II. Le amazzoni e i cavalieri della scuola tre-sei
La nostra tesi è questa: la seconda infanzia potrà riaffacciarsi da protagonista sul palcoscenico di un’età storica già riscaldata dal sole del Duemila a patto che venga riconosciuta e garantita come soggetto di diritti sociali (età generazionale da tutelare attraverso politiche di ampio respiro democratico ed educativo) come soggetto di diritti individuali (età generazionale in grado di pensare con la propria testa e di sognare con il proprio cuore). Traguardo possibile, se prenderà il volo una scuola grande per i più piccoli.
In queste pagine avremo occhi soltanto per il pianeta della pedagogia infantile. Più in particolare, daremo la parola alle citate quattro grandi firme pedagogico-didattiche – Agazzi, Montessori, Malaguzzi, Ciari –, ciascuna delle quali ritaglia e dà priorità educativa ad un segno di riconoscimento della carta d’identità del pianeta infanzia.
Questo per dire che i quattro mentori della bambina e del bambino danno sguardo al repertorio pedagogico delle possibili immagini di infanzia: Rosa Agazzi all’infanzia del cuore, Maria Montessori all’infanzia della mente, Loris Malaguzzi all’infanzia della fantasia, Bruno Ciari all’infanzia scout.
1. Rosa Agazzi e l’infanzia del cuore
1.1. Scuola e famiglia: due sullo stesso tandem
Rosa Agazzi (che abbiamo già ricordato con la sorella Carolina) nutre il proprio modello educativo dell’idealismo fröbeliano, del romanticismo pestalozziano e dello spiritualismo aportiano. La sua adesione teorica a questi nuclei dottrinari avviene senza scivolare mai su derive di eclettismo pedagogico o di gerarchizzazione preferenziale di filosofie dalle quali pur mutuava i propri assunti teorici. Questo per dire che le monete idealistiche, romantiche e spiritualistiche – tramite cui capitalizza il suo conto nella banca dell’educazione – non vanno mai fuori corso, mai ingialliscono in paradigmi assertori e dogmatici. Non più spendibili nel dibattito pedagogico. Tutt’altro.
La definizione fröbeliana della bambina e del bambino quali «piante» che devono liberamente crescere per poter guardare il cielo dei valori umani viene ripresa in più punti dalla maestra di Mompiano (Brescia). Tanto da assegnare all’infanzia il volto di un «germe» vitale e spirituale proteso alla sua integrale maturazione, alla liberazione dei propri valori individuali. Parimenti, mutua dalla stessa teoria fröbeliana il concetto di gioco: inteso come esperienza ecosistemica dell’infanzia, come sua forma peculiare di comunicazione, di fantasia, di conoscenza della realtà. A partire da questo convincimento, l’Agazzi rileva come le cifre relazionali e cognitive del gioco infantile si fossero disperse nei lussuosi giardini d’infanzia fröbeliani, nei quali si alternavano vissuti ludici di estremo lassismo e permissivismo con fasi di gioco (come le pratiche dei «doni») rinchiuse in gabbie didattiche di arido geometrismo e di artificioso simbolismo. Il tutto mutilato di ogni slancio immaginativo e creativo.
Rosa Agazzi non attinge la sua teoria e la sua prassi soltanto al serbatoio idealistico, ma anche alla fonte dello spiritualistico e del naturalismo romantico di Ferrante Aporti e di Enrico Pestalozzi. Tanto da aderire con slancio a questo duplice orizzonte educativo.
Da una parte, fa suo il postulato secondo cui le attività dello spirito vanno rivolte a indagare e a scoprire la realtà, così da farsi ricche e forti di un’esperienza dalle copiose cifre di interiorità e di umanità. Dall’altra parte, fa suo il concetto di natura intesa come vissuto creaturale. Questo non è interpretato in chiave cosmico-metafisica (come per gli idealisti) e neppure in chiave meramente fisico-psicologica (come per i positivisti), ma viene da lei teorizzato come vita effettuale, come integrazione dialettica di esperienza materiale e spirituale: che – per l’infanzia – trova nei valori della famiglia e nello sguardo della madre pensosa pestalozziana i fondamenti naturali della vita educativa.
La consapevolezza pedagogica che non è il mondo esteriore (la realtà) a modificare lo spirito (giacché più e prima dei contenuti c’è il cuore) spinge Rosa ad una pungente critica nei confronti della realtà degli asili aportiani del suo tempo, che stavano tradendo – con il loro pedante nozionismo prescolastico – i valori pedagogici del messaggio spiritualistico.
L’Agazzi abbatte lo scolasticismo e l’autoritarismo intellettualistici del fröbelismo e dell’aportismo, e fa entrare nella scuola materna una ventata di semplicità domestica, di sentimenti e di affetti della vita quotidiana. Come dire, spoglia le dinamiche relazionali di ogni convenzionalità e di ogni forzatura artificiosa per rivestirle della stoffa preziosa della genuinità, della freschezza, della concretezza della comunità di vita dei bambini. La famiglia viene elevata pertanto a centro propulsore della natura complessa dell’infanzia. Tanto che la scuola tre-sei si carica del compito educativo di farsi specchio dei linguaggi, delle cose, delle idee e dei valori dell’ambiente domestico. La sua scuola materna ritaglia in gigantografia l’immagine della vita familiare e abbandona i convenzionali rituali fröbeliani e aportiani: che imponevano – in ore prestabilite – i tempi del banco, dell’alzarsi e del sedersi, dell’alzare la mano, del silenzio, dell’andare al gabinetto, del mangiare ecc. Nella scuola di Mompiano, la bambina e il bambino ritrovano il clima domestico e la cultura del loro ambiente di vita: fatta di cose più che di parole e, soprattutto, di intensa operosità. Quindi di concretezza, semplicità, naturalezza e genuinità.
Con il richiamo ai valori esemplari della famiglia, la maestra bresciana propone l’idea pestalozziana che il baricentro dell’educazione sta nella relazione madre-figlio: la sola in grado di garantire una compiuta espansione alla forza del cuore. A questo fine, attiva nelle sue sezioni un caldo clima affettivo cosparso di cifre di gioia-emozione-felicità, nonché di toni diffusi di serenità e di pace.
Attrezza dunque il suo zaino pedagogico per il viaggio dell’infanzia nel pianeta della relazione sociale. È la bussola che orienta all’incontro con l’altro da sé: che può essere il «pari», il piccolo gruppo, il grande gruppo, l’intera comunità di vita quotidiana. Il sentiero che porta alla socializzazione (all’intersoggettività tra il sé e l’altro) viene lastricato di esperienze di libera interiorizzazione dei modelli di vita sociale: in quanto costruzione personale, e non modellamento imposto da altri. Senza un’educazione precoce alla libera scelta dei propri vissuti socioaffettivi ed etico-sociali l’infanzia rischia – annota Rosa – di essere stampata anzitempo al conformismo e al dogmatismo propri del costume e dell’ideologia moralistica dominante. È l’omologazione, per dirla con Nietzsche, che fabbrica uomini gregari, piccoli, conformisti: uomini identici. Alla stessa stregua per cui si dice «corrente» una moneta.
L’Agazzi, si è detto, cancella le cifre no degli asili infantili aportiani e dei giardini d’infanzia fröbeliani. Per raggiungere questo obiettivo, promuove una scuola materna corredata della stessa atmosfera relazionale e degli stessi modelli culturali che aleggiano nel focolare domestico. La sua finalità è quella di assicurare all’infanzia un vissuto esistenziale continuo e integrale, e non spezzato e parcellizzato in microtempi scolastici prescrittivi, separati e spesso contrapposti tra loro. Secondo la sua idea di educazione, la bambina e il bambino devono poter ripercorrere – negli spazi e nei tempi della scuola materna – i repertori dinamici e relazionali che lievitano in famiglia e nella comunità sociale di appartenenza.
Attenzione però. Se è vero che i giardini d’infanzia fröbeliani sono nel mirino critico agazziano, è altrettanto vero che la matrice filosofica di Fröbel (che Rosa alimenta del personalismo spiritualistico della Necker de Saussure, di Lambruschini, Aporti e Pasquali) lascia un’impronta indelebile sulla sua architettura metodologica. Che si fonda sulla centralità sia del cuore (il dialogo, l’ascolto, l’amicizia, la disponibilità, la solidarietà, la responsabilità), sia degli alfabeti spontanei e naturali dell’infanzia (le conoscenze colte a contatto con la vita quotidiana).
I linguaggi più apprezzati dalla sua didattica sono quelli abitualmente praticati in famiglia: la gestualità e la mimica corporea, il canto, il lavoro manuale, le attività grafiche. Nella sua proposta didattica le forme espressivo-creative più elaborate e strutturate trovano minore attenzione – come la drammatizzazione, le attività plastico-costruttive, i codici musicali ecc. – perché richiedono materiali e strumenti specialistici scarsamente presenti nella vita domestica della bambina e del bambino.
Dunque, la scuola materna di Mompiano – antiautoritaria e mai repressiva – concorre positivamente a dilatare non solo la sfera affettiva, ma anche la sfera creativa della seconda infanzia. Quest’ultima intesa come spazio personale di libera trascrizione delle motivazioni, dei sentimenti e delle idee che quotidianamente i bambini registrano e accumulano. In questa prospettiva, l’Agazzi dà libero accesso – oltre che alla lingua parlata – a tre corsie espressivo-creative: il disegno, il canto, il lavoro manuale.
1.2. Il modello didattico: le cianfrusaglie senza valore
Una «gemma» della scuola materna agazziana ha nome didattica senza brevetto. La sua tesi (che è anche quella della sorella Carolina) è rinchiusa nello ‘scrigno’ che promette alla bambina e al bambino che saranno felici nella scuola tre-sei. A questo fine, Rosa raccomanda – fin dal primo giorno di scuola – un clima di sezione permissivo, sereno, fortemente puerocentrico, con un sobrio uso dei divieti da parte dell’educatrice. Inoltre, per attenuare ulteriormente i formalismi sociali e le restrizioni della motricità propri della vita di sezione, la maestra bresciana suggerisce molte uscite negli spazi all’aperto (giardini, cortili, parchi): utili per rasserenare e liquidare eventuali stati di ipertensione accumulati negli abituali microambienti della scuola materna.
Il suo principio di «alternanza» tra attività di sezione e attività di intersezione (possibilmente all’aperto) le permette di promuovere diversificate esperienze formative in spazi attraenti e motivanti perché ricolmi di inezie-senza-valore, spesso buttate dalla finestra. Sono quelle che Giuseppe Lombardo Radice battezza come cianfrusaglie senza brevetto. Sono «cianfrusaglie» che arricchiscono i percorsi formativi della scuola materna di ricche cifre di attivismo e di creatività didattica, oltre a promuovere un ampio coinvolgimento dei bambini nelle attività concrete della comunità scolastica.
La dimensione affettiva dell’Agazzi è illuminata diffusamente da un fervido sentimento religioso, inteso come orizzonte di fratellanza, di rispetto e di amore verso l’altro e il creaturale.
1.2.1. La sezione Nella scuola materna agazziana la sezione ha il compito di soddisfare tre bisogni insopprimibili della bambina e del bambino: la relazione, la comunicazione e la fantasia.
La scuola della seconda infanzia di Rosa valorizza la sezione quale palcoscenico di recita della relazione. Secondo l’Agazzi, una comunità scolastica costellata da diffuse cifre relazionali (interattive ed affettivo-emotive) chiede una carta d’identità con un segno di riconoscimento al maiuscolo: la cooperazione. Una comunità-classe dallo stile cooperativo è quella che non lottizza gli allievi in gruppi chiusi e autocentrati, ma li apre (disaggregandoli e riaggregandoli) ai molteplici luoghi di attività della scuola e alle relazioni con gli ambienti comunitari più vasti e complessi presenti nel territorio.
Lo stile cooperativo richiede un ambiente scolastico attraversato da un clima di tranquillità e di serenità, privo di censure e divieti nei confronti della comunicazione interpersonale, intesa sia come linguaggio verbale sia come linguaggio non verbale. Questa atmosfera emotivo-affettiva da climatizzare nella scuola mira a respingere la volontà di potenza presente nelle forme patogene dell’autoritarismo degli insegnanti e della rivalità e competi...