IV. Solidarietà transnazionale e conflitto
1. Diritti sociali e libertà economiche
Nell’inventario delle questioni che rallentano l’integrazione del mercato e creano “stanchezza” fra i cittadini europei, il Rapporto Monti cita una controversa giurisprudenza della Cgue in materia di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi. Il bilanciamento fra queste libertà economiche e l’esercizio del diritto di sciopero e di contrattazione collettiva ha aperto fra i giuristi del lavoro, anche al di fuori dell’Ue, un confronto molto intenso.
Emesse prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dunque prima della piena vincolatività della Carta dei diritti fondamentali, che quei diritti riconosce appieno, le sentenze Viking e Laval sono ancora al centro dell’attenzione di un’opinione pubblica allargata, per le conseguenze che hanno indotto sul piano istituzionale, oltre che giurisprudenziale.
Come si vedrà, il dibattito europeo è ora nuovamente mosso da forti disaccordi, a seguito della presentazione da parte della Commissione di una Proposta di Regolamento – denominata Monti II, perché ispirata da un’analoga fonte emanata quando Monti ricopriva la carica di commissario europeo – che riguarda l’esercizio del diritto di sciopero e delle libertà economiche, di cui si dirà in seguito.
Per adesso si deve osservare che se, da un lato, i diritti sociali affondano le proprie radici nelle Costituzioni e nelle leggi nazionali, dall’altro le grandi organizzazioni che rappresentano i datori di lavoro e i lavoratori si adoperano per adeguare rapidamente le proprie strutture alla dimensione transnazionale degli interessi da tutelare, anche al fine di acquisire una più forte legittimazione per intervenire nelle complesse vicende che intersecano la mobilità delle imprese.
Ugualmente essenziale è valutare la natura giuridica dei contratti collettivi, non sempre dotati di un’efficacia generalizzata erga omnes, ovvero non sempre vincolanti nei confronti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Questo dato tecnico, che è il riflesso di soluzioni diverse adottate negli ordinamenti nazionali, è molto rilevante nelle valutazioni della Cgue, attenta a verificare se i vincoli di solidarietà instaurati attraverso il contratto collettivo possano entrare in contrasto con il buon funzionamento del mercato.
In quella che a molti appare una vera e propria asimmetria fra diritti sociali a esercizio collettivo e libertà economiche si è più volte inserita la Cgue, elaborando una giurisprudenza talvolta oscillante. La sentenza da richiamare, per i riferimenti alla contrattazione collettiva e alla sua funzione solidaristica, è Albany. In essa si discute di un fondo pensione integrativo, con iscrizione obbligatoria per i lavoratori del settore tessile, in forza di un decreto ministeriale di recepimento del contratto collettivo, istitutivo del fondo stesso, che lo rende vincolante.
La Corte ha dovuto dunque accertarsi che non vi fosse, secondo la terminologia del diritto europeo, un «accordo fra imprese» o «associazioni di imprese» tale da falsare o impedire la concorrenza. Ha dovuto anche valutare se le finalità sociali perseguite dall’accordo collettivo entrassero in collisione con le regole del mercato.
In Albany la Corte non ha inteso lanciare un messaggio univoco e rassicurante, rivolto all’interpretazione di qualunque contratto collettivo, quanto piuttosto promuovere un metodo interpretativo in grado di distinguere le funzioni delle fonti collettive. La funzione solidaristica, tipicamente perseguita dalla contrattazione collettiva, non rende i contratti collettivi automaticamente immuni dalle regole della concorrenza.
Su questo fondale, arricchito da molte altre pronunce della Cgue, si muovono gli attori di due casi complessi, sfociati nel 2007 in due decisioni molto controverse. Esse hanno causato un vero e proprio effetto sismico, sia nella successiva evoluzione della giurisprudenza, sia nel dibattito teorico che le ha accompagnate. Gli effetti del sisma sono ancora visibili, tanto è vero che il Rapporto Monti se n’è occupato e ha proposto alcune soluzioni, su cui si avrà modo di tornare in seguito.
Prima di imboccare un percorso graduale di comprensione dei fatti che sono all’origine delle controversie in Viking e Laval, si può anticipare che questa giurisprudenza, divenuta l’emblema di un diritto transnazionale in formazione, ha profondamente diviso i commentatori.
Quanti ritengono che il conflitto rischi inevitabilmente di essere oscurato dalla mobilità transfrontaliera degli attori economici, tendono a ripiegarsi in una critica distruttiva, senza via d’uscita. Al contrario, quanti interpretano i nuovi vincoli sopranazionali in termini evolutivi, all’interno di un sistema ordinamentale aperto, sono costretti a prendere atto di un assetto mutevole degli interessi collettivi da tutelare. Pertanto, seguendo questa seconda direzione, anche il diritto di sciopero potrebbe collocarsi in un sistema integrato di tutele transnazionali, lontano dai rischi di un protezionismo sindacale racchiuso dentro i confini nazionali.
In tal modo, anche per il diritto del lavoro si verrebbero a creare collegamenti – i linkages prima evocati – nel cammino che conduce all’ordinamento globale. La constatata inadeguatezza di mezzi nazionali di autotutela costringe lo Stato, e i soggetti collettivi che in esso operano quali rappresentanti delle parti sociali, a cercare oltre lo Stato sanzioni diverse, in parallelo con l’emersione di nuovi interessi collettivi e di nuove coalizioni transnazionali.
Per il diritto del lavoro, tuttavia, la creazione di linkages globali è turbata dal confronto fra diverse nozioni di solidarietà. Una si sviluppa intorno a diritti e principi elaborati all’interno degli ordinamenti nazionali, anche attraverso la pratica della contrattazione collettiva. L’altra emerge quale risultato di un’aspra competizione fra sistemi normativi e regimi salariali, quando sono in discussione interessi transnazionali.
Il confronto, in sé complesso se analizzato dal punto di vista della convergenza o divergenza fra fonti legali e volontarie che regolano la materia, fa anche riflettere circa la definizione dei poteri attribuiti ai soggetti collettivi ed espone le regole della rappresentanza a nuove sfide.
In una tradizionale nozione di azione sindacale è implicita l’ancor più tradizionale finalità di perseguire la parità di trattamento fra lavoratori comparabili. Un tale assetto solidaristico è scosso violentemente quando le regole collettivamente concordate si devono misurare con l’ingresso nel territorio nazionale di lavoratori provenienti da altri regimi di solidarietà, spesso più deboli.
La questione del potere di rappresentanza delle organizzazioni sindacali è dunque centrale nell’analizzare le cause e gli effetti della concorrenza fra diversi regimi nazionali di solidarietà, poiché la transnazionalità degli interessi da tutelare richiede nuove forme di legittimazione degli agenti negoziali.
2. Il conflitto nei mari. Il caso «Viking»
In Viking la Corte si avventura in un bilanciamento del diritto di sciopero, riconosciuto dalla Costituzione finlandese, con la libertà di stabilimento, garantita dall’art. 43 Tce (ora art. 49 Tfue). La descrizione dei fatti ci porta a scoprire l’affascinante e complessa dimensione transnazionale del lavoro marittimo, prepotentemente posto al centro di un confronto dottrinale e giurisprudenziale di grande rilievo.
Un operatore finlandese gestisce una linea di traghetti – la Viking line – che collega la Finlandia all’Estonia. Sottoposto a forte pressione da competitori estoni, decide di issare sul traghetto Rosella una bandiera di convenienza, al fine di applicare all’equipaggio una retribuzione più bassa di quella prevista dai contratti collettivi finlandesi. Nel dissociare la bandiera della nave dalla nazionalità del proprietario, attraverso una nuova registrazione detta appunto di convenienza, l’operatore esercita la libertà di stabilimento. Il cambio di bandiera è una manifestazione di questa libertà, indipendentemente dai fini che si prefigge chi la esercita.
Il diritto sindacale finlandese, d’altro canto, contempla l’esercizio del diritto di sciopero come ultima ratio, poiché prevede la cosiddetta clausola di pace, sottoscritta dalle parti firmatarie dei contratti collettivi e riferita alle sole materie incluse negli stessi contratti. La clausola di pace è valida e vincolante fino alla scadenza dei contratti e dunque ha la funzione di limitare il ricorso al conflitto durante la vigenza del contratto.
La Viking rifiuta di avviare nuove trattative con la federazione nazionale del settore, affiancata dalla potente organizzazione internazionale dei lavoratori dei trasporti, poiché non intende continuare ad applicare i livelli salariali finlandesi, anche a seguito del cambio di bandiera. Un tale rifiuto rende inevitabile la proclamazione dello sciopero, da ritenersi legittimo poiché, nelle more della controversia, il contratto collettivo era venuto a scadenza e dunque la clausola di pace sindacale non era più vincolante fra le parti.
È opportuno ricordare che, fin dal 1948, anno della sua fondazione a Oslo, l’International Transport Workers’ Federation (Itf) incluse la lotta contro le bandiere di convenienza fra le finalità prioritarie da perseguire. Questa campagna è, ancora oggi, resa possibile dalla presenza nei porti di tutto il mondo di una diffusa rete di ispettori affiliati al sindacato internazionale, che hanno il compito di verificare e promuovere l’osservanza dei contratti collettivi a bordo delle imbarcazioni.
«Le navi che battono bandiere di convenienza – scrisse tempo addietro un appassionato osservatore di queste vicende, il giurista del lavoro svedese Folke Schmidt – rappresentano una forma di capitale non soggetta a controllo sociale». Proprio per questi motivi nella storia del sindacato internazionale dei trasporti si riscontra un impegno costante verso l’osservanza dei contratti collettivi, anche a seguito del cambio di bandiera. Pertanto, è tradizionalmente ritenuto legittimo il ricorso a scioperi di solidarietà – ad esempio dei lavoratori portuali in affiancamento ai marittimi – al fine di raggiungere un tale obiettivo. Ugualmente legittimo è il ricorso a forme di boicottaggio nei confronti di armatori reticenti a sottoscrivere i contratti collettivi.
Nelle strategie globali del sindacato dei trasporti l’esercizio dell’autotutela sindacale si è rivelato incisivo nel perseguire finalità transnazionali di tutela dei lavoratori e nel contribuire a perfezionare...