si configura come lo sbocco inevitabile dell’intero pensiero umano, interpretato costruendo “catene” di concetti fra i quali si danno rapporti esclusivamente “logici”. Nascono intanto attorno alla metà dell’Ottocento alcune storie della filosofia che costituiranno un classico del genere e sulle quali si formeranno intere generazioni di studiosi: si pensi al Compendio di storia e filosofia (1840) di Tissot o a La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico (1845-1852) di Eduard Zeller, senza dimenticare l’opera storica di filologi come Hermann Diels e Ulrich von Wilamovitz.
Un diverso aspetto dell’eredità di Hegel viene invece sviluppato nel pensiero tedesco dell’Ottocento e del primo Novecento. Come si è accennato, pur giudicando la filosofia come la forma suprema dello spirito assoluto, Hegel aveva sottolineato che le dottrine filosofiche sono strettamente legate alle contemporanee forme della vita spirituale – in particolare all’arte e alla religione – e al contesto politico-sociale. Così Marx e Engels, concependo la filosofia come un aspetto della sovrastruttura, hanno posto l’accento sul suo rapporto con le strutture economico-sociali e sulla sua funzione “ideologica” – vuoi come giustificazione mistificante del potere delle classi dominanti, vuoi come espressione della coscienza delle classi subalterne. Da Dilthey in avanti gli stor...