Diritto d'amore
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Diritto d'amore

  1. 158 pagine
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Diritto d'amore

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Parlare di diritto d'amore non serve a legittimarlo, l'amore non ha bisogno di legittimazione. L'amore vuol farsi diritto per realizzarsi pienamente.

La domanda che Stefano Rodotà si pone in questo libro – esemplare nelle sue affilate argomentazioni, nell'analitica lucidità – è se sia possibile conciliare queste due potenze, il diritto e l'amore. Se, in altre parole, sia possibile, per un verso, 'liberare l'amore', riconsegnandolo alla vita nella sua ricchezza e variabilità, e, per l'altro, trasformare il diritto da aggressivo gendarme dei sentimenti in rispettoso fautore del primato della persona. Remo Bodei, "Il Sole 24 Ore"

Al conflitto permanente tra diritto e amore dedica bellissime pagine Stefano Rodotà, giurista da sempre attento al tumultuoso rapporto tra l'irregolarità e l'imprevedibilità della vita e l'astrazione formale della regola giuridica. Inutile aggiungere da che parte stia Rodotà. Ed è superfluo anticipare che in questa storia i protagonisti non sono solo il diritto e i sentimenti ma anche la politica. Simonetta Fiori, "la Repubblica"

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858130322

1.
Diritto contro amore?

Sono compatibili, sono pronunciabili insieme, le parole diritto e amore? O appartengono a logiche conflittuali, tanto che l’una e l’altra cercano reciprocamente di sopraffarsi? Il diritto è stato pesantemente usato come strumento di neutralizzazione dell’amore, quasi che, lasciato a sé stesso, l’amore rischiasse di dissolvere l’ordine sociale. Opinione antica, dunque non riferibile soltanto alle vicende a noi più vicine. Siamo di fronte ad un conflitto, combattuto però non ad armi pari, con il potere concentrato sostanzialmente dalla parte del diritto, che lo esercita come strumento per il disciplinamento dell’amore, fino a negare alla persona la libertà d’innamorarsi.
Nel definire la vita, Montaigne ne parla come di «un movimento ineguale, irregolare e multiforme»1. Qualcosa che, per la propria intima natura, si presenta irriducibile all’esigenza di un diritto che parla invece di eguaglianza, regolarità, uniformità. Dunque di astrazioni, che non tollerano l’imprevedibile, il volubile, la sorpresa, che invece sono caratteristiche della vita. Con intensità ancora maggiore possiamo dire lo stesso dell’amore, che consegna alla vita il massimo di soggettività, la immerge nelle passioni, evoca «gli spettri della discontinuità e dell’incoerenza»2, ci porta nell’intimo di motivi che la regola giuridica non può o non vuole cogliere, perché intende parlare il linguaggio della ragione e non dei sentimenti. La moderna concezione dell’amore sembra essere contrassegnata appunto «dalla nebulosità delle emozioni, dall’imprevedibilità degli eventi e dei loro sviluppi»3.
Dobbiamo allora chiederci, fin dall’inizio, se sia possibile l’integrazione dell’amore in una visione razionalistica del matrimonio4, che di esso è stata riferimento costante, obbligato per il diritto5. Una inconoscibilità radicale, che preclude ogni possibile riconoscimento?6 Dobbiamo concludere che l’amore, nella sua essenza, è «allergico alle goffagini del diritto civile»?7 O, più radicalmente, che, timoroso com’è degli incendi, il diritto ha confinato l’amore senza legge in uno stato d’eccezione8. Dobbiamo allora convenire che, se il diritto vuole avvicinarsi all’amore, deve abbandonare non solo la pretesa d’impadronirsene, ma anche trasformare tecnicamente sé stesso in un discorso aperto, capace di cogliere e accettare contingenza, variabilità e persino irrazionalità9. Soprattutto, di fronte alla vita, il diritto deve essere pronto a lasciare il posto al non diritto10.
Ma il diritto non è stato solo nell’opera di anestesia dei sentimenti, tra i quali l’amore finiva con il presentarsi come il più pericoloso, per la sua pienezza, per il suo occupare la vita spesso senza lasciare spazi per altro che non fosse l’abbandono ad esso o comunque divenendone una possessiva componente. Al diritto è venuta in soccorso la politica, quando ha assunto tra i suoi compiti anche quello di «formare il cittadino serio e onesto, obbediente alle regole, parsimonioso nelle passioni», in una logica «di disciplinamento delle pulsioni»11. Questo modo d’intendere e praticare la politica ha fatto sì che, per una non breve fase della storia italiana, si è potuto sostenere che non fossero sostanzialmente visibili i caratteri distintivi tra «il rigorismo cattolico e quello social-comunista»12. Si comprende così la difficoltà di un mutamento pure delle più aggressive tra le regole giuridiche, che nella politica ha trovato, e ancora continua a trovare, fiere resistenze con motivazioni diverse, che parlano di tutela della morale pubblica e privata o di garanzia del matrimonio eterosessuale come storico fondamento dell’ordine sociale. Questo esempio italiano, assai eloquente, non è tuttavia isolato. Nei tempi e nei luoghi più diversi l’alleanza tra politica e diritto ha potentemente contribuito a creare condizioni propizie a costumi e abitudini che respingevano l’amore e la sua pienezza.
Forse il tentativo più intenso di sfuggire alla logica conflittuale, a questa irriducibilità reciproca tra amore e diritto, dobbiamo cercarlo non nelle pagine di un giurista, ma in una poesia di Wystan Hugh Auden, intitolata appunto Law like love (Diritto uguale amore), che vuole andare oltre ogni contrapposizione. In quei versi vi è una lunga elencazione di che cosa sia il diritto mettendolo sempre in relazione con qualcosa che riguarda la vita della persona, mostrandone così la variabilità, smentendone la fissità e l’implacabilità formale. E nei quattro versi finali il gioco si ripete, a parti invertite, per l’amore. «Come in amore né dove né perché sappiamo, / Come in amore né obbligare né scappare possiamo, / Come in amore spesso piangiamo, / Come in amore quasi mai obbediamo»13. Così, entrambi collocati in un rapporto immediato appunto con la vita della persona, diritto e amore si riavvicinano, e lo stesso diritto viene strappato dal cielo delle astrazioni. Un paradosso poetico o un’indicazione di cui dobbiamo profittare?
Nell’esperienza storica, il diritto si è fortemente impadronito dell’amore, e questa esperienza deve essere considerata nella sua complessità, nelle variabili che l’hanno accompagnata14. Nella modernità occidentale soprattutto, lo ha chiuso in un perimetro, l’unico all’interno del quale poteva e doveva essere considerato giuridicamente legittimo: il rapporto coniugale formalizzato, il matrimonio, tanto che si è giunti a scrivere che «non si dà ‘libertà sessuale’ fuori, e perciò anche prima, del rito-matrimonio»15. In questo perimetro veniva poi operata una seconda riduzione, costruendo i rapporti tra i coniugi secondo categorie tipiche del diritto patrimoniale. La proprietà: ciascun coniuge ha un diritto sul corpo dell’altro, dunque sulla sua persona, in una visione estrema sulla sua stessa vita. Il credito: il diritto di esigere prestazioni sessuali connota la relazione matrimoniale, all’interno della quale compare il «debito coniugale».
Ma queste vicende solo nelle apparenze riguardano allo stesso modo entrambi i coniugi. I loro rapporti giuridici sono costruiti obbedendo ad una «naturale» asimmetria, all’insegna di una permanente diseguaglianza. «La pretesa che la ragazza non porti nel matrimonio con un uomo alcun ricordo di relazioni sessuali con un altro, non è a ben vedere che la continuazione logica di quel diritto all’esclusivo possesso di una donna, che forma l’essenza della monogamia: l’estensione di questo monopolio al suo passato». Così scrivevano i giudici italiani all’inizio del secolo, dando rilievo all’error virginitatis che così diveniva causa di annullamento del matrimonio, per errore sulle qualità personali del coniuge. Per questi giudici erano del tutto irrilevanti le osservazioni contenute in una sentenza del 1911 della Corte d’appello di Milano, presieduta dal più gran magistrato del tempo, Ludovico Mortara, che ancor oggi possono essere lette con profitto. «Elevare la verginità fisica della donna a qualità essenziale, il cui difetto, se non è stato prima dichiarato, diviene causa di annullamento delle nozze, significa abbassare il matrimonio al livello di un contratto commutativo, nel quale l’oggetto principale sarebbe costituito dal corpo degli sposi; vuol dire estendere al matrimonio i principi della garanzia che il venditore deve al compratore per i vizi e difetti occulti della cosa venduta, assegnando precisamente al difetto di verginità la funzione di un vizio redibitorio, per la quale si considera la sposa deflorata non atta a raggiungere i fini del matrimonio; nello stesso modo che si soleva nel medioevo subordinare la validità dei contratti di compra-vendita delle schiavette di Levante e di Barberia alla condizione che la giovane fosse ‘non fatta’, ma ‘sana, integra in totis suis membris sine macula’»16. Possesso, e non amore dunque, come regola giuridica di base. Proprietà, e non appartenenza reciproca, come strumento per la legittimazione di un rapporto personale che, per questa ragione, si stenterebbe a definire amoroso. E quale fosse la considerazione dell’amore in importanti e influenti scritti giuridici lo conferma il modo in cui, discutendo della nuova codificazione civile del 1942, si esprimeva uno dei più celebrati giuristi dell’epoca, Francesco Carnelutti: lo «ius in corpus o in corpore dell’un coniuge verso l’altro (...) è più vicino che non sembri al diritto nascente per l’imprenditore verso il lavoratore dal contratto di lavoro»17. Può l’amore essere associato alla subordinazione?
Queste sono le costruzioni culturali che spiegano la persistenza nel Codice civile del 1942 dell’attribuzione al marito del ruolo di «capo della famiglia», come disponeva l’articolo 14418, rimasto in vigore fino alla riforma del 1975, segno manifesto di una struttura gerarchica della famiglia di cui non fu facile liberarsi nell’elaborazione stessa della Costituzione. Quelle costruzioni spiegano, senza giustificarla, ...

Indice dei contenuti

  1. 1. Diritto contro amore?
  2. 2. Impadronirsi dell’amore
  3. 3. Matrimonio e diritti
  4. 4. Liberare l’amore
  5. 5. Soffrire e amare
  6. 6. Corti d’amore
  7. 7. Un tempo di riforme
  8. 8. Definire l’amore?
  9. 9. Giudici attenti, legislatori impotenti
  10. 10. Identità e genere
  11. 11. Amore «a bassa istituzionalizzazione»