25 aprile 1945
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25 aprile 1945

  1. 252 pagine
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25 aprile 1945

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25 aprile 1945, il destino dell'Italia è cambiato per sempre.Colpi di scena, di mano e d'arma da fuoco: la Storia non è un romanzo ma come un romanzo la si può raccontare, soprattutto se l'intreccio tra i protagonisti avvince come avvince la libertà quando è sul punto di essere riconquistata.

Carlo Greppi ricostruisce il giorno della liberazione senza arretrare di un millimetro dal metodo ma utilizzando una struttura nella quale la verità storica risulta quasi maieuticamente estratta dalla narrazione dei luoghi, dei fatti, delle connessioni.Marco Bracconi, "Robinson – la Repubblica"

Da storico e da narratore, Greppi sceglie tre vite – quelle dei partigiani Cadorna, Parri, Longo – e ce ne mostra, letteralmente, l'intreccio. Ma fa lo sforzo di riguadagnare l'ignoranza delle conclusioni, prova cioè a scrutare le scelte compiute senza sapere cosa sarebbe successo.Paolo Di Paolo, "L'Espresso"

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858145753
Argomento
Storia

Capitolo quarto.
L’insurrezione

0.

(Roma, Teatro Eliseo, 13 maggio 1945)
[continua]
... ma il movimento partigiano era diventato ormai una specie di gramigna che non si sradica più: battuta una formazione in una zona, se ne riformava un’altra nella zona vicina e poco dopo risorgeva nella zona stessa ove prima era stata dispersa, tanto che nell’estate del ’44 potevamo contare su di un complesso di ottantamila partigiani raggruppati in bande che poi si accrebbero fino ad un massimo di centomila uomini un po’ meglio armati di prima. Le bande armate di montagna erano affiancate da formazioni territoriali di partigiani costituite nella pianura e sempre in aumento, tanto che nel colmo dell’estate raggiungemmo i duecentomila mobilitati cui si univano anche le formazioni cittadine.
Eravamo intanto riusciti a dare una forma quasi regolare all’organizzazione militare. Il Comitato militare che si era costituito in un primo tempo fu da noi trasformato in Comando militare provvisto di regolari servizi: un ottimo servizio di informazioni degno di un esercito regolare, organizzato con grande fatica e con molti pericoli e che ha funzionato fino all’ultimo giorno ed ha costituito per i tedeschi – a loro dichiarazione – un vero pruno in un occhio, il più ostico di tutti.
Tutta l’Italia settentrionale era divisa in zone dipendenti da questo comando; ogni regione aveva un Comando regionale militare facente capo al Comando generale, un comandante militare, un commissario politico, un vice comandante, un vice commissario e un capo di Stato maggiore. Questa formazione non era certo la più razionale dal punto di vista militare, ma era indispensabile far così per tener conto delle varie frazioni politiche che erano rappresentate nel nostro esercito.
Nell’organizzazione del movimento partigiano il Partito comunista era grandemente facilitato dall’avere una gran quantità di quadri ed era in grado di poter inquadrare in partenza molta gente. La massa comunista è selezionata e disciplinata in modo che i capi non hanno bisogno di esporsi.
Il Partito d’azione, invece, non aveva quadri così favorevoli, era un movimento democraticamente progressista di stile antico come organizzazione di partito e ci trovammo a dover lottare per avere anche noi una organizzazione vera e propria e a superare maggiori difficoltà per trovarci in linea con gli altri. Questo superamento lo abbiamo pagato duramente, ma in prima linea ci siamo stati e posso dire con orgoglio e con soddisfazione che il Partito d’azione nell’Italia settentrionale è stato in testa a tutti ed è forse quello che ha pagato di più.
Lo sapeva bene, l’oratore, che cosa aveva significato pagare il proprio impegno. Lo sapeva lui e lo sapeva il pubblico del Teatro Eliseo, che era lì a ricordare i venti mesi di guerra partigiana, tutte le sue anime, e tutti quelli che ne erano stati i protagonisti.
Dobbiamo però tener presenti anche gli altri: i gruppi socialisti, molto forti, e i raggruppamenti dei democratici cristiani; e quando dico gruppi socialisti e democristiani si deve comprendere gruppi controllati da questi partiti, con capi che riscuotono la fiducia di tali partiti. Vi erano anche gruppi di giovani liberali, giovani generosi, magnifici davvero e fra essi ricordo Franchi, caro, indiavolato, compagno.

1.

San Vittore, 1° marzo 1945
Caro Rossi, non ti do dettagli sul mio incidente perché sono certo che già li conosci. Impresa avventata, un po’ di sfortuna, comunque è fatto e non pensiamoci più. Hanno cominciato subito ad interrogarmi. Sul principio sono stato un po’ in forse se rimanere o no sulla negativa assoluta. Ma poi ho considerato che, nelle mie condizioni, era probabilmente un esibizionismo inutile, quindi ho seguito i tuoi vecchi consigli. Possedevo un quadro preciso di quanto era a loro conoscenza, avendo sempre seguito le deposizioni dei vari amici caduti prima di me e potevo parlare molto, senza dir nulla. Ne ho approfittato naturalmente per metterli su false piste dove sapevo che non erano informati. Purtroppo sanno molto perché nei vari incidenti è stato catturato un materiale ingente. Con Maurizio e Catone hanno preso addirittura un archivio. Ma dove credo di essere riuscito veramente a convincerli è sul punto che ormai la Franchi è da considerarsi un episodio finito e che col mio arresto sono riusciti a completare la totale distruzione.
La lettera che Franchi scrive a McCaffery dopo essere stato catturato, e che pubblicherà nel suo Guerra senza bandiera, è una limpida dichiarazione di intenti sua e – verrebbe da dire – di tutto il partigianato che stiamo vedendo all’opera, di tutte le anime che cercano con convinta determinazione l’unità antifascista, e lo slancio finale.
Vedi, voi inglesi, nel dirigere la resistenza italiana pensate esclusivamente a fare la guerra e avete ragione. Tu, che sei un nostro vero e fedele amico, pensi anche a salvare degli uomini onesti per la ricostruzione dell’Italia ed è un nobilissimo sentimento per il quale non possiamo non sentirci profondamente grati e commossi. Ma noi che siamo italiani abbiamo anche un terzo pensiero che sopravanza di gran lunga gli altri due. Per noi questa lotta ha, in se stessa, un valore e un significato che per voi non ha.
Per noi è una lotta di espiazione, di redenzione, di riscatto morale e politico che la rende necessaria, indipendentemente dai risultati, dall’opportunità, dal calcolo militare. Probabilmente gli amici miei ed io non abbiamo, in questi mesi, concluso molto; siamo e restiamo dei dilettanti, dei giovani pieni soprattutto di buona volontà. Eppure, la febbre, lo slancio che abbiamo sempre avuto, questo ansioso e continuo desiderio di batterci, senza soste e tregue, è proprio quello che ci dà la certezza di avere fatto qualcosa, che tranquillizza la nostra coscienza, ora specialmente che siamo costretti ad attendere, inutili, fra quattro mura. Io credo che la lotta partigiana, questa nostra lotta partigiana, non si misuri nei risultati, ma si misuri soprattutto nello spirito di chi l’ha condotta.
Perché la lotta contro la Germania gli Alleati la vincono e la vincerebbero anche senza di noi. Ma la guerra nostra, la guerra per l’Italia, la guerra contro la decadenza morale e politica di questo popolo infelice, quella la dobbiamo e la possiamo combattere soltanto noi e questa di oggi non è che la prima battaglia.
Tu sai bene e da tempo qual è la mia fede, la mia aspirazione, la meta di tutti i miei sforzi. Vorrei che gli italiani riacquistassero una dignità e una coscienza morale degna di uomini liberi, vorrei che ci fosse tra noi meno gente in gamba e più gente onesta. Vorrei che ogni disgraziato con la coscienza a posto sentisse e capisse quant’è più ricco, più sicuro, più forte di un milionario o di un grand’uomo con la coscienza sporca.
Quando speravano ancora di avere da me delle indicazioni per arrestare qualcuno, quei signori andavano dicendo che se li aiutavo un po’ non mi avrebbero fucilato. Noi pensiamo al futuro, dicevano, e vogliamo salvare degli uomini intelligenti per l’Europa e per la civiltà. Ho risposto che, secondo me, l’Europa e la civiltà hanno bisogno soprattutto di uomini onesti. Il mio pensiero è tutto qui. E oggi sono convinto che non è onesto per nessun italiano rimanere con le mani in mano. Il tempo stringe; i mesi in cui possiamo ancora fare qualcosa, sono pochi, forse pochissimi; non c’è da perdere neppure un minuto e tu devi lasciarci combattere questa battaglia. Non hai il diritto di impedircelo. Ricorda che noi siamo alleati non perché facciamo la stessa guerra, ma perché ci battiamo per la stessa idea. E per quell’idea questa è la prima battaglia, la premessa indispensabile. Dopo ne verranno altre. Combatteremo anche quelle. Vinceremo? Io penso che per noi stessi, per la nostra coscienza, anche allora, come adesso, importi soprattutto e innanzitutto combattere.

2.

Nelle ore dell’insurrezione, Franchi non ci sarà: il colpo di mano – il tentativo di far evadere Maurizio – è l’ultimo episodio della guerra che ha vissuto da uomo libero. Non fu deportato perché oramai la guerra era verso la fine, e i treni di deportazione non partivano più: dopo essere stato trasferito – insieme a Catone – a Verona, il 25 aprile si troverà in un campo di prigionia di Bolzano, e andrà a Berna da McCaffery.
Forse sono state anche le sue relazioni con gli Alleati a evitargli la fucilazione, forse è stata solo fortuna – in ogni caso, uscirà a testa alta dal suo impegno nella Resistenza.
Come in quella riunione in cui si fece detonatore, il resto dei suoi anni li passerà all’insegna dell’anticomunismo, e per questa ragione sarà un protagonista della lotta di liberazione spesso dimenticato perché difficile da raccontare. L’ultimo suo libro sarà mandato in stampa tre mesi dopo la sua morte, nel 2000, proprio con il titolo Testamento di un anticomunista, e sarà il risultato di un’intervista rilasciata da Franchi, ormai malato, al giornalista Aldo Cazzullo.
E allora, trattenendo il fermo immagine di questa lettera da lui scritta a ventinove anni, lasciamo che Franchi esca di scena così, con le parole fiere e appassionate che ha rivolto a McCaffery rivendicando senza indugio le ragioni – istintive e allo stesso tempo profonde – della sua lotta. Umberto Eco scriverà di lui che nel dopoguerra sarebbe diventato appunto “il prototipo del ‘reazionario’”: “Che importa? Così è stata la storia del nostro Paese, piena di contraddizioni. Ma Franchi-Sogno è rimasto l’eroe della mia infanzia, il Sandokan che mi ha fatto sognare” – e che ha fatto sognare anche noi.
La cattura di Franchi, che spezza la speranza di vedere Maurizio libero, non è la sola di quelle settimane. In quei giorni di inizio febbraio del 1945, la morsa nazifascista arriva alla testa del movimento partigiano e nel giro di poche ore sono sgominate diverse pedine fondamentali dei vertici della Resistenza: mentre Maurizio viene trasferito al carcere di Verona, oltre a Franchi cadono otto componenti dello Stato maggiore di Valenti tra cui, appunto, Palombo, che viene sostituito da Argenton. Il “piccolo comando”, lo abbiamo visto, è retto in sostanza da Italo per il Partito comunista, Somma per il Partito d’azione, in sostituzione di Maurizio, e da Valenti.
Il problema è che a marzo verrà arrestato anche Somma e che, neanche due settimane dopo la cattura del suo Stato maggiore, il generale se ne va sbattendo la porta.

3.

[Milano, 28 febbraio 1945]
Carissimo,
la settimana scorsa è capitato un patatrac nel comando generale. Pigliando pretesto da un incidente avuto col rappresentante del Pd’A, il nostro Generale ha preso il cappello e se n’è andato via dicendo di non volerne più sapere del comando. Tentativi fatti per trattenerlo, riportarlo in seduta, non valsero a nulla. Il giorno dopo si doveva discutere al Clnai il testo per la trasformazione delle formazioni partigiane in unità militari regolari, testo che lui aveva approvato che vi abbiamo già mandato per conoscenza.
Si era stabilito da pochi giorni che tutte le formazioni partigiane esistenti cessassero di dipendere dai vari comandi generali e venissero poste a tutti gli effetti sotto il solo comando generale del Cvl e che venissero aboliti tutti i comandi, le dipendenze organizzative e le denominazioni particolari. Era il compimento del tanto sognato, e faticoso, processo di unificazione partigiana, o almeno così sembrava.
L’incidente da cui partì tutta questa faccenda fu dei più banali. Il Pd’A faceva la sua proposta di creare un ufficio operazioni. Il Generale che vedeva in questa proposta l’intenzione d’imporgli degli ufficiali di provenienza di partito si inalberò, interruppe a più riprese il Pd’A che espo...

Indice dei contenuti

  1. Capitolo primo. Arrendersi o perire
  2. Capitolo secondo. La clandestinità
  3. Capitolo terzo. La trattativa
  4. Capitolo quarto. L’insurrezione
  5. Capitolo quinto. L’ultima delle nostre guerre
  6. Dopo la Liberazione
  7. Crediti e debiti