Il medico delle mummie
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Il medico delle mummie

Vita e avventure di Augustus Bozzi Granville

  1. 224 pagine
  2. Italian
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Il medico delle mummie

Vita e avventure di Augustus Bozzi Granville

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Tanti nomi per una sola persona: all'anagrafe nel 1783 è Agostino Bozzi, milanese; poi, da giovane, manifesta la propria anglofilia appropriandosi di una lontana ascendenza che gli permette di raddoppiare il cognome: Bozzi Granville. Da adulto, l'inserimento compiaciuto nella high society della Londra georgiana e la graditissima nomina a membro della Royal Society fanno sì che il suo nome venga completamente anglicizzato e reso aulico: Augustus Bozzi Granville. Chi è quest'uomo dalle molteplici identità? È il primo 'medico delle mummie', il primo a sottoporle ad autopsia.Questa è la storia dell''egittomania' di un bizzarro personaggio, ginecologo e anatomista chirurgo, ma anche paleopatologo ante litteram oltre che solerte curante dei colerosi londinesi, medico di famiglia dei Bonaparte, medico termale ai bagni di Baviera, igienista militante.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858106945

IV. Medico delle mummie, egittologo empirico

1. Un felice incontro tra medico e paziente

Sir Edmonstone è un giovin signore interessato all’antichità. Ha studiato a Oxford e conseguito il baccalaureato nel 1816. Sul finire del 1818 era partito alla volta dell’Egitto con l’idea di esplorarne una regione ancora poco nota: le Oasi.
Abbigliato con «a mamaluke dress» – come narra nel suo A Journey to Two of the Oases of Upper Egypt (Murray, London 1822) –, incontra l’esploratore Giovanni Belzoni (1778-1823) che gli è prodigo di notizie, tra cui l’esatta indicazione del luogo dove si presume si trovi il perduto esercito di Cambise, sepolto nel 525 a.C. dal khamsin (il vento del deserto che spirando per cinquanta giorni da sud-sudest ricopre tutto di sabbia). Poi giunge a Esna e da lì parte il 9 febbraio 1819 per una spedizione verso l’oasi di el-Kharga. Incontra pure Bernardino Drovetti (1776-1852) che, insieme a Frédéric Cailliaud (1787-1869), sta perlustrando anch’egli la zona delle Oasi.
Il 24 marzo, sulla via del ritorno, presso la necropoli di Gurna acquista per poche piastre un singolare souvenir: una mummia. È avvolta nel suo bendaggio e riposta nel suo sarcofago. Questo è perfettamente integro; al suo interno la mummia – come gli assicurano – è altrettanto perfettamente conservata. Essa «raggiungerà» il baronetto, nella casa in Wimpole Street soltanto due anni dopo, nel giugno 1821, quando Edmonstone sta redigendo il proprio racconto di viaggio (un impegno obbligato per ogni viaggiatore dell’epoca) corredandolo di tavole, mappe e piante di templi, disegnate dal reverendo Robert Master, suo compagno d’avventura.
Con grande scrupolo documentario non manca di confrontare il proprio materiale con i dati sulle oasi tebane forniti nel Voyage à l’oasis de Thèbes, et dans les déserts situés à l’Orient et à l’Occident de la Thébaïde, fait pendant les années 1815, 1816, 1817 et 1818 par M. Cailliaud (Imprimerie Royale, Paris 1821), di cui il cartografo Edme François Jomard (1777-1862) era stato il curatore. Ai dati di viaggio di Cailliaud, Edmonstone osa muovere qualche circostanziato appunto di topografia.
Quel che più conta è che, a circa metà del suo lungo racconto, Edmonston annota: «Nel nostro discendere il Nilo, ho acquistato una mummia a Gurna, una parte di Tebe, sulla riva sinistra del fiume. Al suo arrivo in Inghilterra nel giugno scorso, l’ho donata al Dr. Granville».
L’annotazione coincide con ciò che scrive Granville: che il neo-baronetto nel giugno 1821 non sta bene, che soffre per il duro colpo subito alla recente morte del padre, che teme di essere ammalato, complice il viaggio in terra africana, che ha bisogno d’esser visitato, guarito o rassicurato da un medico di fama. Quale miglior medico di Granville? Questi, accorso in Wimpole Street, a due passi dal suo Infirmary for Diseases of Children, trova le medicine e le parole giuste per giovare al suo paziente e riceverne gratitudine, unita a confidenza. L’argomento del conversare è subito trovato: anche Granville era stato in Egitto, anch’egli era giunto ad Alessandria, ma tutto ciò era avvenuto nel 1804 e la visita purtroppo era stata fugace. Edmonstone gli dice quel che s’è perso: la Valle dei Re, Tebe dalle cento porte, il grande Nilo... Gli dice dell’acquisto di mummie e sarcofagi. Gli mostra il proprio, appena giunto. È un sarcofago di sicomoro, di foggia antropoide, spesso due centimetri e alto poco più di un metro e mezzo, dai colori molto brillanti.
Granville è incantato. Questa volta non trova le parole, sa solo dire: «È bellissimo».

2. La mummia

L’ampia base del sarcofago lascia supporre che sia stato pensato per rimanere verticale, eretto come un vivente. Sul coperchio, su di uno spesso strato di bende di lino ingessate, sono dipinti un volto femminile con due grandi occhi e una serie di piccole scene costellate di geroglifici. Non c’è parte che sia priva di decorazioni. Il volto effigiato, roseo e paffuto, è incorniciato da una parrucca tripartita sormontata da un copricapo alato. Al di sotto dell’ampio collare che ricopre il petto sono spiegate le braccia alate della dea Nut. Più giù, su di una larga banda orizzontale compaiono due scene: una raffigura «la pesatura del cuore», l’altra rappresenta la defunta che viene accompagnata dal dio Thot al cospetto di altre divinità. Il resto del coperchio è suddiviso verticalmente in tre parti, di cui la centrale reca una iscrizione posta su sette colonne ed è sormontata dall’immagine della mummia distesa sul suo letto funerario, sotto il quale stanno i vasi canopi; accanto al giaciglio veglia il dio Anubi. Le due parti laterali, separate le une dalle altre da geroglifici, contengono ciascuna dodici genii funerari.
A Granville, muto davanti a quell’incanto, il giovane Edmonstone, ormai dimentico dei propri mali presunti, spiega il probabile significato di quelle iscrizioni: forse preghiere per la defunta, forse invocazioni di suffragio per lei, forse indicazioni sulle vicende di vita. Poi, ecco il momento magico: il baronetto scoperchia il sarcofago dove, bendata, riposa la mummia.
Granville coglie l’eccezionalità dell’evento. All’ammiratore entusiasta subentra l’osservatore raziocinante. Si rende immediatamente conto di avere davanti a sé una mummia antico-egizia che, se ben conservata, sarebbe bello poter studiare. Descrivendo quel momento scriverà: «Una accurata indagine di questa mummia potrebbe essere di vantaggio per la scienza».
È una riflessione importante. Granville non pensa alla mummia come a un esotico souvenir, non pensa di sbendarla per macabro diletto né tantomeno per ricavarne dosi cospicue di «polvere di mummia», ancora reperibili, seppure a caro prezzo, in qualche farmacia. Observation et analyse: è questa la binomiale parola d’ordine degli scienziati nella congiuntura storica che precede la rivoluzione medico-scientifica di metà Ottocento. Granville si sente vocato alla missione di «osservatore» e «analista», di ricercatore in grado di «indagare» la mummia per giovare alla «scienza». Nella complessa transizione ideologica del tempo, è proprio qui che egli appare più che mai un «illuminista romantico» e, al contempo, un «romantico illuminato».
Complici una mente aperta dalle tante esperienze multiculturali vissute, da uno studio multiforme e multilingue, da un temperamento estroverso e poliedrico e da una capacità d’intuire ancor prima di conoscere, Granville osa proporre, quasi rivendicare, che la mummia debba essere osservata, analizzata, studiata da un medico. È un passo importante nella storia della scienza. Dall’incontro felice tra l’archeologia degli esploratori e l’anatomia patologica dei medici potrà nascere un giorno non lontano una scienza nuova: la paleopatologia.
Per dare una idea della felice intuizione precorritrice di Granville, va detto che un’attenzione parimenti riposta su reperto archeologico e reperto antropologico si imporrà solo all’inizio del XX secolo. Ma anche allora, a molti, ben poco importerà delle «ossa bendate» ritrovate negli scavi archeologici dell’antico Egitto. Valga un esempio: nel 1901 l’egittologo William Matthew Flinders Petrie (1853-1942), nipote dell’esploratore «australe» Matthew Flinders, scoprirà nella tomba del faraone Djer ad Aby­do le ossa di un avambraccio avvolte in bende di lino e recanti quattro bracciali d’oro, turchese, ametista e lapislazzuli; ebbene, l’assistente conservatore del Museo di Boulaq, Emil Karl Albert Brugsch (1842-1930), fratello del più noto Heinrich Karl, al quale il prezioso reperto era stato consegnato, serberà i bracciali e butterà le ossa con le bende suscitando l’amaro commento di Petrie: «Un museo è un luogo pericoloso!».
La proposta di Granville di studiare la mummia sotto il duplice aspetto anatomico e tanatologico forse non è bene compresa da Edmonstone, che comunque l’accetta. Fa dono della mummia al medico di sua fiducia, anche per saldare il proprio debito di riconoscenza. Trattiene però per sé il sarcofago: è un cimelio d’eccezione, è un oggetto troppo bello per uscire dalle mura di casa, è una meraviglia da mostrare a visitatori e ad amici. A Londra, l’egittomania è dilagante. È l’alba della egittologia.
Per capire che cosa stia succedendo in quei giorni, e per meglio comprendere ciò che sta alla base dell’interesse di Granville, è bene fare qualche passo indietro e ritornare alla data del 14 giugno 1800 quando le vite di Desaix e Kléber, lontani l’uno dall’altro, furono stroncate da morte cruenta. Il loro generale, che li piangeva entrambi, ben sapeva quanto essi avevano dato per quella terra lontana che insieme erano andati a conquistare. Grazie a loro, e alla spedizione che essi avevano guidato, l’antico Egitto era tornato a vivere.

3. «Égypte!»

La campagna d’Egitto di Bonaparte, definita con lieve ironia l’«alternativa romantica all’invasione dell’Inghilterra», ha significato il risveglio di un Egitto che riposava indisturbato da secoli sotto la sabbia del deserto. Adolphe Thiers ebbe a dire che «nella sua prodigiosa carriera Napoleone non immaginò nulla di più grande e di più bello».
Per andare a conquistare una delle più importanti province dell’Impero ottomano di Selim III e affrancarla dal giogo mamelucco esportandovi la civilisation française, Bonaparte aveva fatto rapidi e accurati preparativi. Il 19 maggio 1798, dal porto di Tolone, si apprestava a salpare non soltanto la grande Armata d’Oriente (con circa 35.000 soldati reclutati nel Midi e perlopiù veterani della gloriosa Armée d’Italie), ma anche – come scriveva «Le Publiciste parisien» il 31 maggio di quell’anno – «una quantità prodigiosa di artisti e di scienziati».
Scopo principale, strategico, era quello di colpire l’Inghilterra nei suoi mercati orientali poiché – come diceva Bonaparte – «la via di Londra passa per l’Egitto». Ma scopo non secondario, culturale, era quello di riscoprire l’antica civiltà faraonica poiché – come diceva sempre Bonaparte – «essa era la culla della scienza e delle arti di tutta l’umanità».
L’orientalismo del generale aveva in Francia radici antiche. Già nel 1672 il filosofo Leibniz, nel Consilium Aegyptiacum, suggeriva al Roi-Soleil l’opportunità di conquistare l’Egitto. Nel Settecento, la Description de l’Égypte (Rollin, Paris 1735) di Benoît de Maillet (1656-1738), console generale di Francia in Egitto dal 1692 al 1708, era stata molto apprezzata tanto da essere stata ristampata più volte. Le Lettres sur l’Égypte (Onfroi, Paris 1785-1786) dell’orien­talista Claude-Étienne Savary (1750-1788) e, soprattutto, il Voyage en Syrie et en Égypte (Volland et Desenne, Paris 1787) del filosofo Volney (1757-1820) erano stati grandi successi editoriali tanto che il Voyage era stato definito «una delle più belle opere del XVIII secolo e un capolavoro del genere». Volney (pseudonimo del conte Constantin-François Chasseboeuf) era poi stato, negli anni della spedizione di Bonaparte, così legato a quest’ultimo da essere proposto, dopo «brumaio», come terza figura del Consolato. Sulla sua tomba oggi, al Père Lachaise, svetta una piccola piramide. Stavano poi per essere dati alle stampe i tre volumi del Voyage dans la Haute et Basse Egypte (Buisson, Paris 1799) del naturalista Charles-Nicolas-Sigisbert Sonnini de Manoncourt (1751-1812), inviato in Egitto nel 1777 da Luigi XVI su consiglio di Buffon.
La partenza da Tolone della flotta francese, salutata dallo «chant du départ» e dalla canzone di marcia degli uomini del Midi – «la marche des Marseillais» –, era avvenuta però senza che la meta fosse nota all’equipaggio: solo alla fine di giugno un proclama di Bonaparte aveva rivelato la destinazione. Si era allora levato, alto nel cielo, un grido di corale entusiasmo: Égypte!
La «quantità prodigiosa di artisti e di scienziati», e cioè la Commission de Savants al seguito del contingente militare della Expédition d’Égypte, era formata da 167 membri, tra cui uomini di lettere, matematici, astronomi, geografi, naturalisti, ingegneri civili (ed esperti artificieri di mine, polveri e salnitro), architetti, fisici, chimici, disegnatori, interpreti e due musicisti, tra cui il pianista Henri Jean Rigel (1772-1852). Tutti, ciascuno nel proprio campo, dovevano contribuire al «retour des sciences et des arts dans leur patrie d’origine». Li guidava il matematico Gaspar Monge (1746-1818), uno dei fondatori dell’École Polytecnique, che li aveva selezionati con l’aiuto del chimico Claude Louis Berthollet (1748-1822) e del fisico Jean Baptiste Fourier (1768-1830). Monge non mancava mai di ribadire lo scopo della spedizione ricordando ai prescelti che il loro compito era quello di portare «le flambeau de la Raison» là dove questa non infiammava più da tempo le menti degli uomini.
Nella stiva del Patriote avevano viaggiato anche una intera biblioteca e un imponente strumentario, però, sfortunatamente, colati a picco nella rada di Alessandria al momento dello sbarco. Per far giungere la stampa nelle terre dell’Impero ottomano, un ruolo niente affatto secondario era affidato ai ventidue savants tipografi e stampatori (muniti di caratteri tipografici arabi e siriaci «prelevati» da Monge a Roma, presso la tipografia della Congregazione De Propaganda Fide, insieme ai torchi della stamperia vaticana), guidati dall’orientalista Jean Joseph Marcel (1776-1854). Potranno così essere stampati «Le Courrier d’Égypte» e «La Décade Égyptienne». È sulle pagine di quest’ultima che Dominique Vivant Denon scriverà che i savants stanno per entrare «negli archivi delle scienze e delle arti».

4. Microstoria dell’«Expédition»...

All’alba del 1° luglio 1798 la costa mediterranea dell’Egitto «si spiegava come un nastro bianco sull’orizzonte bluastro del mare», scrive Denon imbarcato sulla Junon. La flotta inglese, guidata da Nelson alla febbrile ricerca di quella francese, aveva levato le ancore qualche giorno prima, mancando lo scontro. L’armata tric...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. Pellegrino nel Mediterraneo
  3. II. Agente segreto al servizio di Sua Maestà
  4. III. Da «man of science» a «medico delle donne»
  5. IV. Medico delle mummie, egittologo empirico
  6. V. Egittologia «in nuce»
  7. VI. Vita residua e storia postuma
  8. Riferimenti bibliografici
  9. Gli Autori