La moda
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La moda

Una storia dal Medioevo a oggi

  1. 200 pagine
  2. Italian
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La moda

Una storia dal Medioevo a oggi

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Informazioni sul libro

«La storia considera le persone, le loro azioni e i loro pensieri, ai quali la moda ha dato forma. La storia della moda diventa quindi storia non solo di chi fa moda, ma di tutti».

Giorgio Riello guida alla scoperta dei tanti volti della moda, protagonista nei secoli di processi di individualizzazione e di socializzazione, mezzo di rappresentazione e di mobilità sociale, strumento di differenziazione di genere e di età.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858145715
Categoria
Sociology

1.
Alle origini della moda:
corti e città fra Medioevo
ed età moderna

1. Prima della moda: gerarchie sociali e abbigliamento

È possibile identificare un momento storico in cui la moda emerse per la prima volta? Domanda banale, ma dalla risposta difficile. Di moda si può parlare già in età antica, come è ben visibile negli affreschi di Pompei ed Ercolano. Per molti versi, però, la moda come la intendiamo oggi ebbe origine in età medievale e si sviluppò nel corso del Cinque e Seicento, fino ad assumere molti dei caratteri della «moda moderna»1. L’origine medievale della moda è in realtà doppia. Da un lato essa si impone come parte della cultura delle corti europee: è la moda come lusso, magnificenza e raffinatezza, che diviene un tratto distintivo delle élites sociali; dall’altra, però, è anche un fenomeno più esteso, che interessa ampi strati della popolazione urbana europea: è la moda della strada, fonte di preoccupazione fra le gerarchie ecclesiastiche e politiche.
Per comprendere questo duplice aspetto è necessario richiamare il contesto in cui la moda emerse fra Due e Trecento. La società medievale era fortemente gerarchizzata, con un’accentuata divisione in classi (guerrieri, sacerdoti e contadini) e forti legami verticali di potere, ad esempio fra vassalli, valvassori e valvassini. Nella prima età medievale non si parla di moda ma di abbigliamento, che identifica e distingue gruppi di individui. Il vestiario distingue la donna sposata da quella nubile, il cristiano dall’infedele, il forestiero dal cittadino e così via. Una strada dell’Europa medievale presentava contrasti visivi molto accentuati non solo tra ricchi (sontuosamente agghindati con vestiti dagli splendidi colori, sete e decorazioni dorate ed argentate) e poveri (spesso con pochi cenci addosso), ma anche fra persone di professione diversa. Spesso l’affiliazione politica o la protezione da parte di famiglie nobili e potenti si traducevano visivamente nell’uso di specifici colori, di simboli e abiti che venivano indossati quali segni distintivi, in quella che viene definita «livrea». Nella società medievale, insomma, l’abito serviva non solo a rendere manifesta la gerarchia sociale, ma anche a rappresentare le più minute divisioni fra i diversi ceti e i differenti gruppi di potere: «abiti e oggetti di lusso servivano a costruire, mantenere e rafforzare identità collettive»2.
Il vestiario aveva però un costo elevato, e inoltre chi voleva un nuovo abito doveva «farselo fare». Si iniziava dal tessuto. In molti casi la materia prima (prevalentemente lana e lino) veniva prodotta in casa, filata da mogli e figlie e tessuta dai mariti3. I tessuti, specie quelli di lana, di solito venivano infeltriti, poi cardati per renderli più uniformi e infine tinti in laboratori specializzati. La produzione di tessuti e abiti di maggiore qualità avveniva invece in città: ci si rivolgeva a una bottega di commercianti di pannilana e sarti, a «pellicciai» e «zupparii» (che confezionavano giacche, dette «zuponi»); per i meno abbienti c’erano gli «strazzaroli» e altri venditori di abiti di seconda mano4.
Il costo di un abito era notevole a paragone di quanto spendiamo oggi per il nostro vestiario. Una parte consistente della spesa totale derivava dal materiale stesso. La confezione, invece, incideva in misura minore, e tuttavia risultava anch’essa alquanto esosa, dal momento che richiedeva continui aggiustamenti e numerose sedute di prova da parte del cliente. Gli indumenti prodotti in massa erano pochi. La maggior parte del vestiario, infatti, era confezionata artigianalmente in casa o su misura da sarti e sarte: produrre abiti che non si adattavano al corpo del cliente sarebbe stato un terribile spreco di costosissimo materiale. L’acquisto di un nuovo abito non era dunque un capriccio, ma un’attività ben pianificata, che spesso veniva fatta coincidere con le festività cittadine o religiose più importanti, o con matrimoni e funerali. E che richiedeva di essere decisa per tempo, affinché ci fosse un arco temporale sufficiente per scegliere il tessuto e confezionare l’abito.

2. Vestire l’uomo e la donna

Qual è la relazione fra vestiario e moda? La moda va interpretata come una forma di cambiamento del vestiario nel tempo. L’inizio di questo cambiamento ha luogo nel corso del XIV secolo, quando la silhouette maschile comincia a differenziarsi da quella femminile. Fino all’inizio del Trecento uomini e donne indossavano lunghe tuniche o camicioni portati senza cintura. Dante, ad esempio, è rappresentato, a fine Duecento-inizi Trecento, con un lungo abito rosso (e il copricapo distintivo) non molto differente da quello che veniva indossato da una donna del tempo. Un’analisi visiva, anche sommaria, di dipinti e affreschi del Tre e Quattrocento mostra con molta evidenza il cambiamento degli abiti maschili. I giovani, soprattutto, preferivano abiti più corti, con calzoni di maglia alquanto attillati, scarpe in forma di semplici calze solate e giubbini imbottiti che, con l’uso di una cintura in vita, formavano una specie di gonnellino al di sopra della calzamaglia. Le donne, invece, continuarono ad indossare abiti lunghi, talvolta forniti di strascico, che davano particolare prominenza al busto – soprattutto al seno, spesso pudicamente mostrato attraverso l’uso di scollature. La donna non si presentava mai in pubblico senza copricapo: semplici veli di lino per le donne di basso rango; forme e materiali più sofisticati, con merletti e fili d’oro, per le donne di ceto elevato.
Questa trasformazione fu possibile grazie a innovazioni tecniche che oggi diamo per scontate. In primo luogo, gli abiti vennero realizzati sempre più frequentemente attraverso processi di cucitura. L’abito dritto, «a casacca», venne rimpiazzato da indumenti che dovevano essere adattati alla figura del corpo, cosa che richiedeva più lavoro e maggiori competenze da parte dei sarti. Iniziarono anche a diffondersi le tecniche della maglia e dell’uncinetto: per realizzare un paio di calze o un maglione non era più necessario produrre il materiale tessile, tagliarlo e poi cucirlo, ma si poteva adottare un procedimento che permetteva di creare il tessuto contemporaneamente al capo di vestiario – in tridimensionale, diremmo oggi. Il vantaggio di abiti e capi di vestiario di maglia è che, grazie alla loro elasticità, si adattano perfettamente alle forme del corpo. Infine, bottoni ed altri tipi di allacciature, a cominciare dai semplici spilli, divennero sempre più comuni, come testimoniano i molti ritrovamenti archeologici.
A partire dagli inizi del Trecento si assiste dunque a una differenziazione sartoriale fra i due sessi. Tale cambiamento viene considerato dagli studiosi come uno dei fenomeni chiave nell’intera storia della moda, per due ragioni. Innanzitutto, la differenziazione di genere nell’abbigliamento è rimasta una caratteristica distintiva della moda e della relazione fra i sessi fino ad oggi: uomini e donne non sono solo biologicamente diversi, e riaffermano la loro differenza fisica, psicologica e sessuale anche attraverso ciò che indossano. In secondo luogo, si ritiene che la differenziazione dell’abito maschile da quello femminile fu per entrambi i generi un primo passo verso una visione dinamica del vestiario che iniziò a diversificare e a diversificarsi nel tempo. E questa diversificazione – delle forme e dei gusti – si impose anche grazie all’emergere di nuovi contesti in cui mostrare e indossare la moda.

3. La città fa moda

Fra l’anno Mille e la peste del 1348 la popolazione europea quasi triplicò e le città, soprattutto nelle ricche zone del Sud dell’Europa, aumentarono in numero e in grandezza. Nuove città e centri urbani più popolosi si svilupparono grazie all’aumento della produttività agricola, che permise a un numero sempre crescente di persone di affrancarsi dalla terra ed esercitare il commercio e varie attività artigianali. La città del tardo Medioevo diviene quindi un luogo di dinamismo sociale, di eccellenza nella produzione di artefatti di vario tipo e di commerci sulla breve e lunga distanza. L’Italia era la zona europea con il maggiore tasso di urbanizzazione e città come Firenze, Venezia, Milano, Roma e Napoli costituivano delle vere e proprie ‘megalopoli’5.
Le città dell’Europa medievale erano centri non solo di produzione e commercio, ma anche di consumo. È qui che si potevano comprare i migliori tessuti, qui che sarti, orefici e altri artigiani confezionavano e producevano vestiti, monili ed altri oggetti alla moda. La città era anche il luogo in cui sfoggiare nuovi abiti, specie per le élites, che sempre più spesso sceglievano di risiedere all’interno delle mura urbane. La città diventa quindi, nel Medioevo, il palcoscenico perfetto per la creazione e la rappresentazione di nuove mode. È anche il luogo in cui il principio della gerarchia medievale, in cui lo status sociale di un individuo era determinato dalla nascita, viene ad essere messo in discussione. Nello spazio urbano, diversamente da quello del feudo, la condizione sociale è determinata dalla ricchezza più che dai natali, ed ecco quindi che abiti eleganti, costosi e all’ultima moda possono innalzare lo status sociale di persone ricche ma dal lignaggio breve quali, ad esempio, facoltosi mercanti e artigiani.
La moda diviene così uno strumento di competizione sociale in una società ancora fortemente gerarchizzata. E tale competizione è basata sull’obiettivo di apparire migliori di quello che si è. In questo caso è proprio vero che «l’abito fa il monaco», nel senso che dà accesso a contesti sociali da cui altrimenti si sarebbe esclusi. Questa interpretazione della nascita della moda è stata tuttavia alquanto criticata. La città, almeno sino alla fine dell’età moderna, era un’eccezione alla regola che vedeva la maggioranza della popolazione ancora legata alla terra. Fino a otto persone su dieci vivevano in campagna e si dedicavano alla produzione di cibo per sfamare una popolazione in crescita. La moda urbana caratterizza quindi soltanto una minoranza della popolazione europea fra il Trecento e il Settecento. Gli storici sono cauti anche nel sottolineare come i limiti dell’espansione della moda non erano determinati solamente dal numero di persone che potevano partecipare a questo nuovo fenomeno, ma anche dalla capacità di produrre oggetti di moda. La percentuale di artigiani sulla popolazione totale era molto piccola, e ancora più modesto era il numero di coloro che avevano le capacità professionali e la maestria per produrre vestiti ed accessori di alta qualità.

4. Domare la moda: le leggi suntuarie

L’espansione del consumo urbano, le sete provenienti dall’Oriente, gli oggetti di lusso – come decorazioni in argento e oro – e il generale innalzamento della spesa per il vestiario erano fonte di preoccupazione per le autorità civili e religiose di città e Stati dell’Europa medievale. La risposta fu una serie di provvedimenti legislativi, le cosiddette leggi suntuarie, finalizzate a limitare la spesa per oggetti di moda, lusso e intrattenimento. La legge suntuaria inglese del 1363, ad esempio, imponeva che «mariti e mogli, figlie e figli non possono indossare abiti del valore di più di due marchi per la stoffa [...] che artigiani e contadini e le loro spose, figlie e figli non possono indossare abiti del valore di ...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. Alle origini della moda: corti e città fra Medioevo ed età moderna
  3. 2. Il nuovo che avanza: una rivoluzione della moda nel Settecento
  4. 3. La «grande rinuncia»: uomini senza moda nell’Ottocento
  5. 4. La moda e l’invenzione del tempo libero tra Otto e Novecento
  6. 5. Da moda ad alta moda: creatività nel «secolo della moda»
  7. 6. Spazio ai giovani: la moda informale e l’influenza giovanile nel secondo Novecento
  8. 7. L’internazionalizzazione della moda d’oggi: tra lusso e moda veloce
  9. Riferimenti bibliografici