Non mancherò la strada
eBook - ePub

Non mancherò la strada

Che cosa può insegnarci il cammino

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Non mancherò la strada

Che cosa può insegnarci il cammino

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Mettersi in cammino vuol dire scegliere un'altra vita. Una vita semplice, in cui ogni incontro è una porta, ogni volto un viaggio, ogni sentiero una via per esplorare se stessi e il mondo. Farsi nomadi per essere liberi. Un libro prezioso che ci esorta a incamminarci, ciascuno con il proprio passo, verso il nostro destino.

«Ci sono estati chiuse come scatole, sigillate. Sono estati che trascorri in una stanza, in ufficio, o su un letto d'ospedale, in una cella, in uno spazio delimitato da pareti che ti sono ostili. A volte è il lavoro che ti costringe alla clausura, altre volte la malattia, tua o di un tuo caro, oppure la necessità di concentrarti per originare un'opera, o è la depressione che ti impedisce di uscire. Sei rinchiuso in un buio che non se ne va nemmeno quando spalanchi le finestre. Sei al centro della stanza ma è come se non ci fossi. Capitano estati così. È da quel buio che nasce il desiderio incontenibile del cammino. Non è desiderio di andare in ferie dopo un anno di lavoro. Chi è al centro del buio non ha bisogno di ferie, non sa che farsene. Né di spiagge, di hotel, di baite, di centri storici, di musei. Chi sta in quel buio vuole di più. Vuole solamente una cosa: il cammino». Luigi Nacci, originale cantore della 'viandanza', della vita come cammino, si interroga sul valore che ha in questi tempi concitati e iperconnessi la pratica ancestrale e stravolgente del viaggio a piedi.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Non mancherò la strada di Luigi Nacci in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Social Sciences e Popular Culture. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788858148662

Intermezzo
Diari romei

Prima della partenza

Piove a Lucca. È quasi sera. Sei in una stanza alla Misericordia. Un appartamento in cui ciascuno offre ciò che può, a pochi metri dalla chiesa di San Michele in Foro. La svettante statua di san Michele laddove una volta c’era il foro romano. Esci, vai alla chiesa. È chiusa. Ti fermi a guardare. Da lontano ti pare san Giacomo con la bisaccia. Autosuggestione. Pioveva, ha smesso, sta per piovere di nuovo. Pensi al Volto Santo, conservato nel Duomo di San Martino, e a come sia divenuto popolare in tutta Europa, a come sia finito impresso sulle monete. Il foro, i commerci, le monete, i santi, le reliquie, tutto insieme, tutto tiene. Ecco qua, signore e signori: il pellegrinaggio.
Ripensi a un articolo che hai letto di recente: a Sarria, cittadina a cento chilometri da Santiago, ha aperto il diciassettesimo ostello per pellegrini. 13.508 abitanti, dice Wikipedia, diciassette ostelli. Guerra tra gestori per accaparrarsi i clienti (sì, i clienti): pubblicità incastrate nei cespugli, tra i rami, sopra e sotto i sassi. Tutti a strapparsi i capelli, oh che schifo, che vergogna, non c’è più il cammino di una volta. Invece sì, anche una volta era così. Gli osti delle locande di Ferrara venivano a prenderseli a Treviso e a Padova, i pellegrini. Perché portavano soldi, esattamente come li porti tu.
Sei sulla Francigena. La prima volta fu alcuni anni fa. Incontrasti venti pellegrini in un mese. Quanti ne incontrerai stavolta? Per il momento una coppia di francesi in bicicletta, sulla cinquantina. Veterano del Cammino di Santiago lui, Carmelo, genitori spagnoli, buona parlantina. Taciturna lei, di lei non saprai nulla fino al momento dei saluti. Solo il nome: Agnese. Qui non c’è la bolgia che c’è in Spagna. Parlate di questo. Si parla ormai sempre di questo, tra viandanti. Forse se ne parla troppo. O semplicemente si parla troppo. O meglio: tu parli troppo.
Perché sei tornato? Che cosa vai cercando? Quali e quanti propositi hai, li sai rendere chiari a te stesso? Quanto silenzio riuscirai a fare? Le tristezze che ti trascini da casa, quanti chilometri reggeranno? Scivoleranno via da sole o toccherà a te spingerle via? Riuscirai a dimenticare ciò che va dimenticato? E a trattenere i lineamenti dei volti cari? A non giudicare? A dimenticarti come ti chiami? Sarai un essere umano migliore, o rifarai gli stessi errori?
Buon cammino, ti dici. Prenditi cura di te, aggiungi. Oh! Prenditi cura di te. Non è scontato. Spegni la luce. La riaccendi. Hai ancora una domanda da annotare prima del sonno. La solita. Quella che torna e non ti molla, ti azzanna la gola, come una belva.
Che ci faccio qui?

Est, ovest, tutto tiene

Fai colazione in piazza San Giusto. Contempli assonnato la facciata della chiesa intitolata al santo della tua città. Un suv russo parcheggiato all’ingresso. Entri in chiesa anche se non credi. Ci entri sempre, nelle chiese, quando sono aperte. Perché sono luoghi silenziosi. Il silenzio pare ormai possibile solo in chiesa – e in cimitero. Non in treno, a volte nemmeno sul sentiero. Forse perché in chiesa e in cimitero si viene costretti a pensare immediatamente alla propria morte. Entri e il prete recita l’Ave Maria, la ripete più volte. Seduti una decina di anziani. Ripetono anche loro. Come se il silenzio potesse essere seguito solo dalla parola ripetuta, ripetuta al punto da essere puro significante. Rintocco di campana, vibrazione proiettata in un altrove.
Esci, vai in piazza dell’Anfiteatro. Ti ricordi – l’avevi sepolto – che ci sei stato qualche anno fa con degli amici spagnoli, degli hospitaleros del Cammino di Santiago. Tra quelli una carissima donna, una maestra alla cui casa, in Spagna, eri arrivato a piedi. È morta da pochi mesi, non riesci a pensarla. Per cui ti anticipi, allarghi il passo, vai al Duomo di San Martino. L’entrata è a pagamento. Chiedi se i pellegrini paghino. Sì, ti viene risposto. Non dici nulla, saluti e te ne vai. Fuori un cartello spiega che a entrare gratuitamente sono i residenti di Lucca e provincia. Sei felice perché non ti sei arrabbiato. Tu non sei nessuno. Prosegui. Esci dalle Mura, inizi un percorso asfaltato di strade trafficate e laterali. Sei felice un’altra volta, perché non maledici l’asfalto. Nemmeno il paesaggio industriale di Porcari o l’auto che sta per investirti sulle strisce pedonali. Sei felice perché almeno questo l’hai imparato. Il cammino è humus e calcestruzzo, bosco di conifere, bosco deciduo, bosco misto, bosco raso al suolo, prato all’inglese, discarica, strada senza marciapiede, automobilista prepotente, anziana donna che ti offre dell’acqua, e poi le presenze, soprattutto le assenze. Tutto tiene in cammino. I volti dei vivi e i volti dei morti. Se anche in te tutto tiene, allora sì, ci sei dentro.
Rispetto a quando hai fatto la Francigena per la prima volta la segnaletica è migliorata. Ci sono simboli e cartelli di tutti i tipi, impossibile perdersi. Ringrazi chi si è adoperato per questo, a partire dai volontari. Senti che qualcuno si sta prendendo cura di te, prima che di te: della tua solitudine. Certo arriva il momento in cui i troppi segni ti soffocano, come una madre troppo apprensiva, allora cambi strada. Ma sapere che tua madre è lì vicino ti rassicura. Non è una foresta vergine, è un perdersi lieve, come un andare sovrappensiero. Come fumare dopo un grosso pranzo. Uno stare a galla a pochi metri dalla riva, nel Mediterraneo di agosto.
Ti salutano in tutto quattro persone: due giovani lombardi a passeggio, che addirittura ti fermano per parlarti; un giovane netturbino con accento slavo; un ragazzo di colore in bicicletta che se ne va cantando, molto sorridente, molto più che lieto. Per gli altri sei invisibile. E pure essere invisibili ha il suo fascino. Ti fermi sotto un portico a mangiare qualcosa, a qualche metro dalla strada provinciale, per ripararti dalla pioggia. Sei buttato a terra, nessuno ti nota. Hai tirato fuori la roba dallo zaino e l’hai sparsa per metri. Come farebbe un senzatetto, pensi. È il tuo modo di appropriarti dello spazio. Piantare la tenda. Fare una buca e metterci dentro un palo. Arrampicarsi sul palo con costanza, avvicinarsi al cielo, poi piantare un altro palo, su, poi sempre più su.
Sei solo ma non ti senti solo. Quando sei entrato nella cappelletta laterale della chiesa di San Quirico e Giulitta a Capannori, hai ripensato alla mattina. Vedi scritto: saroconvoituttiigiornifinoallafinedelmondo. Proprio così. Le parole strette una all’altra per confortarsi, come uomini sbigottiti di fronte al silenzio, bisognosi di essere protetti, di non essere lasciati alla mercé del buio. Il buio più buio, quello della fine del mondo. Il terrore della morte accanto al terrore della fine di tutto. Ti siedi. Pensi che, se cammini, lo fai anche per non essere assoggettato al terrore. Vuoi stare non con tutti, ma con alcuni, e non fino alla fine di tutto ma fino a quando sarà possibile, vuoi che questo vostro stare assieme sia libero, pieno, vuoto e pieno allo stesso tempo. Che venga dalla necessità di condividere, non dalla paura.
Altopascio ha sulle spalle la tradizione dei Cavalieri del Tau. Il Comune accoglie i pellegrini, anche qui, come alla Misericordia di Lucca, senza chiedere nulla. Chi può, offre. Siete sei: tu, i due francesi di ieri, uno scozzese, un neozelandese, un tedesco. Saluti ma non hai voglia di socializzare. Sai che arriverà il momento, nei prossimi giorni. Vai in panetteria, ti fai preparare un panino, esci e cerchi una panchina. La trovi in piazza Gramsci. Ti senti grato di sederti lì, di mangiare lì, di essere attorniato da panchine: ne conti almeno otto. Praticamente quante se ne possono trovare nel centro della tua città, o quasi. Le panchine sono importanti. Andrebbero difese come alberi. Bisognerebbe fondare la Guardia Panchinale. Mangi, pensi a Gramsci. Non hai però l’acqua, e sta per andarti di traverso la mollica. Vedi un bar pizzeria di fronte a te. Fuori solo uomini. Ti ricorda i bar di piazza Garibaldi, a Trieste, dove si ritrovano i tuoi concittadini balcanici. Quando ti avvicini, capisci che potresti essere proprio in piazza Garibaldi. C’è tanto est, dove c’è est tu gioisci.
Entri, alla tua destra una bandiera dell’Albania. L’aquila reale, la maestosa. Il barista ti chiede cosa desideri. Tu con la voce strozzata dici: acqua frizzante col limone per favore. Bevi, ritorni a respirare. Chiedi quant’è, quello alza le sopracciglia interdetto. «L’acqua non si paga», ti dice. Tu sorridi. Lo ringrazi. Gli vorresti stringere la mano. Quell’uomo non immagina che domani tu camminerai risoluto grazie a lui. Est e ovest, in cammino tutto tiene.
[Lucca-Altopascio]

Si prendono cura di te

Non hai mai scritto un diario durante il cammino. Tenti di farlo ora. È disagevole perché, anche se da fuori potrebbe sembrare assurdo, manca il tempo. Fare lo zaino, fare colazione, controllare le mappe, stirare i muscoli, osservare il paesaggio, quello esterno, quello interno, salutare e venire salutati, fermarsi a parlare con gli umani, con i coleotteri, con i cani randagi, entrare nelle chiese, nei bar, fermarsi a leggere sotto una quercia, fare foto, annotare qualche parola densa, mangiare, riposare, rimettersi in marcia e di nuovo tutto daccapo, fino al tetto che ti proteggerà. Quando hai tempo, è ormai sera, sei estenuato. Devi riposare, sennò il giorno dopo i piedi non gireranno. Scrivere in cammino è un travaglio.
C’è il mercato ad Altopascio. Favelle locali si mischiano a dialetti meridionali e lingue straniere. Ti mette allegria. Esci e poco dopo abbandoni la strada per addentrarti nel Parco delle Cerbaie. La Via Francigena, nel tratto toscano, è stata da poco messa totalmente in sicurezza. Ci sono voluti anni e tredici milioni di euro, hai letto. Sono stati denari pubblici ben spesi. Da fuori potrebbe sembrare di no, ma da dentro, dal cuore della strada, ringrazi chi ha scelto di investire così i soldi di tutti, di non averli dirottati sull’Alta Velocità, su opere pubbliche inutili o dannose. Il Parco delle Cerbaie è un tripudio di farnie, ontani, pini marittimi, felci. La robinia si è insediata anche qui, e molto rapidamente. Alzi gli occhi dallo schermo e te la ritrovi davanti e ai lati, presidiata da un paio di cipressi.
Arrivi a Ponte a Cappiano e trovi una piazzetta che pare di stare in Sicilia. La rosticceria ambulante, dieci crocchette un euro, la frutta allo stesso prezzo a pochi metri, il bar sotto il cui tendone gli uomini si riparano dal sole. Due anziani con gli stuzzicadenti in bocca, altri quattro che giocano a carte, due signori che leggono la «Gazzetta dello Sport», che si infervorano a discutere di tattiche e allenatori. Nessuno attaccato al cellulare. Parlano tra di loro e si passano i silenzi l’un l’altro. Perché dovrebbero avere bisogno di telefonare a qualcuno o di scrivere una cazzata su facebook, come fai tu? Anche quando bestemmiano hanno una certa grazia. I toscani in questo sono insuperabili.
Superi il ponte, pensi all’Armata Brancaleone che su questo ponte passò, e non possono non venirti in mente gli amici. Pensarli mentre cammini non è come farlo da fermi. Camminando le sagome dei tuoi amici si ingrandiscono, sono giganti amorevoli. Giri a sinistra e sei sull’argine, poi giri a destra e ne prendi un altro, gli argini sono vie miracolose. Ci trovi le piante invasive, l’immancabile robinia, ma pure gli uccelli acquatici, con quel loro timido modo di stare al mondo, il sollevarsi di scatto al percepire il tuo arrivo, il loro febbrile sbattere d’ali. Ti incitano ad aumentare il passo, ti danno il ritmo. Ti ricordano che sei un migrante.
Sono gli argini a farti entrare dolcemente a Fucecchio, dove una signora dai capelli rossi ti saluta. È la prima persona che oggi ti saluta. Sali al paese, alzi la testa e scopri la casa natale di Indro Montanelli. L’Arno è a pochi passi, lo superi, svolti a sinistra, ti imbatti in dei bambini cinesi che giocano. Oramai a giocare in strada vedi solo cinesi o altri bambini stranieri. Quelli italiani sono chiusi in casa, ipervigilati, protetti non si sa da cosa e da chi. Dalla strada? La strada è accogliente, se tu sei accogliente. E allora evviva i bimbi cinesi! Evviva i bimbi rom, i bimbi albanesi, i bimbi rumeni! Speri che vadano a suonare i campanelli delle case in cui sono rinchiusi i bimbi italiani, che li invitino a scendere, che si prendano la strada tutti assieme. Se avrai un figlio, lo affiderai alla strada.
A San Pierino rischi di essere investito a una rotonda, poco dopo ti rimetti sulla via giusta, quella lontana dai camion. Abbiamo fatto l’Italia, si diceva, ora s’ha da fare gli italiani. Ecco, la Francigena l’abbiamo fatta, ma i francigeni? Bisognerà lavorarci. Sapendo che i convegni e i corsi bastano fino a un certo punto. La gente qui sa della Francigena, però sapere non è sufficiente, bisogna averne fatta esperienza sul proprio corpo, bisogna avere camminato e avere chiesto dell’acqua, avere sofferto il calore del mezzogiorno e la pioggia che non cessa, avere dormito male sotto un portico, bisogna insomma tornare a essere quello che siamo stati. Almeno fino a cinquant’anni fa. La gente di qui deve capire che ha, a pochi metri dalla propria casa, non un sentiero, quanto un’altra possibilità di vita, il legame diretto con le generazioni precedenti, con tutto ciò che è avvenuto di mirabolante dopo le guerre e le carestie, dopo le macerie. Se uno torna a far esperienza dell’unione tra gli uomini dopo le macerie, si fermerà prima delle strisce, tirerà giù il finestrino, saluterà con un colpo di clacson, ti chiederà quale buona nuova porti, forse ti inviterà a casa sua. La viandanza è la danza che si fa tra le macerie, quando tutto deve ricominciare.
Arrivi a San Miniato Basso. Ti accoglie ancora una volta La Misericordia. Arriva Mario, l’hospitalero, con un attestato per te. C’è il tuo nome sopra. Lo ringrazi. Ci sono tre nuovi pellegrini. Un giovane al suo primo cammino e una coppia di veterani che hanno fatto Santiago molte volte, adictos, tossici del cammino, come te. Ti salutano subito, sorridono, forse perché, come te, hanno imparato a sorridere in quel modo in Spagna. Vai a dormire contento. La tappa è stata bella. Hai parlato con qualcuno. C’è gente che si è presa cura di te, senza sapere tu chi sia, quale sia il tuo lavoro. Pensi che la vita, vissuta con questo sudore, questa polvere e queste parole, sia tutto ciò a cui puoi aspirare.
[Altopascio-San Miniato Basso]

Chiamarsi per nome

La partenza da San Miniato non è come le altre. Passi una ventina di minuti a chiacchierare con la coppia di pellegrini che hanno diviso con te la stanza. Sul Cammino di Santiago accade sempre, perché c’è molta gente, qui sulla Francigena ancora no. Entrambe le situazioni hanno pro e contro, e tu sei qui per far divenire ogni contro un pro. Parlare con la coppia di pellegrini di Fano ti ricorda che il cammino è incontro, che senza chi percorre la via, la via non esisterebbe. Quando li saluti e inizi la salita, ti rimetti nella tua solitudine come ci si mette in un abito nuovo, ne prendi le misure, fai in modo di sentirti a tuo agio.
Fai colazione in bar ed hai la pessima idea di leggere il giornale. La prima pagina è sul governo battuto in Senato, insulti, svenimenti, non vai oltre. Non è disgusto, è lont...

Indice dei contenuti

  1. Fai il primo passo fai tutto daccapo
  2. Esci di casa all’ora sbagliata e parti
  3. Raduna in te tutti i bivi
  4. Onora il tasso e il ginepro
  5. Vai verso un punto saliente
  6. Intermezzo Diari romei
  7. Rendi il tuo passo incerto
  8. Spedisci i tuoi respiri
  9. Che ci faccio in questa lontananza
  10. Credi a ciò che il lampo ha da dirti
  11. All’amico svanito oltre la curva
  12. Ci sono foreste da cui non si esce
  13. Post scriptum
  14. Ringraziamenti