1. Miserie della felicità
Il «Financial Times», immancabile lettura quotidiana per migliaia di persone che contano e per una massa ancora più grande di mediocri che sognano di diventare come loro, pubblica una volta al mese un supplemento patinato dal titolo How to Spend It, «come spenderlo». Nel titolo si allude evidentemente al denaro: o meglio a quello che rimane dopo aver fatto tutti gli investimenti che promettono altro denaro e dopo aver pagato tutte le bollette e i conti salati di una casa con giardino, le fatture del sarto, gli alimenti dell’ex-partner e i debiti con l’autosalone. Si allude insomma a quel margine residuo di libertà di scelta (ampio per alcuni, ma per tutti insufficiente) che va al di là del tipo di esigenze cui le persone che contano devono obbedire. Il «come spenderlo» allude al premio tanto atteso dopo giornate piene di scelte logoranti e azzardate, e dopo notti trascorse insonni per timore di aver fatto passi falsi e scommesse sbagliate; allude alla gioia che dà un senso alle sofferenze. In breve, allude alla felicità. O piuttosto alla speranza di felicità, che è essa stessa felicità. O che almeno si pensa, si spera caldamente, sia felicità...
Ann Rippin si è presa la briga di scorrere i numeri del supplemento che suggerisce «come spenderlo», per verificare che cosa si offra a un moderno «giovane emergente» come fonte materiale/segno/prova della felicità raggiunta1. Com’era prevedibile, tutte le strade per la felicità suggerite da questa pubblicazione passano per i negozi, i ristoranti, i centri di massaggio e altri luoghi dove spendere denaro. Molto denaro: 30.000 sterline per una bottiglia di brandy, 75.000 sterline per una cantina in cui conservare quella bottiglia insieme ad altre e sbalordire (rendere invidiosi? umiliare? far vergognare? sconvolgere?) gli amici invitati a vederla e ammirarla. Ma dall’alto di prezzi che certamente terranno alla larga quasi tutta la razza umana, alcuni negozi e ristoranti possono offrire qualcosa di più, qualcosa che impedirà al resto dell’umanità di presentarsi alla porta, e persino di aggirarsi nelle vicinanze: un indirizzo segreto, terribilmente difficile da ottenere, che offre ai pochi, pochissimi che riescono ad averlo la sensazione celestiale di essere degli «eletti», innalzati ad altezze cui i comuni mortali non possono nemmeno sognare di arrivare. Quel tipo di sensazione che forse un tempo provavano i mistici quando ascoltavano il messaggero angelico che annunciava la grazia divina: una sensazione che nella nostra epoca assennata e con i piedi per terra, concreta, non è quasi mai raggiungibile attraverso scorciatoie che non passino per i negozi.
Come spiega uno dei collaboratori fissi del supplemento del «Financial Times», ciò che rende «tanto seducenti» certi profumi dal costo esorbitante è che «vengono tenuti nascosti per riservarli a clienti affezionati». Questi profumi offrono, oltre a una fragranza inconsueta, un blasone olfattivo di magnificenza, e di appartenenza alla compagnia dei magnifici. Questo e altri gioie simili, nota Ann Rippin, abbinano l’appartenenza a una categoria esclusiva – una compagnia preclusa a quasi tutti – e un segno distintivo di gusto sublime e di competenza da grande intenditore (comprovati dallo sfoggio di oggetti o dalla frequentazione di luoghi inaccessibili agli altri). Tale combinazione si riduce, in ultima analisi, alla consapevolezza di godere un’esclusiva, di essere tra pochi eletti. Le delizie dei cinque sensi sono ancora maggiori se si sa che esse sono precluse ai cinque sensi altrui e che la maggior parte delle persone darebbe un occhio per provare le stesse gradevoli sensazioni... È la sensazione di privilegio a rendere felici le persone che contano? È con l’assottigliarsi della folla dei compagni di viaggio che si misura il progresso verso la felicità? O, quanto meno, è quella convinzione – esplicitamente dichiarata, o tenuta al coperto e mai espressa – a guidare la ricerca della felicità dei lettori di questo supplemento?
Come che stiano le cose, secondo Rippin questo modo di raggiungere lo stato di felicità è efficace, nel migliore dei casi, solo in parte: le momentanee gioie che se ne ricavano si dissolvono e svaniscono ben presto, lasciandosi dietro un’ansia durevole. Il «mondo immaginario» narrato dai redattori di How to Spend It è contraddistinto, secondo Rippin, da «fragilità e precarietà. La lotta per legittimarsi attraverso la magnificenza e l’eccesso implica instabilità e vulnerabilità». Gli inquilini di quel mondo immaginario sanno che «non potranno mai averne in quantità o qualità sufficienti per essere al sicuro. Il consumo non conduce alla sicurezza e alla sazietà, ma a un’ansia crescente. È impossibile averne abbastanza». Come avverte uno dei giornalisti che collaborano a How to Spend It, in un mondo in cui «tutti» possono permettersi un’auto di lusso, chi mira davvero in alto «non ha altra scelta che fare un altro passo verso il meglio».
Questo è ciò che colpisce quando (se) si guarda più da vicino. Ma non tutti guardano, ancor meno sono gli interessati e sono pochissimi, infine, coloro i quali, se volessero, avrebbero la possibilità di guardare, poiché il prezzo dei posti da cui si vede bene è mille miglia oltre i loro mezzi e non si avvicina neanche un po’. Ma intravedere appena, per grazioso omaggio dei tanti settimanali che vanno a caccia di celebrità, quella sorta di «ricerca della felicità» che la maggior parte di noi non può permettersi, ci invita a fare lo stesso, anziché ammonirci a non provarci. In fin dei conti, questo è ciò che consentirebbe di essere come quelli che contano... La prospettiva di cadere in preda all’ansia, per quanto frustrante, è un prezzo modesto da pagare per arrivare in cima. Il messaggio sembra chiaro e sensato: la via che porta alla felicità passa per i negozi, e quanto più sono esclusivi, tanto maggiore è la felicità cui si arriva. Arrivare alla felicità significa ottenere cose che altri non hanno la possibilità di ottenere, nemmeno in prospettiva. La felicità richiede di essere sempre un gradino sopra agli altri...
I negozi delle vie commerciali non prospererebbero se non fosse per le boutique nascoste nei vicoli, i cui indirizzi vengono divulgati a (poche) persone selezionate. Le boutique nei vicoli vendono prodotti diversi dai negozi della via principale ma mandano lo stesso messaggio, promettono di soddisfare sogni straordinariamente simili. Ciò che esse offrono ai pochi eletti darà certamente autorevolezza e credibilità alle promesse delle repliche che si vendono in massa sulla via principale. E le promesse, in un caso e nell’altro, si somigliano in modo sorprendente: una promessa ci rende «migliore di» qualcun altro, e dunque in grado di sopraffare, umiliare, avvilire e screditare gli altri che hanno sognato di fare quello che abbiamo fatto noi ma non ci sono riusciti. In breve, la promessa della regola universale di essere sempre un gradino sopra agli altri viene messa al nostro servizio...
Un altro giornale, noto per essere consultato da molti lettori del «Financial Times», passa regolarmente in rassegna le novità sul mercato dei giochi per computer. Molti di questi devono la popolarità al divertimento che offrono: prova sicura e liberamente scelta di quella prassi, consistente nell’essere sempre un gradino sopra agli altri, che nel mondo reale è tanto rischiosa e pericolosa quanto obbligatoria e inevitabile. Questi giochi consentono di fare ciò che si è stati esortati a fare e forse si è persino desiderato di fare, ma che viene impedito dalla paura di farsi male o dagli scrupoli di far del male ad altri. Uno di questi giochi, raccomandato come «carneficina finale» e «autoscontro» da combattersi «fino all’ultimo che resta in piedi» viene descritto da un recensore con parole entusiastiche, senza la minima ironia:
I più divertenti [...] sono gli eventi che ti chiedono di provocare con tempismo e precisione uno scontro in cui il manichino che rappresenta il tuo pilota manderà in frantumi il parabrezza, o salterà in aria. Sparare il tuo sventurato protagonista in enormi corsie di bowling, ad esempio, o farlo rimbalzare come un ciottolo liscio su un vasto specchio d’acqua: ognuno degli eventi che si verificano sulla pista è ugualmente assurdo e violento e rende il gioco spassoso.
L’abilità (il tempismo e la precisione nell’assestare colpi) contro la «sventura» del personaggio (la sua incapacità di rendere pan per focaccia) è ciò che rende l’essere sempre un gradino sopra agli altri un «gioco» tanto piacevole e «spassoso». L’autostima – l’incoraggiamento all’ego che deriva dall’esibizione delle proprie eccelse abilità – è stata raggiunta mediante l’umiliazione del protagonista. L’abilità potrebbe essere altrettanto grande, ma molto meno gratificante e divertente, senza il protagonista sotto forma di manichino scagliato contro il parabrezza, mentre chi lo muove se ne sta al sicuro, seduto al posto di guida.
Già Max Scheler, nel 1912, aveva notato che la persona comune, anziché fare esperienza dei valori prima di raffrontarli, apprezza un determinato valore solo «al momento [...] e in forza [...] della comparazione» con gli averi, la situazione, la condizione o la qualità altrui2. Il guaio è che quasi sempre uno degli effetti collaterali di un simile raffronto è la scoperta di non possedere un qualche valore oggetto di apprezzamento. Tale scoperta e, ancor più, la consapevolezza che l’acquisizione e il godimento di quel valore vanno al di là della capacità della persona suscitano sentimenti fortissimi e innescano due reazioni opposte ma altrettanto vigorose: il desiderio irresistibile (reso tanto più straziante dal sospetto che sia impossibile da soddisfare) e il ressentiment (il rancore provocato da uno stimolo disperato a esorcizzare la svalutazione e il disprezzo di sé svalutando, deridendo e declassando il valore in questione e coloro che lo possiedono). Possiamo notare che l’esperienza dell’umiliazione, in quanto risultante di due spinte tra loro contraddittorie, produrrà un atteggiamento fortemente ambiguo, una dissonanza cognitiva esemplare, focolaio di comportamenti irrazionali e fortezza impenetrabile agli argomenti razionali. Inoltre sarà fonte di ansia perenne e di disagio spirituale per chiunque ne sia afflitto. Ma, come aveva previsto Max Scheler, tra i nostri contemporanei il numero di coloro che sono afflitti da questa malattia è molto elevato; si tratta di un malanno contagioso, e nessuno o quasi di coloro che vivono nella società dei consumatori liquido-moderna può considerarsi del tutto esente dal rischio di contaminazione. Secondo Scheler tale vulnerabilità è inevitabile (e probabilmente incurabile) in un tipo di società in cui una relativa uguaglianza di diritti (politici e non) e una uguaglianza sociale formalmente riconosciuta vanno di pari passo con un’enorme differenziazione del potere effettivo, degli averi e dell’istruzione: una società in cui ognuno «ha il diritto» di considerarsi uguale a chiunque altro, ma di fatto non è in grado di esserlo3.
In una simile società, la vulnerabilità è (almeno potenzialmente) universale. Tale universalità, come l’universalità della tentazione di essere sempre un gradino sopra agli altri, cui è intimamente legata, rispecchia la contraddizione interna irrisolvibile di una società che definisce uno standard di felicità per tutti i suoi membri che alla maggior parte di loro non è data possibilità, o addirittura è impedito, di raggiungere.
Esprimendo un parere che avrebbe potuto benissimo essere rivolto ai consumatori della società dei consumi – formulato com’era in un linguaggio facilmente comprensibile, grazie all’utilizzo di metafore in straordinaria consonanza con la loro visione del mondo (sebbene non particolarmente in linea con le loro inclinazioni e preferenze) – Epitteto, ex schiavo divenuto, nell’antica Roma, eminente rappresentante della scuola filosofica dello stoicismo, affermò quanto segue:
Ricorda che devi comportarti come a un banchetto.
Una portata è giunta di fronte a te: allunga la mano e prendi la tua parte con moderazione; viene portata via: non trattenerla; non è ancora arrivata: non seguire troppo l’appetito, ma aspetta finché non l’hai di fronte. Così devi comportarti con i figli, la moglie, con le cariche pubbliche, con la ricchezza, perché un giorno sarai degno di ...