"Il femminismo è superato"
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"Il femminismo è superato"

Falso!

  1. 144 pagine
  2. Italian
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"Il femminismo è superato"

Falso!

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Informazioni sul libro

Dalle battaglie delle femministe 'storiche' alle ragazze della youtube generation il punto resta la difesa dei diritti delle donne. Perché vanno difesi ogni giorno e di nuovo conquistati. Non possono mai essere dati per scontati. Le donne lo sanno. Lo sapevano le ragazze di ieri, devono saperlo le ragazze di oggi.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788858132333
Argomento
Economics

1.
Generazioni a confronto

Io non sono femminista.
Il femminismo è come il maschilismo.
Il femminismo è la supremazia della donna sull’uomo.
Ho sentito bene? Sì. Molte ragazze mi hanno detto proprio così. Ma ho capito bene? Riavvolgo il nastro...
Con Sara, sedici anni, occhi dolci color nocciola, sono seduta su un praticello verde, morbido, che profuma di erba appena tagliata. È uscita da poco dal liceo scientifico che frequenta, a Bologna. I suoi amici e amiche mi guardano e sorridono. Poi si allontanano. Lei è l’unica che accetta di parlare. A patto di rubarle solo pochi minuti...
«Per come la penso, femminismo significa che la donna è superiore. Io credo nell’uguaglianza tra uomo e donna. Non c’è la superiorità né dell’uno né dell’altra, molto semplicemente. Quindi femminismo per me ha una connotazione negativa».
Addirittura negativa?
«Sì, perché è la donna che vorrebbe essere superiore all’uomo. Una volta era diverso: quando in passato le donne erano discriminate e c’era la superiorità dell’uomo, loro hanno cercato di diventare uguali e ottenere gli stessi diritti».
E adesso secondo te siamo uguali?
Sara si ferma e ci pensa. Era partita in quarta, spedita. Adesso non sembra più molto convinta. I suoi occhi cercano una risposta inseguendo le nuvole che corrono sopra di noi: «Non lo so».
Forse ci sono alcune cose da fare, ma in un altro modo?
«Esattamente! Non sono informata sulle questioni legali. Però, sicuramente, sotto certi punti di vista la donna è considerata inferiore. Quindi si dovrebbe fare qualcosa per arrivare all’uguaglianza. Il modo poi si deve vedere».
Con delle nuove leggi?
«Sì, magari con delle nuove leggi».
Giada ha diciassette anni. Capelli striati di rosso e vari piercing disseminati in giro per il viso, nelle orecchie, sulla lingua. Ha un’aria sicura, anche aggressiva. La guardo e sembra che stia pensando: «Ma da me che vuoi, lasciami stare, non ho tempo da perdere con te».
Però ormai ha preso un accordo con la sua insegnante di architettura. Lei è tra le poche ragazze che hanno accettato di incontrarmi. Forse per saltare qualche ora di lezione come facevo anche io? Penso di sì. Ormai è con le spalle al muro e deve rispondermi.
In che senso il femminismo è come il maschilismo?
«Nel senso che gli stessi atteggiamenti che hanno gli uomini li hanno anche le donne. Rispetto le femministe che hanno creduto in qualcosa e l’hanno raggiunto. E le stimo. Però non stimo tutte le altre donne che oggi diffondono il ‘loro’ femminismo. Soprattutto per come lo fanno. Non c’è bisogno di etichettarsi. Io ho la mia posizione, ma come essere umano».
Solo l’idea di definirsi femminista per Giada è quasi un’offesa. La sua libertà di ragazza è un dato di fatto, acquisito. Mentre Elena – che prende comunque le distanze dal femminismo – non ha una posizione così radicale: «Non sono femminista, però credo nella parità dei sessi».
Esco dal liceo, vorrei sentire qualche altro parere. Convinco alcune ragazze a dirmi quello che pensano, senza professoresse e professori intorno ad ascoltarci. Nessun problema, mica hanno paura degli insegnanti. Loro dicono sempre quello pensano!
Carla non ci riflette neanche un attimo: «Io non sono femminista. Non ho nulla da rivendicare, se non come persona che non è inferiore a un maschio. E basta».
E Monica: «Se per femminismo si intende una parità, allora sì, sono femminista. Però, se invece s’intende una superiorità della donna, allora no».
Sofia mi spiega che molte delle sue coetanee dicono di non essere femministe perché intendono il femminismo come un movimento che cerca di affermare la superiorità delle donne sull’uomo. «E questo è sbagliato. Perché oggi ci troviamo in una situazione diversa. Ci sono diritti paritari. Così è ovvio che anche la forma di protesta è diversa. Trovarsi in un periodo in cui la donna era maltrattata ha portato a una reazione più violenta e più cinica. Sicuramente adesso non serve».
Quindi Sofia crede che negli anni delle battaglie femministe ci siano state manifestazioni violente da parte delle donne per ottenere i loro diritti. Ma non le critica, perché «una ci si deve trovare, in quella situazione. E in certi casi serve anche una forma di protesta più efficace».
E Marzia? Mi guarda con i suoi grandi occhi verdi che sembrano disegnati dalla mano del pittore olandese Jan Vermeer. Conosci alcune delle lotte portate avanti dalle femministe in Italia negli anni Settanta? Mi risponde subito di sì. Sì, le conosce... le suffragette! Le ricordo che le suffragette erano in Inghilterra, nel primo Novecento. Lo sa, è solo un esempio. E mi dice che ovviamente i tempi erano diversi e i diritti da ottenere erano altri e «noi ragazze ne abbiamo molti di più adesso».
E la parola ‘autocoscienza’ ti dice qualcosa?
I suoi occhi mi fissano ancora, come se avessi pronunciato una parola di una lingua straniera. Scuote la testa di riccioli bruni, gli occhi verdi si socchiudono a cercare la memoria di un’informazione che non c’è... Sul viso si disegna il vuoto. No, quella parola non le dice proprio niente.
Era molto usata negli anni Settanta. Le donne, riunite in gruppi, parlavano tra loro della propria vita: di amore, di sessualità, di relazioni familiari. Prendevano coscienza del fatto che loro stesse avevano interiorizzato una visione maschile del mondo. Era una pratica che ha consentito alle donne di trovare se stesse e di liberarsi dal peso incombente del patriarcato. Attraverso la condivisione.
Marzia vorrebbe dirmi di sì, che la conosce. Ma non può mentire. «È una parola poco conosciuta...». Si corregge, la parola l’ha sentita, solo che non è informata più di tanto sull’argomento. E fa autocritica: «È sbagliato, lo so, dovrei approfondire. Altrimenti tutto quello che le donne hanno fatto in passato è inutile».
Autocoscienza?
Cristiana prova a indovinare, improvvisa.
«Sarebbe quella vocina che dovremmo avere ognuno dentro di noi...».
Ridiamo insieme.
A Giulia, anche lei ancora minorenne, chiedo se sa che noi donne possiamo votare solo da settant’anni.
«Non so proprio tutto, ma questo sì, lo so. Però m’interesso fino ad un certo punto».
Per te femminismo che cosa significa?
«Che le donne possono fare le stesse cose che possono fare gli uomini. Parlare in pubblico, votare...».
E ti sembra che dobbiamo fare qualcos’altro per noi, oppure no?
«Qualche altro passo in avanti potremmo pure farlo. Non so benissimo in che ambito, però; per esempio, dovremmo avere gli stessi soldi e gli stessi posti da dirigenti».
Il clacson di un’auto ci distrae, Giulia ne approfitta per guardare l’orologio. Sorride alla sua amica che la sta aspettando. È irrequieta, si vede che si sta annoiando e vorrebbe andarsene...
Ma con tua mamma parli mai di queste cose? Ti ha detto qualcosa sul femminismo?
«Siamo andate insieme a vedere un film, Suffragette, che parlava delle donne che combattevano per avere il diritto di votare e lei mi ha spiegato che alcune sono anche morte. Quel giorno ne abbiamo parlato molto».
E a scuola, con i tuoi compagni, parli di questi argomenti?
«No. Non è un argomento di cui si parla».
Ecco. Di femminismo non si parla. Inoltre la parola non rimanda immediatamente, come io ho sempre pensato, a un momento storico positivo in cui le donne hanno lottato per raggiungere una posizione migliore all’interno della società. Quindi, per cominciare a parlarne, forse è il caso di iniziare dalla base: una ricerca sul vocabolario della lingua italiana, ad esempio. Nello Zingarelli alla voce Femminismo si legge: «In senso storico, movimento tendente a portare la donna su un piano di parità con l’uomo per quanto riguarda i diritti civili e politici e le condizioni socio-economiche. In senso più recente, movimento che pone l’accento sulla posizione antagonistica della donna rispetto all’uomo in ogni contesto sociale – anche privato –, culturale e politico, e sulla riscoperta in senso antitradizionale di alcuni valori tipicamente femminili».
Sul «senso storico» sono d’accordo. Sul «senso più recente», invece, mi sembra che ci sia un po’ di confusione, e non solo tra le nuove generazioni. Ciò che mi appare chiaro, però, è che le ragazze della cosiddetta generazione dei millennials associno alla parola femminismo un significato negativo. E non vogliono essere etichettate come femministe.
Non vorrei generalizzare, ma avendone incontrate molte posso dire che questo «fastidio» è comune alla maggior parte di loro. Non vogliono essere incasellate. Non amano essere accomunate ad altre ragazze sotto un’unica definizione. Loro hanno una posizione, sì, ma «come esseri umani», mi ha detto Giada; come «persona», mi ha detto Carla. Dunque come individui. Singoli.
È l’esatto contrario di quanto avveniva tra ragazze e ragazzi negli anni in cui è nato il movimento femminista. Si voleva appartenere a un gruppo. Si aveva un ideale comune. Si cercava una linea di comportamento e di azione insieme, individuando un obiettivo da raggiungere. Ambizioso anche per il femminismo – oltre che per il comunismo –, che voleva abbattere le gerarchie del sistema patriarcale nella società italiana degli anni Settanta.
Anche al femminismo è toccata la sorte degli altri «ismi» legati a un’epoca che non esiste più? Socialismo, comunismo... la fine delle ideologie. Forse sì. La fine di quel «sentire comune», dell’appartenenza a una comunità con gli stessi valori; una comunità in cui i singoli riuniti in un gruppo condividevano le stesse necessità e gli stessi desideri.
In un insolito pomeriggio piovoso, nel caos romano di Trastevere, incontro Silvia, una perfetta rappresentante delle millennials. Ha 22 anni, è spigliata ed esuberante. Bellissimi capelli lunghi, con mèches bionde e castano chiaro, molto curati.
I clacson azzerano ogni altro suono, ci rifugiamo in un bar con dei tavolini interni. Il proprietario è gentile, ci fa stare al caldo. Colazione tipica, cappuccino e c...

Indice dei contenuti

  1. Prologo
  2. 1. Generazioni a confronto
  3. 2. I diritti delle donne: una storia recente
  4. 3. Le parole per le donne: vecchi e nuovi stereotipi nel linguaggio
  5. 4. Il campo di battaglia del corpo
  6. 5. Legami pericolosi
  7. Epilogo