Amelia Rosselli
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Amelia Rosselli

Una disarmonia perfetta

  1. 194 pagine
  2. Italian
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Amelia Rosselli

Una disarmonia perfetta

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Informazioni sul libro

«Un perturbante classico, una declinazione per certi versi unica, senza pari nel panorama della poesia italiana del secondo Novecento»: così Alessandro Baldacci definisce la scrittura di Amelia Rosselli, tracciandone la prima interpretazione critica completa, dai primi esperimenti degli anni Cinquanta sino alla fine della sua ricerca poetica ed esistenziale.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858114124

Una disarmonia perfetta

1. Lo spazio dinamico del verso

Tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta la sperimentazione rosselliana si muove alla ricerca di una regolarità dinamica in grado di calare il percorso del proprio flusso di pensiero all’interno di forme più stringenti, con una ridefinizione prosodica del verso preparata, sentita e problematizzata già nei Primi scritti, ma che in essi non trova ancora lo spazio e la realizzazione di una sintesi. È invece con la composizione del lungo poemetto La libellula, iniziato nel 1958, e con le poesie di Variazioni belliche, a cui la Rosselli comincia a lavorare in questi anni, che abbiamo il passaggio di una sorta di ‘linea d’ombra’. La ‘maturità’ della poesia rosselliana parte dal superamento dell’esperienza versoliberista, e punta a una nuova misura ritmica e grafica del verso in grado di fondersi con i contenuti della propria scrittura. Proprio a partire dalla composizione della Libellula la Rosselli comprime il proprio vorticoso sperimentare dentro forme chiuse, in primis a livello grafico. Inoltre la sua lingua poetica presenta una mobilità ritmica in grado di propagare sulla pagina le correnti energetiche di una scrittura che fonde i movimenti della lingua parlata e il monologo interiore. L’intero orizzonte della creatività rosselliana viene portato a convergere in direzione di un «versificare più stretto, più severo e di formulazioni geometriche» (USP, 60). Le formulazioni geometriche di cui parla l’autrice si concretizzano in uno spazio assoluto, in una sorta di quadrato o di cubo ideale, all’interno del quale pressare il proprio flusso creativo. Sulla scia delle sperimentazioni neocubiste la Rosselli percepisce lo spazio come un processo dinamico che abbraccia (e produce) energie, tempi, immagini e pensieri. La poesia lavora a una sintesi fra visione e percezione del reale, a una forma in grado di fondersi con i contenuti di un discorso in bilico fra il corpo sonoro della parola e lo spazio psichico del pensiero.
Il luogo in cui l’autrice esplicita le caratteristiche della propria poetica è rappresentato dallo scritto Spazi metrici, composto nel 1962, sotto lo stimolo di Pier Paolo Pasolini, e stampato nel 1964 come ‘allegato’ alla fine del libro Variazioni belliche. Nel giro di pochissime pagine la Rosselli concentra una riflessione decennale su questioni metriche e formali che l’avevano occupata a partire dalle sue prime prove poetiche in apertura degli anni Cinquanta. Spazi metrici rappresenta di certo uno dei nodi più complessi dell’opera rosselliana. Il linguaggio è ostico, oscilla fra precisione scientifica e associazione creativa. Come l’autrice stessa confessa si tratta di un lavoro «divulgativo e incomprensibile allo stesso tempo» (USP, 60), di una ricerca in tensione fra la comunicazione universale e una poetica composta all’interno del linguaggio della poesia. La scelta dell’italiano come lingua portante della propria scrittura, che si compie proprio in questo periodo, passa, paradossalmente, per le strette di un rovesciamento del «cosiddetto ritmo naturale» (IAR, 7) della nostra lingua. La Rosselli individua il proprio stile, e la propria ‘misura’, attraverso quello che celanianamente potremmo definire come un ‘controdiscorso’ portato ad agire alle basi della lingua stessa, alterando vincoli grammaticali, cadenze istintive e regolamentazioni metriche. Il rifiuto della prosodia classica così come della proposta versoliberista è il punto di partenza che la Rosselli esplicita nel distacco dalla fase iniziale della propria opera segnata da una sperimentazione «senza disegni prestabiliti» (P, 339), portata a seguire «un tempo strettamente psicologico, musicale e istintivo» (ibid.). Il superamento dei Primi scritti non avviene certo per negazione, ma fondendo le componenti decisive di quel percorso (psiche, musica e istinto) all’interno di un ‘verso necessario’1 dove la turbolenza ritmica si produce dentro la gabbia grafica del componimento. Il movimento ritmico della poesia è al contempo oggettivo e soggettivo, segue cioè la volontà dell’autore e parallelamente si impone a partire dalla forma spaziale del verso che produce compressioni e addensamenti nello scorrere del flusso poetico.
Partendo dalla singola lettera, vocale o consonante, considerata, alla luce dell’acustica musicale, come rumore, e identificando nella sillaba la cellula ritmica del verso, ma ancora estranea alla significazione, la ricerca rosselliana di un criterio fondante, universale, si sposta sulla parola. In essa l’autrice riconosce il «pozzo della comunicazione» (P, 338), l’elemento che contiene e organizza nel suo discorso il suono-rumore della lettera, la potenzialità ritmica della sillaba. La parola è forma grafica e sonora, concreta e mentale allo stesso tempo, e dunque imposta in questo ‘sistema’ come centro di un’esperienza totale della realtà. La parola non è per la Rosselli il semplice indicatore di un oggetto, ma un’‘idea’, un’idea statica che si fa complessa e dinamica nella sequenza che compone la frase e poi il periodo. Ogni parola ha valore di idea, come scrive l’autrice nel suo saggio: «io consideravo perfino ‘il’, ‘la’ e ‘come’ come ‘idee’ e non meramente congiunzioni o precisazioni di un discorso precisante un’idea» (P, 338). Conseguentemente il termine ‘il cavallo’, secondo la suggestiva logica proposta dalla Rosselli, viene percepito come un composto articolato intorno a due idee ‘il’ e ‘cavallo’ per ciascuna delle quali abbiamo differenti rappresentazioni mentali, determinante dalla nostra cultura, dalla nostra esperienza, e che, combinate, ci forniscono la cellula minima della relazione dinamica della parola-idea nel processo compositivo della scrittura. Suono e immagine, pensiero e materia, eredità universale ed esperienza soggettiva sono al centro del valore logico e del peso fisico che l’autrice conferisce alla parola.
Al centro di Spazi metrici è la formulazione di una nuova poetica del ritmo. A tale proposito è interessante rilevare come nello stesso periodo, a cavallo fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, nel 1958 (stesso anno in cui la Rosselli proietta la propria maturazione formale nella struttura della Libellula), Franco Fortini pubblica due articoli incentrati sullo studio prosodico del verso nella nuova poesia italiana. In entrambi gli interventi l’analisi fortiniana pone in primo piano come «una nuova metrica sta formandosi, sotto forma di accettazione sempre più diffusa [...] di alcuni raggruppamenti ritmici su tre, quattro (o più raro cinque) accenti forti, di cui Pavese dette il primo schema. Versi composti da un compromesso fra numero di sillabe, ricorrenza di accenti forti (o ritmici) e durata temporale fra l’uno o l’altro di questi, con prevalenza di quest’ultimo elemento»2. Fortini riconosce in Pavese il centro di rielaborazione della prosodia nella poesia italiana del secondo Novecento. E a partire dalla scansione su ictus, su accenti forti della poesia narrativa di Cesare Pavese si muove in parte anche la ricerca rosselliana. Quest’ultima però sposta la struttura più regolare degli accenti nelle poesie di Pavese, che rimandano alla metrica quantitativa del mondo greco-latino, entro un fluido scorrere di sottilissimi accenti. In tal modo, «trasponendo la complessità ritmica della lingua pensata e parlata, ma non scandita, tramite un numerosissimo variare di particelle timbriche e ritmiche entro un unico spazio» (P, 340) si realizza una metrica totale che abbraccia il pensiero/scrittura in un inesauribile fluire eracliteo. L’energico scorrere della materia fonico-pischica produce una mobilità quasi ‘aleatoria’ (e qui ovviamente tornano ad accostarsi le posizioni della Rosselli con quelle di Cage) di una lingua che accosta i ritmi accelerati dell’emotività con rallentamenti e addensamenti che si producono in modo obbligato tramite la pressione tra forma geometrica e flusso torrentizio della scrittura. Unendo la dimensione fonica della voce e gli spazi mentali del pensiero la Rosselli sottolinea il movimento della propria poesia come uno scorrere continuo, un soffio ininterrotto. Senza marcare gli spazi vuoti fra una parola e l’altra, senza pause, voce e pensiero divengono i luoghi in cui l’energia ritmica del discorso poetico si genera e si incanala, corre sino ad esaurirsi, a scaricarsi alla fine del periodo per rinascere nel periodo successivo.
La sperimentazione rosselliana di una nuova fenomenologia del ritmo si fonde con la progettazione di un nuovo spazio. Una ‘scrittura diluviante’ come quella del poemetto La libellula viene ingabbiata in forme graficamente determinate, improntate a un vincolo di regolarità che governa tanto la lunghezza del verso quanto il suo tempo di lettura. L’estensione spaziale della prima riga di un componimento funge da parametro cui, orientativamente, devono attenersi tutti i versi successivi, così da dare vita a una composizione graficamente accostabile a una sorta di rettangolo. Analogamente il tempo di lettura mentale del primo verso deve valere come tempo di riferimento per la lettura dei versi successivi.
A proposito della dimensione spaziale del verso rosselliano, del dialogo fra scrittura e arti figurative aperto da Spazi metrici, la Rosselli, intervenendo nel 1965 a un dibattito sul rapporto fra pittura e musica in occasione di una mostra romana del pittore Piero Dorazio, richiama ad architetture geometrizzanti, a una ricerca di concretezza che porta la nuova ricerca poetica sullo spazio a interessanti paralleli con le sperimentazioni svolte sulla tela. L’autrice afferma che «nella poesia contemporanea si possono ritrovare delle poesie che hanno molte affinità coi quadri, cioè poesie in forme quasi quadrate, o leggermente rettangolari, che ricordano questi quadri in quanto esse vogliono coprire l’intero spazio con una specie di geometrica confusione di colori, timbri vocalici, senza poi chiarire un senso centrale della poesia, ma lasciando l’insieme parlare per sé» (USP, 35). Il passo è in qualche maniera una dichiarazione circa il proprio modo di organizzare i testi, e allo stesso tempo rappresenta un’efficace sintesi della proposta formale contenuta in Spazi metrici. Rettangolare, come accennato, è la struttura della Libellula, mentre una spazializzazione secondo «forme quasi quadrate» caratterizza tanto i testi dell’esordio di Variazioni belliche quanto il suo secondo volume Serie ospedaliera, dove, sottolineando l’importanza dall’aspetto grafico all’interno dei propri testi, l’autrice rompe il contratto di pubblicazione con Garzanti, decidendosi a far uscire la raccolta con il Saggiatore che accetta di stampare le poesie in una versione tipografica ‘non differenziata’. Il Saggiatore opta per una pubblicazione fuori formato con quello che l’autrice definisce un «interessante uso della macchina IBM, in aderenza totale ai miei principi metrici enunciati previamente [...] in Spazi Metrici»3. Questa soluzione permette di mantenere sulla pagina del libro la gabbia visiva, ‘quadrata’ o tubolare della poesia scritta, o meglio ‘forgiata’ a macchina dalla Rosselli.
Spazi metrici è dunque la chiave per cogliere la nuova forma della poesia rosselliana. A partire dalla Libellula la sua scrittura è proiettata e congestionata in un’unità spazio-temporale definita. Al suo interno scorrono flussi ritmici e mentali, così come un’identificazione fra idea e parola, un dialogo tra grafica e suono, che ci portano nel centro di un’opera totale, in un sistema creativo in cui musica, pittura e scrittura sono le componenti basilari di un’inesauribile corrente dinamica della lingua.

2. La parodia e lo choc

Scritta originariamente di getto, nel 1958, ma successivamente rivista e limata per anni sino ad assumere la sua fisionomia definitiva in occasione della pubblicazione sulla rivista «Nuovi Argomenti» nel 1966, La libellula è un lunghissimo poemetto che svolge all’interno dell’‘assestamento’ stilistico dell’autrice una funzione nevralgica (non a caso la sua gestazione è così lunga e travagliata). In questo torrente di versi abbiamo l’eruzione di una scrittura che cresce intorno all’intuizione eliotiana per la quale «una poesia, o una parte di essa, può tendere ad attuarsi come un particolare ritmo prima ancora di trovare espressione nelle parole, e che quel ritmo può far nascere idee e immagini»4. Nello spazio di oltre 660 versi suddivisi in 28 lasse (o stanze di un eccentrico, liberissimo canto) che variano da un minimo di due a un massimo di ben 147 versi, si assesta un pedale che combina ragione e sragione proiettando nello spazio della soggettività le scorie di un discorso altro, di una polifonia perturbante di voci. La libellula, nella sua paradossale fusione fra dimensione orale e flusso psichico, produce distorsioni foniche e affabulazioni stregonesche che attraggono il lettore al centro di un labirinto linguistico dove si infrangono, uno nell’altro, il grido di una fanciulla e l’urlo di un mostro. Un grottesco impasto di frammenti traumatici, di melodie e rumori, di accostamenti incongrui e pensieri che esplodono in pura energia ritmica governa il corso della scrittura. Sullo sfondo di una carnevalizzazione macab...

Indice dei contenuti

  1. Il laboratorio degli inizi
  2. Una disarmonia perfetta
  3. L’ultima adolescenza
  4. Amelia Rosselli e la critica
  5. Cronologia della vita e delle opere
  6. Bibliografia