1.
Ritratto del protagonista
1.
Tucidide, il politico ateniese cui dobbiamo l’invenzione della storiografia quale tuttora la pratichiamo, fu innanzi tutto un ricco e potente signore. La sua forza erano solidi interessi economici e rapporti politici nel Nord della Grecia: in Tracia, zona nevralgica per l’impero ateniese.
Attingendo ad una tradizione biografica sopravvissuta in minima parte, Cicerone – nato quasi tre secoli dopo la sua morte – insiste sull’elevata posizione sociale e sul grande prestigio di Tucidide: summo loco natus summusque vir (Brutus, 43), praesertim honoratus et nobilis (Orator, 32). Non è escluso che in questo secondo passo, alquanto controverso, Cicerone dica addirittura che Tucidide sarebbe rimasto celebre anche se non avesse scritto la grande opera storica cui è legato il suo nome.
Anche la sua esperienza politica veniva posta in rilievo. Est in re publica versatus: «s’è impegnato nella vita politica», osserva ancora Cicerone nel De oratore (II, 56), ma «non è annoverato tra gli oratori assidui della lotta giudiziaria (qui causas dictitarunt)». E notava ovviamente anche la sua grande esperienza in campo militare: canit etiam quodammodo bellicum (Orator, 39), dice scherzosamente Cicerone. Che si sia tenuto lontano dalla lotta giudiziaria – la forma di lotta più frequente nell’Atene democratica – è molto probabile.
Del resto, del grande ‘architetto’ dell’effimera oligarchia dell’anno 411 a.C., Antifonte, da lui ammirato incondizionatamente, Tucidide esalta – tra l’altro – proprio questo essersi tenuto lontano sia dalla tribuna che dal tribunale.
2.
Nell’unico passo della sua grande opera in cui parla apertamente di se stesso, Tucidide lascia cadere, con molta sufficienza, un’informazione: che cioè i suoi legami nell’area della Tracia, dove aveva anche l’appalto delle miniere d’oro del Pangeo per conto di Atene, lo mettevano in condizione di arruolare – se del caso – in zona truppe ausiliarie per Atene (IV, 105). Lascia intendere che ciò doveva essere già accaduto in passato. È questo un aspetto essenziale della sua personalità e formazione intellettuale ampiamente documentato nelle sue pagine: la notevole esperienza in campo militare, e anche nella tecnica bellica. Del resto, se non avesse avuto profonda e pratica conoscenza dell’arte della guerra non avrebbe mai potuto scrivere quel monumento di storia militare che è il racconto, fondato sull’esperienza diretta, della quasi trentennale guerra tra Sparta e Atene. È quello, insieme all’arte del discorso politico e dell’allocuzione alle truppe, il campo in cui soprattutto si è cimentato; è la sua competenza primaria.
In pieno quinto secolo le due funzioni – quella politica e quella militare – sono tutt’uno: s’intende nell’élite che governa. Non altrettanto nel milieu dei politicanti ‘democratici’ di basso livello, protagonisti instancabili della lotta giudiziaria ma non dominatori dell’assemblea e tanto meno strateghi con comando di eserciti. Per Tucidide, che è molto in alto in quella élite, tale unità di politica e guerra è un presupposto ovvio, anche sul piano personale. Partecipa perciò alle elezioni e riesce a farsi eleggere stratego ben consapevole di entrambe le incombenze.
Ed è chiaro, allora, perché la intuizione del nesso guerra/politica è stato uno dei cardini della sua opera, della sua originalissima iniziativa di farsi storico della politica vivente, o meglio della politica nel suo farsi.
Alla duplice caratteristica di Tucidide, come politico attivo e come maestro nell’arte della guerra non si presta adeguata attenzione. È giusto invece ricordare che coniugare le due competenze e le due funzioni era, sin dall’età arcaica e fino all’inizio del quarto secolo, la norma. Tucidide spicca – e sembra costituire un’eccezione – solo perché ne scrive e rende esplicito ciò che altrimenti sfuggirebbe perché sottinteso. Ma ancora Demostene, in epoca ormai di sostanziale distinzione dei ruoli, non parla solo di conflitti sociali, di entrate e di finanze statali, bensì anche, in uno dei suoi più importanti interventi assembleari, dello sviluppo della tecnica militare come fattore di trasformazione dei rapporti diplomatici e delle scelte politiche (Terza Filippica, 47-52). È noto che Demostene aveva meditato sull’opera di Tucidide traendone ispirazione e ‘modelli’: primo tra tutti il modello ‘pericleo’ di leader antidemagogico, e critico spietato dei difetti del meccanismo assembleare.
3.
Parte costitutiva dell’«enciclopedia politica» tucididea sono le conoscenze geografiche, etnografiche, l’esatta topografia dei luoghi. Né solo in Tracia, o in Macedonia o nella penisola calcidica.
Di ogni località della Tracia egli è in grado di fornire le coordinate: l’esatta posizione sul terreno, il tipo di popolazione, le origini. E di ogni località conosce, oltre alle caratteristiche fisiche, gli edifici e persino le trasformazioni urbanistiche: le mura, le porte, i camminamenti.
Un esempio tra tanti. Quando narra la defezione di Torone (423 a.C.), avamposto ateniese nella penisola calcidica, dall’alleanza ateniese, descrive con estrema precisione il sistema di porte di accesso alla città ed in particolare segnala – per la funzione che ebbe nel far passare nascostamente il nemico – una ‘porticina’ (πυλίς) attraverso cui riuscirono a passare soltanto pochi uomini, nonché le «porte che davano sulla piazza», e le spranghe che le bloccavano e che al momento opportuno furono spezzate. Un tesoro di conoscenze concrete che è strettamente legato all’esperienza diretta dei luoghi, e che diviene narrazione perspicua e avvincente perché illuminata dalle pertinenti cognizioni polemologiche e – non meno – dall’informazione sulle risorse (anche economiche) delle singole aree. Forzando e solo in parte fraintendendo il testo tucidideo che ha davanti e che ha pazientemente tradotto per intero, Thomas Hobbes (Eight Bookes of the Peloponnesian Warre Written by Thucydides the sonne of Olorus Interpreted with Faith and Diligence Immediately out of the Greeke by Thomas Hobbes, London 1629) immagina che ben prima della campagna militare del 424/3 che lo impegnò direttamente, Tucidide vivesse stabilmente «sulle coste della Tracia dove erano i suoi possedimenti» e che perciò, mentre era lì, venisse richiesto di intervenire con alcune navi per fermare Brasida.
Gli studiosi moderni non pongono sufficiente attenzione a questo straordinario aspetto della scienza geografica di Tucidide: ragionano come se egli disponesse delle carte di un Istituto geografico militare. Quelle ‘carte’ egli se le è costruite percorrendo i luoghi e familiarizzandosi a fondo con l’ambiente, che era il ‘suo’ per legami familiari, interessi economici, curiosità di scienziato, e di teorico della guerra.
4.
Ed è proprio per questa impostazione del suo pensiero che antepone l’etnografia della Sicilia al memorabile racconto della guerra di Atene contro Siracusa (415 a.C.) che occupa un quarto dell’intera sua opera. E apre quelle pagine – che i moderni accettano come un dono della Provvidenza senza però chiedersi perché stiano lì e di quali ricerche siano il frutto – con un rimprovero all’incoscienza degli Ateniesi lanciatisi in una così grande avventura bellica senza l’adeguata conoscenza dei luoghi:
«In quello stesso ...