VIII.
Potenza navale
e commerci globali
Nei mari del mondo il mercantilismo fu – in larga misura – la versione moderna di ogni imperialismo, politico ed economico nello stesso tempo. L’ascesa e il relativo declino degli imperi commerciali vanno inseriti nel quadro di una serie di componenti che, di volta in volta, risultarono decisive, come la collocazione geografica, la potenza di fuoco della flotta militare, gli interessi degli Stati rivali e la capacità di ciascuno di limitare con la forza gli spazi commerciali contesi o di conquistarli con i propri vascelli armati. L’indebolimento della struttura commerciale di Venezia nel Cinquecento, le imprese dei portoghesi e degli spagnoli, l’età d’oro della Repubblica olandese (1575-1675 circa), l’espansione dei traffici mondiali dell’Inghilterra (dopo il 1660) e la lotta per l’egemonia che contrappose quest’ultima alla Francia nella «seconda guerra dei cent’anni» (1689-1815) non si possono spiegare – com’è ovvio – guardando solo alle cause economiche.
In questo capitolo sarà messo in rilievo il ruolo dei rapporti di forza perché costituisce lo sfondo in cui collocare lo sviluppo di un’economia di scambio. Per tutta l’epoca moderna il successo mercantile di un paese fu minacciato da una potenza nemica che, in caso di superiorità militare, fece ogni sforzo per impadronirsi di una parte delle sue basi commerciali. Gli Stati di minori dimensioni – Venezia, il Portogallo, i Paesi Bassi settentrionali – non rinunciarono del tutto ai loro traffici, ma dovettero ridimensionarli o cederli parzialmente alle potenze con cui ciascuno entrò in conflitto. Vediamo, dunque, prima di considerare in dettaglio le politiche economiche, come si manifestò concretamente il mercantilismo nelle relazioni internazionali, partendo dal più antico impero commerciale, quello di Venezia.
L’affermazione della città lagunare fu favorita dalla sua posizione geografica, che le consentì di creare un asse privilegiato con le città della Germania meridionale, in piena espansione demografica ed economica tra Quattro e Cinquecento, anche grazie alla rinascita delle miniere d’argento e di rame e all’espansione manifatturiera di centri come Ulma, Augusta, Norimberga. I beni europei (tessili, metalli, argento, rame, ferro) erano incanalati attraverso il porto lagunare verso le piazze del Levante, mentre dalle colonie dello «Stato da Mar» e dalle città mediterranee s’importavano grano, olio, spezie, zucchero di canna, allume, materie tintorie, cotone greggio, seta, vino, frutta secca, lana greggia spagnola e pugliese. Oltre a rifornire la Dominante, questi e altri beni erano riesportati nell’area padana e nell’Europa centrale e settentrionale. I centri della Hansa germanica si collegarono a tale asse, commerciando con Bruges ed Anversa, seguendo le vie di terra e discendendo fiumi come la Vistola, l’Oder, il Neisse, il Weser, mentre la rotta che risaliva il Reno via Colonia raggiungeva anch’essa Venezia e crebbe in congiunzione con le fiere del Brabante e di Francoforte.
All’altro estremo, l’espansione dell’impero ottomano costituì, nel contempo, una minaccia e un’opportunità. Da un lato, dopo l’avanzata della potenza musulmana, dapprima nel Mar Nero, poi in parte nella penisola balcanica, gli empori veneziani e genovesi furono eliminati; dall’altro, i turchi non erano attratti dalle attività mercantili su scala internazionale e si limitarono a controllarle per trarne benefici fiscali, mentre la domanda dell’impero turco offriva notevoli occasioni di smercio alle produzioni europee, sicché si costituirono colonie di mercanti e rappresentanze consolari. I tessuti provenienti dall’Inghilterra, dalle Fiandre, da Milano e poi prodotti nella stessa Venezia erano riesportati in quantità crescenti a Istanbul e verso gli altri mercati del Levante. Le condizioni di mercato, però, andarono modificandosi nel corso del primo secolo dell’età moderna, a causa della crescita dei costi di protezione conseguenti all’avanzata turca, della costante minaccia dei suoi pirati e corsari e per la politica aggressiva – militare ed economica insieme – delle compagnie mercantili inglesi e olandesi. Il risvolto positivo – ma non duraturo – fu che la crescente insicurezza delle rotte mediterranee incoraggiò l’utilizzo delle vie terrestri verso il Nord Europa anche per merci voluminose.
Tutta la vita economica di Venezia dipendeva dai suoi commerci e dalle basi del suo impero coloniale, che comprendeva diverse località in Istria e Dalmazia, le isole Ionie, Cipro, Creta e altre isole greche. I territori dello «Stato da Mar» dovevano produrre materie prime ed alimentari da indirizzare nella città lagunare, mentre veri e propri Atti di navigazione ante litteram obbligavano tutte le navi a transitare dalla Dominante. L’istituzione, nel 1506, della magistratura dei Cinque Savi della Mercanzia ebbe lo scopo precipuo di dirigere centralmente i flussi commerciali, anche se privilegi ed esenzioni non sarebbero mancati nell’attività legislativa veneta.
Potenza navale, organizzazione militare e ricchezza erano comunque inseparabili, come dimostra il ruolo assegnato all’Arsenale, l’insieme dei cantieri navali di Stato che nel 1570 impiegava 4500 addetti. La politica economica, la difesa del territorio e l’organizzazione della protezione delle flotte si fecero ancor più interdipendenti, dato che la città si trovò schiacciata tra le maggiori potenze dell’epoca, che vennero a disporre di risorse notevolmente superiori a quelle veneziane. Non deve ingannare il fatto che le guerre combattute da Venezia tra l’inizio del Cinquecento e i primi decenni del Seicento siano state poche e di durata relativamente limitata. In realtà, soprattutto dopo il primo attacco del 1537, la mobilitazione delle difese marittime fu continua, nonostante l’adozione di una strategia consapevolmente difensiva di neutralità armata, basata sullo «scanso» delle navi turche, intesa essenzialmente a evitare gli scontri di ogni genere. Sebbene a Venezia non mancasse un...