I nazisti e l'oro della Banca d'Italia
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I nazisti e l'oro della Banca d'Italia

Sottrazione e recupero 1943-1958

  1. 198 pagine
  2. Italian
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I nazisti e l'oro della Banca d'Italia

Sottrazione e recupero 1943-1958

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Nella «Collana Storica della Banca d'Italia» i materiali originali, i dati e le interpretazioni critiche per una storia monetaria dell'Italia moderna. Il volume ricostruisce, sulla base delle fonti archivistiche disponibili, le vicende dell'oro della Banca d'Italia dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Le riserve auree del paese furono poste, di fatto, sotto il controllo tedesco e trasferite dapprima a Milano e poi a Fortezza. Da qui, con l'assenso della Repubblica sociale italiana, una parte dell'oro fu trasportata in Germania nel corso del 1944. Il volume ricostruisce, sulla base delle fonti archivistiche disponibili, le vicende dell'oro della Banca d'Italia dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Le riserve auree del paese furono poste, di fatto, sotto il controllo tedesco e trasferite dapprima a Milano e poi a Fortezza.Da qui, con l'assenso della Repubblica sociale italiana, una parte dell'oro fu trasportata in Germania nel corso del 1944. Dopo la fine del conflitto l'Italia fu impegnata in complesse trattative per il recupero delle riserve che portarono alla restituzione integrale dell'oro rimasto a Fortezza e all'ammissione del nostro paese al Pool dell'oro, organismo creato dagli alleati per la restituzione pro quota alle nazioni aventi diritto dell'oro trafugato dai nazisti. Per effetto delle decisioni del Pool l'Italia, come gli altri paesi, rientrò in possesso di un quantitativo d'oro pari ai 2/3 di quello trasportato in Germania.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858136980
Argomento
Economics

I.
Il trasferimento dell’oro da Roma a Milano

Alcuni anni prima dello scoppio della guerra, con l’aggravarsi della situazione internazionale, Mussolini aveva posto il problema di collocare i valori depositati nella sede centrale della Banca d’Italia in un luogo che offrisse maggiori garanzie di sicurezza in caso di attacco nemico1. La scelta cadde su L’Aquila, che era lontana dalle grandi vie di comunicazione e che Mussolini riteneva facilmente difendibile dagli attacchi aerei. Nei piani di Mussolini L’Aquila era destinata a diventare uno dei poli strategici per il futuro sviluppo della Banca d’Italia: si decise infatti di impiantarvi anche lo stabilimento per la produzione delle banconote, che entrò effettivamente in funzione nel settembre 1941 per la stampa dei vaglia e degli assegni e nel dicembre dello stesso anno per i biglietti2. I lavori per la costruzione dei nuovi locali destinati ad accogliere i valori procedettero invece molto più a rilento anche a causa della difficoltà di poter disporre di adeguati quantitativi di ferro e cemento. All’inizio della guerra fu comunque possibile trasferire a L’Aquila alcuni valori giacenti a Roma e in altre filiali della Banca; l’oro rimase però nei caveaux di via Nazionale, a causa dell’impossibilità di conservarlo in modo adeguato prima della conclusione dei lavori di ampliamento della filiale abruzzese.
Nella primavera del 1943 il problema della collocazione dell’oro venne nuovamente alla ribalta a causa dell’andamento sfavorevole della guerra e della possibilità che la riserva aurea potesse finire in mano alleata nel caso, ritenuto probabile, che gli Alleati effettuassero uno sbarco in territorio italiano3. Azzolini ebbe su questo argomento un colloquio con il ministro delle Finanze Acerbo, che gli parlò dell’opportunità di trasferire l’oro nel Nord Italia, e in particolare nel Veneto o nell’Alto Adige4. Furono anche predisposti, a cura del Poligrafico dello Stato e su iniziativa del ministro, i barili metallici indispensabili per il trasporto dei lingotti, ma evidentemente gli avvenimenti del 25 luglio impedirono che il progetto di trasferimento si concretizzasse5.
Dopo la caduta del regime fascista e anche prima dell’inizio delle trattative per la stipula dell’armistizio, il Governo Badoglio mise immediatamente allo studio il problema del trasferimento dell’oro in una o più città dell’Italia settentrionale6. Azzolini riferì delle intenzioni dell’esecutivo nella riunione del Comitato del Consiglio superiore della Banca del 28 luglio 1943, appena tre giorni dopo la nascita del Governo7.
Non è del tutto chiaro quale fosse il reale intendimento del nuovo capo del Governo. A detta del governatore, che è ancora l’unica fonte disponibile8, l’intenzione di Badoglio sarebbe stata quella di spostare l’oro in una filiale piemontese vicina al confine svizzero. Tale scelta si spiega solo con il proposito di portare poi clandestinamente l’oro oltre confine, in territorio elvetico, al fine di sottrarlo alla temuta reazione tedesca all’annuncio dell’armistizio; non è tuttavia ben chiaro come il capo del Governo contasse di effettuare un trasporto così delicato senza che i tedeschi ne venissero a conoscenza. Non si deve sottacere a questo proposito che subito dopo la caduta di Mussolini i tedeschi avevano fatto affluire in Italia dieci nuove divisioni, che controllavano di fatto il sistema delle comunicazioni dell’Italia settentrionale. L’ipotesi del trasferimento dell’oro oltre confine sembra la più probabile, perché qualunque diversa sistemazione sul territorio italiano sarebbe stata possibile solo nell’ipotesi in cui le forze armate italiane fossero state utilizzate per combattere a fianco degli Alleati dopo l’annuncio dell’armistizio, ipotesi probabilmente mai presa seriamente in considerazione dal nuovo Governo e dal re, come dimostrarono gli avvenimenti dell’inizio di settembre.
Per un eventuale trasferimento dell’oro il problema principale da risolvere era il reperimento dei mezzi di trasporto, di cui la Banca d’Italia non disponeva. Azzolini parlò a Badoglio di questo problema in coda a un colloquio che ebbe con il capo del Governo il 19 agosto e di cui abbiamo notizia attraverso il citato memoriale Azzolini9. Badoglio lo incaricò di prendere contatto con lo Stato maggiore per organizzare il convoglio ferroviario necessario per il trasporto e per richiedere la scorta armata. Azzolini, nell’istruttoria del processo del 1944, sostenne di aver delegato questa incombenza al direttore generale Acanfora, che era stato nel frattempo nominato ministro per gli Scambi e valute nello stesso Governo Badoglio10 e che era quindi nella posizione ideale, anche per contatti personali che aveva con l’ambiente militare, per adempiere l’incarico nel modo migliore. Azzolini affermò anche di aver autorizzato lo stesso Acanfora a fornire allo Stato maggiore i dati necessari (numero dei contenitori dell’oro e loro peso complessivo) per l’organizzazione del trasporto. Acanfora però in sede processuale negò di aver mai avuto da parte di Azzolini l’incarico di prendere contatto con i militari per il trasferimento dell’oro. Al di là della veridicità di quanto sostenuto da Azzolini11, è comunque un dato di fatto che nei venti giorni che vanno dal colloquio Badoglio-Azzolini del 19 agosto all’annuncio dell’armistizio la questione della collocazione dell’oro rimase irrisolta ed esso continuò a essere conservato nelle sacristie di via Nazionale, né si ha notizia di particolari sollecitazioni dagli ambienti governativi per il suo spostamento. L’unica iniziativa che si conosce, peraltro non avvalorata da altre fonti d’archivio, fu quella riferita al processo Azzolini dal fratello del colonnello Montezemolo, che comunque riguarda il periodo successivo alla proclamazione dell’armistizio. Egli riferì di aver appreso da suo fratello, che lavorava presso lo Stato maggiore dell’esercito e che fu tra le vittime delle Fosse Ardeatine, che questi aveva proposto l’11 settembre ad Azzolini di trasportare l’oro in Sardegna, già liberata dagli anglo-americani. Azzolini, peraltro, sostenne sempre con grande fermezza che l’episodio era del tutto inventato.
Dopo l’annuncio dell’armistizio, la sorte dell’oro era destinata a essere inevitabilmente legata a quella del controllo della capitale, dove esso aveva continuato a essere conservato. È fin troppo noto che la decisa reazione delle truppe tedesche, intenzionate a occupare Roma, e soprattutto la mancata difesa della capitale da parte del Governo Badoglio e la sua fuga verso Brindisi diedero di fatto ai tedeschi il controllo di Roma già a partire dal 10 settembre, assieme a quello di tutta l’Italia centro-settentrionale12. Il generale Calvi di Bergolo, genero del re e comandante della divisione Littorio, che era il militare più alto in grado rimasto in città, fu costretto, sotto minaccia di bombardamento aereo, a sottoscrivere un armistizio che in cambio della cessazione delle ostilità riconosceva per Roma lo status di città aperta. Il comando della città fu affi­dato allo stesso generale Calvi, che aveva a disposizione una divisione per il mantenimento dell’ordine pubblico13. L’ambasciatore tedesco Rahn, che aveva assunto la carica di plenipotenziario del Reich in Italia con ordinanza di Hitler del 10 settembre14, ritornò a Roma verso la metà di settembre e divenne la massima autorità politica del Reich nel nostro paese15. Il 14 settembre, per evitare il collasso amministrativo e per assicurare una certa continuità di funzionamento degli uffici pubblici dopo l’abbandono di Roma da parte del Governo Badoglio, furono nominati una serie di commissari ministeriali, alle dipendenze del generale Calvi, che restarono in carica fino ai primi giorni di ottobre, quando, dopo l’entrata in funzione del Governo della Repubblica sociale, essi furono sostituiti da segretari di Stato. Nonostante questa parvenza di amministrazione governativa affidata a funzionari italiani, che ebbe tuttavia il merito di assicurare il proseguimento di alcuni servizi essenziali, il dominio della città rimase totalmente in mano tedesca. Il fragile compromesso negoziato con il generale Calvi resse tuttavia solo pochi giorni, in quanto il 23 settembre, dopo che la situazione dell’ordine pubblico nella capitale si era ormai stabilizzata, Rahn fece arrestare Calvi: i tedeschi non avevano più bisogno di lui per il Governo della città.
Il facile e in parte inaspettato conseguimento del controllo della capitale dette ai tedeschi la possibilità di mettere le mani sull’oro della Banca d’Italia scatenando una sorta di competizione fra i vari uffici del Reich su chi dovesse gestire la faccenda e sugli obiettivi di fondo da conseguire16. Almeno quattro amministrazioni entrarono in gioco: le SS di Himmler, che aveva in Herbert Ka...

Indice dei contenuti

  1. I. Il trasferimento dell’oro da Roma a Milano
  2. II. Il trasferimento dello «stock» aureo da Milano a Fortezza
  3. III. La situazione a Fortezza
  4. IV. Il primo invio di oro in Germania
  5. V. La spedizione in Svizzera
  6. VI. Il secondo invio in Germania
  7. VII. La sorte dell’oro inviato in Germania
  8. VIII. Il processo Azzolini
  9. IX. I primi passi per il recupero dello «stock» aureo
  10. X. I ritrovamenti dell’oro italiano da parte degli Alleati in Turingia e a Fortezza
  11. XI. Le trattative con la Commissione alleata per la restituzione dell’oro di Fortezza
  12. XII. Le posizioni alleate per la restituzione dell’oro e la Conferenza sulle riparazioni
  13. XIII. La questione dell’oro monetario nel trattato di pace
  14. XIV. Il «Pool» dell’oro e i conferimenti di metallo da parte dei paesi neutrali
  15. XV. Le trattative per l’ammissione dell’Italia al «Pool»
  16. XVI. L’invio all’Italia del questionario sull’oro
  17. XVII. La restituzione dell’oro di Fortezza e l’ammissione dell’Italia al «Pool»
  18. XVIII. Le altre restituzioni di metallo aureo all’Italia
  19. Alcune considerazioni conclusive
  20. Appendici
  21. Tabelle
  22. Cronologia
  23. Opere citate
  24. Abbreviazioni