Mobilitazione totale
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Mobilitazione totale

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Mobilitazione totale

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La profonda riflessione di Ferraris ruota tutta intorno a una semplice, inquietante, ironica domanda: chi ce lo fa fare ad essere sempre connessi? Nell'era della sorveglianza digitale di massa ragionare sulla radice del problema significa mettere a fuoco, identificare, dare un nome al problema stesso. Per Maurizio Ferraris il problema si chiama mobilitazione totale. Fabio Chiusi, "la Repubblica"

Con penna divertita, sgombrando la strada da banalità e frasi fatte, Maurizio Ferraris continua ad aggiornare la filosofia. 'Connessa', l'umanità non è semplicemente 'alienata', come pretende il filosofo benpensante, ma è 'mobilitata'. Il web è l''alienazione 2.0': panopticon diffuso, macchina bellica e burocratica estesa sull'intero pianeta che non schiaccia ma esalta la natura umana. "Sette - Corriere della Sera"

Tutti sappiamo cosa significhi ricevere una notifica email in piena notte: quel trillo non è solo una comunicazione, è un invito individuale all'azione che non riusciamo a lasciare inevaso. Il risultato è una condizione di militarizzazione della vita di milioni di mobilitati, un'incessante certificazione di ordini cui ognuno si sottopone senza difendersi. Anna Li Vigni, "Il Sole 24 Ore"

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858126592

L’apparato

Qual è l’apparato che rende possibile la mobilitazione?

L’apparato è l’assoluto

La mobilitazione che viene introdotta dalle armi ha una imperiosità che non trova precedenti nella storia, e che si spiega anzitutto perché l’apparato a cui sono collegate, viene a presentarsi come l’assoluto – come la rete che lega tutto ed è slegata da tutto.
Oggi la società, diversamente dalle società tradizionali – ma anche diversamente dalla cosiddetta “società dello spettacolo” –, non è altra rispetto ai mass media, perché ogni attore sociale è potenzialmente non solo un fruitore, ma un produttore di media. Ora, ciò che collega fenomeni così disparati come la militarizzazione e la mediatizzazione è la registrazione: il tratto distintivo delle armi, i filosofi direbbero il loro eidos, è il fatto di possedere una grandissima capacità di registrazione, che le rende enormemente più potenti degli apparati tecnici che le hanno precedute.
Perché le armi non sono televisori, telefoni, giornali. Non si limitano cioè a informarci di qualcosa, ma registrano quello che ci dicono, e quello che noi diciamo attraverso di loro, annotano quello che vogliamo sapere, e tengono nota del fatto che lo abbiamo saputo. Dunque non si può fingere innocenza o disinformazione rispetto agli ordini; la traccia è lì: ci hanno cercati, era per farci fare qualcosa, se non altro per farci reagire, e la mancata reazione è già una insubordinazione. Senza tacere il fatto che nessuna televisione o giornale ci ha mai chiesto una reazione “in tempo reale”, che è viceversa proprio ciò che sta alla base dell’ingiunzione che ci viene da queste armi, il cui segreto è dunque la funzione più mite e passiva che ci sia al mondo: la registrazione.
Confrontando la filosofia della natura con la fisica moderna, Bacone aveva detto che lo scienziato deve interrogare la natura come un giudice (cioè muovendo da una teoria) e non come uno scolaro, ossia ricevendo passivamente informazioni. La rapidità delle trasformazioni apportate dal web fa sì che siamo ancora nella fase degli scolari. Manca una teoria e si è costretti ad accumulare delle osservazioni. Quel che è peggio, il quadro in cui avviene la raccolta è fuorviante, e vede nel web un mezzo di comunicazione, una specie di televisione evoluta. Trattare il web come la televisione non è diverso dal trattare il capitale come se fosse la terra, come facevano i fisiocrati. Si perde l’essenziale, e cioè la radice del plusvalore che viene prodotto dal web, la possibilità di governarlo e di democratizzarlo. Il punto di partenza per una comprensione della realtà sociale contemporanea è dunque molto semplice e apparentemente eccentrico o laterale: il web è uno strumento di registrazione prima che di comunicazione.
Se togliamo la registrazione al web non resta che un sistema di cavi sottomarini che trasportano dati. L’assoluto (e la mobilitazione che produce) non viene dallo spirito, ma dalla tecnica. L’essenza di un telefonino, di un computer connesso o di un tablet non è anzitutto (o semplicemente) la comunicazione, bensì la registrazione. La registrazione, a sua volta, si presenta come una responsabilizzazione: esige una risposta, e la esige perché la domanda è registrata, scritta, fissata, e acquisisce così la perentorietà di un ordine. La risposta può essere un altro messaggio (un altro atto nel mondo web) oppure una azione nel mondo fisico. In entrambi i casi, in una forma burocratizzata o militarizzata, abbiamo a che fare con un meccanismo di mobilitazione che non ha precedenti nella storia del mondo, ma solo esempi locali, nella rapidità delle azioni in borsa o delle operazioni militari. Un meccanismo nuovo, dunque, più nuovo dell’intero sistema capitalistico con cui si ritiene di essere in grado di spiegarlo – sebbene, per così dire, sia stato preparato da tutta la storia dell’uomo.

La risorsa fondamentale: la registrazione

Fisica del potere. La fisica del potere è offerta dalla registrazione, una proprietà esistente in natura (si pensi al codice genetico) e che sta alla base della cultura: in assenza di registrazione, infatti, non saremmo in grado di pensare (la perdita della memoria è perdita del pensiero), di fare scienza e cultura (le produzioni scientifiche e culturali sono sempre registrazioni, paradigmaticamente nella forma della scrittura), di costruire oggetti sociali (che, come vedremo, consistono appunto nella registrazione di atti). Ecco perché l’umanità si è munita di buonora di protesi tecniche della memoria, come appunto la scrittura, l’archivio e (nelle società senza scrittura) la ripetizione rituale. La crescita esponenziale di apparati di registrazione che ha caratterizzato la storia umana, con una accelerazione nell’età moderna e una impennata negli ultimi decenni, non è semplicemente un accidente tecnico. È a mio parere la rivelazione della struttura profonda della realtà sociale e della sua necessità di disporre di documenti.
Tecnica e rivelazione. L’arcaico si manifesta nel contemporaneo, la storia dell’uomo sembra concentrarsi in un apparecchio che la mia generazione ha incontrato solo in piena età adulta. In questo, non c’è niente di sorprendente: ogni innovazione tecnica ci mette in contatto con le fasi più antiche ed elementari dell’umanità. La tecnica, in generale, non perverte la natura umana, come vogliono gli apocalittici, ma nemmeno la asseconda docilmente, come vogliono gli integrati. Diciamo piuttosto che la rivela a se stessa, e proprio la proliferazione di questi strumenti lo dimostra. Ora, sarebbe un errore pensare che si tratti semplicemente di una deriva tecnologica.
Quello che chiamiamo “cultura” è un sistema per creare connessioni e automazioni, per costruire relazioni, per dar forma a intuizioni e a bisogni, e spesso per creare motivazioni, rispondendo a esigenze che non sono solo di piacere, ma anche di potere. Lo scimmione di 2001: Odissea nello spazio brandisce la sua ur-clava proprio come noi brandiamo un telefonino, e con intenzioni che dopotutto non sono troppo diverse. È sempre stato così, e le trasformazioni tecnologiche degli ultimi anni non hanno fatto che incrementare questa tendenza. In fondo, Aristotele aveva detto che l’uomo è un animale sociale e dotato di linguaggio, e quello che abbiamo sotto gli occhi ne è la prova.
Aristotele ha anche lungamente analizzato il ruolo della memoria nella costruzione dell’esperienza e del sapere, negli uomini e già negli animali, e anche in questo caso l’esplosione della registrazione a cui assistiamo non appare come una perversione ma come la realizzazione coerente della nostra seconda natura. Quello che Aristotele non ha detto è che il linguaggio ha per fine la registrazione (e non l’espressione, come viceversa leggiamo all’inizio del Perì herme­neias17), visto che una parola che fosse pura comunicazione, che non fosse accompagnata da registrazione, non avrebbe alcun modo di trasformare l’animale dotato di linguaggio in un animale sociale. Per capire pienamente questo stato di cose abbiamo dovuto aspettare molto tempo: la nascita della scrittura, quella della burocrazia, gli archivi, la stampa, ma solo oggi, in questo enorme reticolo burocratico che è il web, tutto è molto più chiaro.
L’età della registrazione. Nel giro di un secolo abbiamo avuto almeno tre età, diverse tra loro non meno che il neolitico e l’età del bronzo.
Sino a metà del Novecento siamo stati nel pieno dell’età della produzione: si fabbricavano artefatti, quelli su cui, per esempio, si è costruito il “miracolo italiano”. La produzione avveniva in tempi scanditi e in spazi ben delimitati: otto ore, e poi finisce il turno, non si può esercitare ininterrottamente una funzione che richiede energia fisica e la disponibilità di grossi apparati meccanici concentrati nelle fabbriche.
I teorici postmoderni hanno a giusto titolo spiegato, già mezzo secolo fa, che la società industriale basata sulla produzione aveva fatto il suo tempo. Con questo, tuttavia, hanno sviluppato nella maggior parte dei casi quella che potremmo definire una “teoria pentecostale della società”, ossia l’idea secondo cui, finita l’epoca della produzione, iniziava l’epoca della comunicazione, cioè una singolare spiritualizzazione del mondo sociale, nella quale lo scambio di significati avrebbe preso il posto della produzione di oggetti. Questa idea, oltre che empiricamente erronea (la produzione, ovviamente, non era finita, ma solo delocalizzata), era anche teoricamente problematica. Come dimostra lo stato di cose illustrato nel capitolo precedente, ciò che ha luogo è anzitutto una trasmissione di ordini, il cui valore perentorio non si spiegherebbe se avessimo semplicemente a che fare con una società della comunicazione.
Da quando il web e i suoi dispositivi hanno fatto irruzione capillarmente nella nostra vita, siamo infatti entrati in una terza età, che propongo di chiamare “età della registrazione”: come nell’epoca della produzione si fabbrica, come in quella della comunicazione si trasmette, ma ciò che viene fabbricato e trasmesso è un documento registrato, destinato a rimanere lì dove si trova e inoltre a circolare per un tempo e uno spazio indefiniti. Ogni utente è, insieme, un produttore di informazioni, postate sui social network. Al tempo stesso, ogni contatto sul web produce automaticamente informazioni e documenti sugli utenti. Si crea una situazione di indistinzione tra sociale e mediale (la vita sociale è quella che ha luogo sul web) e tra privato e lavorativo (gli stessi dispositivi servono per il lavoro così come per la gestione della vita privata e per l’intrattenimento).
Nel momento in cui sono disponibili delle risorse tecniche, queste si dispiegano secondo una logica immanente, andando al di là delle previsioni di qualunque progettatore. È questo il principio astratto di un fenomeno concretissimo nato e cresciuto sotto gli occhi di meno di una generazione senza che alcuna scelta deliberata lo animasse, rispondendo alla chiamata delle armi, con un movimento che ha i caratteri della rivelazione di un arcaico e di un inconscio sociale. Al suo primo apparire, il telefonino era una macchina per parlare, ossia per formulare messaggi la cui sopravvivenza era affidata solo a una registrazione esterna e spesso inefficiente, la mente degli interlocutori. Ma molto presto, e del resto sorprendendo gli stessi tecnici che li progettavano e le compagnie che li distribuivano, i telefonini si sono evoluti in macchine per scrivere, e poi, con una crescita della memoria che non ha equivalenti in alcun apparato tecnico di uso quotidiano, in meccanismi per registrare comunicazioni, immagini, testi. Ripeto che né i tecnici né le compagnie prevedevano una evoluzione in questa direzione. Prova lampante, a mio avviso, del fatto che in questo semplice evento tecnico abbiamo a che fare con la rivelazione di un inconscio sociale, che si manifesta attraverso un processo di emersione che studieremo nel prossimo capitolo18.
Registrazione e responsabilità. Immaginiamo che a un condannato a morte venga offerta l’alternativa tra una pastiglia di cianuro e un preparato chimico chiamato “amnesina”, che provoca oblio totale. È probabile che sceglierebbe l’amnesina, se non altro per pesare sul regime carcerario con il costo del suo corpo immemore. Ma è altrettanto certo che l’atteggiamento con cui prenderebbe l’amnesina sarebbe lo stesso che avrebbe nell’assumere il cianuro: la certezza che quello che lui è come ente sociale, ossia la somma dei suoi ricordi, se ne andrebbe per sempre.
E adesso, spostandoci dall’individuo alla società, immaginiamo di somministrare a tutti gli attori di un qualche evento sociale pillole di amnesina di effetto più circoscritto, che durino quanto un matrimonio, una seduta di borsa o una partita di calcio. E immaginiamo che tutte le memorie esterne, dalla carta ai video al web, si cancellino. A questo punto, del matrimonio, della seduta di borsa o della partita non resterebbe nulla, perché l’essenza degli oggetti sociali consiste proprio nell’essere pensati e registrati.
Prendiamo infine un caso a mezza via tra l’individuale e il sociale. Immaginiamo due persone che hanno commesso lo stesso crimine, ma uno ne ha memoria, l’altro no. Stranamente (questa è almeno la mia intuizione) ci sembrerebbe meno colpevole l’immemore perché l’immemore è dopotutto un’altra persona. Lady Macbeth senza i suoi rimorsi è ancora Lady Macbeth?19 Ecco il nesso essenziale che lega la responsabilità al dovere: senza registrazioni, senza memorie, nessuna responsabilità. Il che ovviamente comporta: quante più registrazioni, tanta più responsabilità.
La registrazione incomincia a gettare un po’ di luce sull’enigma della mobilitazione, l’imposizione che dal mondo degli oggetti so...

Indice dei contenuti

  1. La chiamata
  2. La mobilitazione
  3. L’apparato
  4. La disposizione
  5. La risposta
  6. Parole chiave
  7. Ringraziamenti