Oligarchi
eBook - ePub

Oligarchi

Come gli amici di Putin stanno comprando l'Italia

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Oligarchi

Come gli amici di Putin stanno comprando l'Italia

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Soldi, molti soldi, traffici opachi, storie di spionaggio. Un viaggio nel potere segreto degli oligarchi, un gruppo ristretto di persone spesso legate a Putin e connesse tra loro che ha conquistato un'influenza in Italia decisamente allarmante.

Secondo studi recenti la Russia ha la quota più alta al mondo di dark money, soldi opachi detenuti all'estero: un trilione di dollari. Si stima che un quarto di questi sia collegato a Vladimir Putin e a suoi stretti associati, e il Cremlino sembra sempre più capace di pilotare operazioni aggressive. L'Italia è uno dei pezzi di questo grande gioco: gli oligarchi russi in Italia investono e comprano grandi proprietà. Agiscono portando avanti attività che sono a volte al confine con lo spionaggio. Il libro ricostruisce la loro rete di rapporti in Italia: troveremo i rapporti dei servizi segreti italiani sugli investimenti fatti per sostenere operazioni di influenza politica, i passaggi in Italia degli avvelenatori di Skripal, la ricostruzione puntuale dei giganteschi flussi di denaro dalla Russia verso il nostro paese. Così come le relazioni e le onorificenze della Repubblica a personaggi sanzionati da Usa e Ue e le timidezze dei due governi Conte. Vicende che sembrano uscite da un romanzo di John le Carré, ma che sono drammaticamente reali e ci riguardano da vicino.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Oligarchi di Jacopo Iacoboni, Gianluca Paolucci in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Economia e Politica economica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858147177
Argomento
Economia

1.
Lebedev

Questa è, anche, una storia di cani. L’ultima foto che abbiamo di Vladimir, un grande Borzoi bianco, un cane lupo di proprietà di Evgeny Lebedev, il quarantenne magnate russo editore dell’«Evening Standard», è stata postata su Instagram dal suo stesso proprietario nel novembre 2018. Il giovane Lebedev definiva quel cane «il mio orgoglio e la mia gioia» e, secondo quanto ha riportato Open Democracy, ha confidato che quell’avvelenamento era un avvertimento. Da Mosca. Un cane morto avvelenato. In una lussuosa tenuta in Italia, in Umbria. Un miliardario russo che sospetta di altri russi. Sembra la trama di un romanzo, ma questa è una storia vera. Mancano solo le spie. O forse no.
Ecco come Evgeny Lebedev ama raccontarsi, quale immagine vuole proiettare di sé: un giovane russo ormai liberal, amante dell’arte e del lifestyle occidentale, che nel suo ufficio a Mayfair tiene in bella mostra busti di Puccini, la gloria dell’opera italiana, installazioni dei fratelli Chapman, le due superstar del circuito dell’arte londinese, e capolavori di Francis Bacon. Un magnate, sì, ma illuminato. Così sganciato dalla cerchia putiniana da rischiare avvertimenti e minacce, e quindi ben incline anche a far sapere in giro che le sue fortune sarebbero sempre in pericolo. Quasi una forma di auto-protezione.
Il nuovo cane che ha rimpiazzato Vladimir è un altro cane lupo bianco. Lebedev l’ha chiamato Boris. A settembre del 2020 la giornalista Suzanne Moore ne ha postato la foto su Twitter, non senza malizia: «Il Castello di Santa Eurasia in Umbria, dell’editore di giornali Evgeny Lebedev, è stato restaurato da Domenico Minchilli Design; gli interni sono di Martyn Lawrence Bullard Design. Nella foto, Lebedev si trova sotto l’inferriata costruita in ferro battuto su misura per l’ingresso del Castello, assieme al suo cane lupo, Boris».
Boris come Eltsin, secondo alcuni. Il primo presidente della Federazione russa, negli anni tumultuosi nei quali sono cresciute la dinastia e la fortuna della famiglia Lebedev. Oppure, secondo altri, Boris come il suo caro amico Boris Johnson, il camaleontico leader dell’ala pro-Brexit dei Tories, ex sindaco di Londra, ex ministro degli Esteri, infine primo ministro del Regno Unito che, non senza sconcerto nel paese, ha nominato Evgeny membro della House of Lords. E così ora ha il titolo di “peer” uno dei più visibili “compatriots” russi a Londra – quel mix di diplomatici, ex spie, oligarchi putiniani, o più raramente sopravvissuti al putinismo, o in qualche modo sopravvissuti perché addivenuti a patti col putinismo. Ma soprattutto, Evgeny è il figlio di Alexander, ex colonnello del Kgb a Londra negli ultimi anni dell’Unione Sovietica a cavallo della caduta del Muro, poi trasformatosi in businessman in proprio e banchiere.
Mentre Putin era insediato nella cupa stazione del Kgb a Dresda, Alexander Lebedev era in Occidente, a Londra. Fa parte di quella cerchia di alti dirigenti del servizio segreto che si conoscono tutti, si sono frequentati tutti, e negli anni del crollo dell’Unione Sovietica hanno prima mantenuto, poi riattivato una rete che aveva bisogno semplicemente di essere riaccesa, nella stagione dell’ascesa al potere di Putin. Quella rete non era mai stata smantellata. Aveva fallito nel tentativo di far ascendere al Cremlino Evgeny Primakov, l’ex numero due del Kgb, ma adesso aveva Putin. Uno di loro. «Non si diventa mai ex del Kgb se non con la morte», ci racconta una fonte dell’intelligence italiana che ha lavorato per due decenni nel controspionaggio estero. E anche se Putin a un certo punto, all’inizio degli anni duemila, ha ridimensionato le ricchezze di Lebedev, non l’ha mai colpito davvero. Anzi. «Putin considera i compagni del Kgb come soci per sempre», spiega sempre l’analista dell’Aise, l’intelligence estera italiana. E così anche Alexander Lebedev considera Putin. Al massimo Putin l’ha punzecchiato, senza mai davvero atterrarlo, forse semplicemente perché Lebedev era in una posizione di carriera più confortevole negli ultimi anni dell’Unione Sovietica, che il futuro presidente trascorse in una tetra città della Germania dell’Est, mentre Alexander era nel cuore della rutilante Londra degli affari e della promessa di arricchimenti del capitalismo.
Il miliardario padre di Evgeny è anche lui impegnatissimo, come il figlio, a fornire di sé il ritratto dell’“ex oligarca”, come recita fin dal sottotitolo il suo libro uscito nel 2019, Hunt the Banker, mai davvero critico del Cremlino, dell’aggressione russa della Georgia, dell’annessione della Crimea, della guerra in Donbass, della torsione sempre più autoritaria del regime putiniano. John Sweeney, giornalista inglese che ha a lungo studiato la catena degli “utili idioti” occidentali usati dai russi, e gli agenti di influenza russa nel Regno Unito, lo descrive così: «Alexander Lebedev è un noto supporter del presidente russo Vladimir Putin, e della sua illegale annessione della Crimea».
Ma questa è, anche, una storia di veleni. E di avvelenamenti. Non solo di cani. Il 27 aprile del 2018 Johnson, allora capo del Foreign Office del Regno Unito, vola a Bruxelles al vertice dei ministri degli Esteri della Nato. È il primo summit a cui partecipa il nuovo segretario di Stato degli Stati Uniti, l’ex capo della Cia, Mike Pompeo. Johnson ha un lungo incontro con il suo omologo americano. Pompeo, benché nominato da Trump, in quel vertice tiene a marcare una sua distanza da Rex Tillerson, il discusso predecessore, ex businessman nel petrolio, che da patron di Exxon aveva morbidamente trattato con Mosca, un personaggio decisamente tenero con gli oligarchi putiniani e riguardo alle interferenze nelle elezioni americane del 2016. Pompeo critica la Russia per aver minacciato gli amici e i partner dell’Alleanza in Georgia e Ucraina, e per «una campagna aggressiva per minare le istituzioni democratiche occidentali». Vuole dimostrare di non essere del tutto allineato a Trump, da ex capo della Cia, una vita passata a studiare i pericoli sovietici e ora nominato al Dipartimento di Stato da un presidente oggetto di un’indagine del Procuratore speciale Robert Mueller per le compromissioni di uomini della sua campagna elettorale con Mosca. E così il nuovo segretario di Stato in quel vertice chiarisce subito la sua idea: non nega che la Russia abbia fatto interferenze. Semplicemente, dice, Mosca le ha sempre fatte. Putin non ha favorito Trump: ha solo continuato a fare ciò che ha sempre fatto.
A Bruxelles Pompeo, davanti a Boris Johnson, fa anche di più. Tra gli altri misfatti russi menziona apertamente l’avvelenamento di un’ex spia russa in Gran Bretagna, Sergey Skripal, avvenuta a Salisbury poco più di un mese prima, il 4 marzo 2018, e il suo sostegno al governo del presidente siriano Bashar Assad. Johnson ascolta. Si dice d’accordo su tutto. Pochi giorni dopo l’avvelenamento, il 14 marzo, il governo di Theresa May aveva già annunciato l’espulsione di 23 diplomatici russi considerati spie sotto copertura, come ritorsione in seguito all’avvelenamento di Skripal, ex agente del Gru, i servizi segreti militari russi, passato a collaborare con il MI6 britannico, e di sua figlia Yulia. Del tentato assassinio, di lì a poco, saranno accusati tre russi, agenti del Gru, su cui torneremo. Ma persino gli Stati Uniti di Donald Trump avevano appena espulso a fine marzo sessanta diplomatici, quarantotto nei ranghi dell’ambasciata russa a Washington, dodici in servizio alle Nazioni Unite, e avevano chiuso il consolato russo a Seattle, sospettandolo di essere un centro di spionaggio della vicina base sottomarina americana. Questo è l’umore politico che Pompeo, forte dei suoi legami bipartisan negli apparati delle agenzie di intelligence, manifesta al primo ministro britannico: attenzione alla Russia.
Il resto dell’Unione europea, anche paesi tradizionalmente assai morbidi con Mosca come l’Italia, in quel momento deve rassegnarsi a dare qualche cenno: nel caso dell’Italia, molto timido. Roma, che nel biennio 2018-2020 ci viene definita da una fonte dell’amministrazione italiana come «un terreno di pascolo sempre più proficuo per un numero di spie russe aumentato in maniera preoccupante», esita e agisce di malavoglia. Il 26 marzo 2018 il premier democratico Paolo Gentiloni – ancora in carica ma in uscita, dopo il voto che ha visto trionfare due partiti come la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 stelle di Casaleggio e Grillo – decide la soluzione più morbida: l’Italia espellerà solo due diplomatici russi, non i quattro espulsi da Germania e Francia, il numero che veniva chiesto anche da Washington. Peraltro – riporta Maurizio Caprara sul «Corriere della Sera» – Roma li selezionerà, come già era abitudine ai tempi della Guerra fredda, tra funzionari di rango non altissimo, e in scadenza di carriera, per scolorire il provvedimento di ogni grave connotazione punitiva. I nomi dei due funzionari russi espulsi non verranno neanche resi pubblici, e saranno comunicati attraverso una nota verbale alla Farnesina, dove forte resta la cordata filorussa tra i funzionari e in alcune ambasciate di peso rilevante, stando a una nostra fonte di alto livello nel governo Conte II. Gentiloni deve quindi informare del suo atto le tre diverse opposizioni di quel delicato frangente di interregno, Matteo Salvini leader della Lega, Luigi Di Maio dei 5 stelle, e Gianni Letta, proconsole di Forza Italia, affinché riporti la cosa a Silvio Berlusconi, storico amico di Vladimir Putin. Tutti e tre i partiti hanno ottimi rapporti con la Russia. Ma due di questi, leghisti e grillini, intrattengono ormai da tempo, tra di loro, contatti riservati che li porteranno di lì a poco a governare insieme. L’Italia che sta per entrare nella stagione dei governi populisti di Giuseppe Conte non vuole né può disturbare Mosca.
È in questo quadro, all’apice delle tensioni per l’avvelenamento di Skripal, che il 28 aprile – un sabato, il giorno immediatamente successivo al vertice con Pompeo a Bruxelles – Boris Johnson sale su un aereo, senza scorta, non accompagnato da nessuno, e vola proprio dai suoi amici russi, insediati ormai da quasi dieci anni nelle morbidità accoglienti del Belpaese. Nelle note del Foreign Office, in un primo momento, non c’è traccia del viaggio. Johnson si reca in Umbria, sprezzante del pericolo, in una vera e propria terra di nessuno, tenuta d’occhio dal controspionaggio di diversi paesi europei. Non è la prima volta che ci va, è almeno la quarta. Ma il momento è drammatico, e la cosa non sfugge all’Aise, l’intelligence estera italiana, che lo monitora fin dal suo arrivo, come siamo in grado di scrivere grazie a tre fonti separate e convergenti. Ad attenderlo all’aeroporto c’è anche un’auto del servizio di sicurezza privata dei Lebedev, ex militari della Sas, lo Special Air Service britannico, che fanno da scorta privata alle tenute umbre dei Lebedev. Johnson viene accompagnato a Palazzo Terranova, a Ronti, Città di Castello, dove quella sera è fissata una festa organizzata a casa del giovane Lebedev, Evgeny. È una mossa opportuna recarsi lì proprio al culmine della crisi internazionale per l’avvelenamento di Skripal, o mette a repentaglio la sicurezza nazionale britannica? Cosa avviene in quella cena e, soprattutto, è presente anche il più anziano dei due Lebedev, Alexander, l’ex colonnello del Kgb?
A settembre del 2020 l’ex colonnello ha negato di esser stato in Umbria in quei giorni. Due mesi dopo, durante il lancio pubblicitario del suo libro a Mosca – al quale era presente tra gli altri Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, la funzionaria sempre in prima linea nel diffondere la narrazione del Cremlino – Lebedev senior fornirà una versione diversa: ammettendo che sì, c’era anche lui a Palazzo Terranova, ma non ha incontrato Johnson, era andato solo per fare gli auguri al figlio per il suo compleanno.
Sono feste allegre, quelle dei Lebedev. Volutamente provocatorie, teatrali. Anche quando assumono una veste familiare. Champagne e purissima vodka russa scorrono a fiumi. Le diverse fonti che le hanno raccontate le definiscono come occasioni di divertimento spericolate, che mescolano celebrities dello spettacolo, del cinema, della musica, e politici e tycoon – come per esempio Rupert Murdoch, che oltre al «Times» controlla il «Sun», uno dei giornali che hanno suonato la grancassa alla Brexit. Pezzi di élite russa – a volte anche “siloviki”, i vecchi compagni di colleganza della rete del Kgb sovietico, nel quale è cresciuto anche Putin, poi trasformatisi in imprenditori e soggetti non ufficiali dello stato russo – hanno interesse a tenere questi rapporti per creare o mantenersi un contesto favorevole, alimentare l’acqua dentro cui nuotano proficuamente i loro affari, o anche solo per l’autocompiacimento che dà loro lo stare accanto al divo famoso.
I soldi conquistano tutto. Anche l’inserimento sociale. Anche a Londra, non solo in Italia, alcune serate dai Lebedev hanno fatto epoca. Per esempio la festa natalizia offerta da Evgeny il 15 dicembre del 2017, nella sua casa decorata a stucchi vittoriani da sei milioni di sterline che dà su Regent’s Park, con ospiti di ogni rango e una serata a tema sovietico. All’ingresso, ha raccontato Luke Harding sul «Guardian», c’era un murale di Stalin in uniforme militare verde. Falce e martello decoravano le finestre. Al centro della stanza c’era una scultura di ghiaccio a forma di pistola, da cui un barman distribuiva bicchieri di vodka. Chiunque poteva bere tutto lo champagne che era in grado di reggere. Una finta pistola giaceva su un letto matrimoniale rosso nel seminterrato, accanto a un’area fumatori all’aperto. Poco più in là c’era anche un orso impagliato. Festa a tema, sibillino: il ritorno dell’Orso russo. Tra gli ospiti c’erano Elton John vestito di rosso, ma anche Murdoch, appunto, e Tony Blair (che però era saggiamente passato in apertura, intorno alle 7 di sera, per poi sfilare via), il sindaco di Londra Sadiq Khan, l’ex consigliere del Labour blairiano Peter Mandelson. E poi Boris Johnson. L’unico tra i politici a trattenersi fino a ore più tarde.
A un certo punto della serata, ha scritto il «Guardian» senza essere smentito, un piccolo gruppetto si isolò nel salone a L del party per consumare quelle che non erano droghe leggere. Johnson non era in quel gruppetto. E però anche solo trovarsi in una situazione del genere con i padroni di casa russi può renderlo oggetto di possibili kompromat, i dossier compromettenti nei quali era maestro il Kgb. Johnson arrivò a essere, come sembrò ritenere a un certo punto l’intelligence britannica, un problema per la sicurezza nazionale britannica?
Evgeny Lebedev accusa il «Guardian» di «accanimento prolungato» contro di lui, minaccia spesso cause a quel quotidiano (che al momento non sono mai arrivate, ci informa il giornale), e si dice anzi vittima di una discriminazione etnica: «Tutto ciò è anche razzista. È possibile esser nato in Russia e diventare una persona di spicco in questo paese e non un promotore dello stato o del governo russo. Sono una di queste persone e, inoltre, non sono mio padre, qualunque accusa dubbia possiate voler rivolgere contro di me tramite lui».
Johnson non è il solo. L’ambiente che si coagula attorno a queste feste dei Lebedev è variegato, dall’ex premier David Cameron all’ex ministro del Commercio Vince Cable, dall’ex capo della Metropolitan Police di Londra, Bernard Hogan-Howe, al capo dell’Ukip e poi del Brexit Party, Nigel Farage, a lungo alleato in Italia con il Movimento di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Ma probabilmente Johnson è l’amico più assiduo, così assiduo da considerare Evgeny «una potente forza del bene», o da dedicare a Lebedev l’ultima visita ufficiale – il 19 marzo 2020 – che risulta nell’agenda di Downing Street prima del lockdown britannico per il Coronavirus. Un amico così importante da indurre Johnson ad andare da lui anche in Umbria più volte, almeno quattro, o forse cinque. C’è infatti una presunta visita del settembre 2020 che è diventata un caso. In quei giorni l’aeroporto di Perugia vantò, in un comunicato ufficiale, che «recentemente» sia Tony Blair sia Boris Johnson, un ex premier e un premier britannico, erano atterrati nello scalo umbro. Antonello Guerrera sul quotidiano «la Repubblica» l’ha riportato, riferendo anche della smentita di Downing Street. Il giorno dopo Londra era in subbuglio. La mattina alle 10.07, in una telefonata allo scalo umbro, il portavoce ufficiale dell’aeroporto di Perugia, Federico Ventriglia, ci ha confermato che non c’era nessun errore nel comunicato dell’aeroporto, che cioè Johnson era stato lì «recentemente», dunque l’aeroporto non si riferiva al viaggio dell’aprile 2018, e non aveva fatto sbagli. Nel pomeriggio l’aeroporto perugino ha ritrattato, per bocca del suo presidente: c’era stato uno scambio di premier, hanno spiegato. In Umbria nella tarda estate del 2020 era venuto Blair, non Johnson. Eppure i due paiono difficilmente confondibili. Un’altra fonte che era in aeroporto a Perugia ha raccontato a una producer della Bbc che certamente quello avvistato in quei giorni di fine agosto era il biondo primo ministro. Downing Street ha però negato seccamente.
La festa dell’aprile 2018 a Palazzo Terranova resta probabilmente la più inquietante. Johnson, mentre era seduto sui divani bianchi della sala interna che si apre a destra dopo l’entrata di Palazzo Terranova, avrebbe avuto anche un colloquio telefonico con il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. Circostanza smentita sia da Downing Street sia da Mosca (ricordiamo che anche Alexander Lebedev aveva negato di essere stato presente a Palazzo in quei giorni, salvo ammetterlo due mesi dopo). Il ministro degli Esteri britannico, e un ex colonnello del Kgb che tra il 1988 e il 1992 riferiva al Primo direttorato del servizio segreto di Mosca (quello che si occupava delle operazioni estere), a colloquio pochi giorni dopo l’avvelenamento su suolo britannico, con un veleno di fabbricazione russa, di una ex spia russa?
Di sicuro Johnson e Alexander Lebedev si sono trovati nello stesso luogo, nelle stesse ore, e tutto questo è avvenuto su suolo italiano. Come ci hanno confermato tre fonti separate e convergenti – una di intelligence e due parlamentari, rispettivamente della Commissione Difesa della Camera dei deputati e del Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti – Lebedev veniva tenuto sotto controllo dai servizi segreti italiani. Anche perché l’Umbria, dietro in questo solo alla Lombardia e alla Sardegna, è negli anni diventata una specie di enclave filorussa in Italia. Esiste una fiorente associazione Umbria-Russia, di idee conservatrici, che patrocina eventi e scambi. L’imprenditoria locale non ha partico...

Indice dei contenuti

  1. Nota degli autori
  2. Prologo
  3. 1. Lebedev
  4. 2. Yakunin
  5. 3. I Rotenberg
  6. 4. Malofeev
  7. 5. Ucraina
  8. 6. Lavanderia italiana
  9. 7. Siena
  10. 8. La turbina
  11. 9. Sechin
  12. 10. Firtash
  13. 11. Usmanov
  14. 12. Kovalchuk
  15. 13. Il “palazzo” di Putin
  16. 14. Vekselberg
  17. 15. Dmitriev e Sputnik V
  18. 16. Gli avvelenatori
  19. Fonti e bibliografia