IV.
Nel cuore del Mediterraneo
1. Nell’antro dei ladroni
Sbaragliata la flotta saracena che a est di Gibilterra aveva tentato invano di sbarrare loro il passo, alla fine della primavera del 1109, dopo quasi due anni dalla partenza, Sigurðr e i suoi poterono finalmente addentrarsi nelle calde acque del Mediterraneo. Per chiunque procedesse dall’Atlantico verso il Medio Oriente, l’attraversamento delle Colonne d’Ercole da ovest a est era un fatto normale e anzi obbligato, ma in quel frangente esso assumeva una valenza anche simbolica: lì nel Nörvasund, il «Canale stretto» dove le acque oceaniche e quelle marine si incontravano mescolandosi, per i norvegesi si apriva una nuova fase del loro viaggio, non meno insidiosa della precedente e caratterizzata da incognite forse maggiori. Fino a quel punto, infatti, essi avevano percorso la «via dell’Occidente» (vestrvegr), itinerario noto e praticato dai loro antenati sin dalla metà del IX secolo, quando le prime navi vichinghe si erano affacciate minacciosamente di fronte alle coste iberiche; da lì in avanti si sarebbero invece spinti lungo rotte percorse da pochissimi altri scandinavi prima di loro. In effetti, dopo la spedizione di Hásteinn e Björn «Fianco di Ferro», che tra l’859 e l’862 seminarono il panico nella Spagna cristiana e musulmana, in Nord Africa, in Provenza e persino in Italia, non vi sono notizie di altri viaggi simili fino all’inizio del XII secolo, allorché il gruppo di Skopti Ögmundarson intraprese il «viaggio a sud» (1102-1107)1. Ciò naturalmente non significa che quel mare, le sue sponde e le sue genti fossero totalmente ignoti ai norvegesi (dopo tutto erano molte le vie terrestri alternative che dal Nord conducevano al Mediterraneo), ma è comunque probabile che le informazioni e i resoconti di prima mano a loro disposizione fossero limitati, dato l’esiguo numero di conterranei che li aveva preceduti su quella via. In questo senso, allora, il ritorno dei compagni di Skopti, che insieme a lui erano stati i «primi norvegesi a oltrepassare il Nörvasund», dovette essere decisivo non solo per spingere alla partenza Sigurðr e i suoi, ma anche per fornire loro notizie e informazioni sugli itinerari, i paesi e i popoli che avrebbero incontrato durante il loro imminente viaggio.
Secondo la versione della Heimskringla, passata Gibilterra i crociati avrebbero costeggiato a sud le sponde del paese chiamato Serkland («Terra dei saraceni»): questo toponimo, derivato forse dal nome etnico Serkir («saraceni»), in origine identificava un’area compresa tra il Mar Nero e il Mar Caspio, abitata da popolazioni prevalentemente arabe, ma dal XII secolo lo troviamo sempre più spesso usato per indicare sia la Spagna meridionale (al-Andalus) che le regioni nordafricane, distinte da quelle subsahariane dette invece Bláland («Terra degli [uomini] neri»)2. Tuttavia restare troppo a lungo nelle vicinanze del Serkland, cioè dei territori dell’impero almoravide, avrebbe esposto le navi al rischio di attacchi e imboscate nemiche, perciò i norvegesi piegarono quasi subito a nord, verso Formentera (Forminterra in norreno), l’isola più meridionale del gruppo delle Baleari. Il passaggio da questo arcipelago, situato a est delle coste iberiche e allora controllato dai musulmani, era motivato non solamente dal desiderio di ulteriore bottino, ma anche da ragioni pratiche: sin dall’antichità, infatti, agli occhi dei naviganti le coste settentrionali del Mediterraneo, caratterizzate da un’inclinazione elevata e dalla presenza di spiagge e calette, risultavano senz’altro più attraenti della sponda nordafricana, segnata da secche, scogli e banchi di sabbia. La navigazione, pertanto, doveva inevitabilmente orientarsi sulla cosiddetta route des îles o «rotta delle isole», un’antica via marittima che, come lascia intendere il nome, costeggiava le maggiori isole del Mediterraneo, Baleari comprese, evitando il più possibile il mare aperto e consentendo così una traversata relativamente sicura e veloce fino in Oriente3.
Stando alle saghe, quando i crociati arrivarono a Formentera la trovarono abitata esclusivamente da pirati «pagani», che usavano l’isola come base per compiere scorrerie contro i cristiani dei paesi vicini; tra loro vi erano sia saraceni (Serkir) che «uomini neri» (Blámenn, letteralmente «uomini blu»), cioè africani. Quello che accadde dopo è raccontato innanzitutto dagli scaldi e specialmente da Halldórr skvaldri, che inserì l’episodio in due distinti componimenti, il già citato Poema sul viaggio all’estero (Útfarardrápa) e il Canto sul viaggio all’estero (Útfararkviða). Di quest’ultimo, in particolare, sopravvive un’unica stanza, che recita:
Apparve Formentera
dinanzi alla prua
del «disturbatore della pace
impaziente in battaglia» [= guerriero].
Lì l’armata degli uomini neri
dovette soffrire
il fuoco e le lame delle spade
prima di incontrare la morte4.
La stanza non presenta particolari problemi di interpretazione, con un’unica kenning semplice («disturbatore della pace impaziente in battaglia»), priva di elementi mitologici e chiaramente riferita a Sigurðr. Ugualmente esplicita è l’allusione a uno scontro armato avvenuto tra i norvegesi e gli «uomini neri», scontro che nell’altro componimento di Halldórr è descritto in termini più elaborati:
«Tu che rafforzi in battaglia» [= guerriero]
dall’alto lasciasti scendere barche davanti
alla «scorciatoia della gigantessa»;
le gesta del signore [= Sigurðr] contro i saraceni sono diventate famose.
E tu, «intraprendente Þróttr
del frastuono dell’assemblea di Göndul»
avanzasti sul pendio verso l’affollata
caverna con i tuoi seguaci5.
Al confronto con la precedente, questa strofa è decisamente più intricata sia sul piano della costruzione che su quello dei riferimenti mitologici. Secondo Halldórr, Sigurðr («colui che rafforza in battaglia») avrebbe fatto calare delle barche davanti a una «scorciatoia della gigantessa», una kenning pressoché impossibile da decifrare se si ignora che, nell’antica mitologia nordica, questi esseri mostruosi erano strettamente connessi con il mondo sotterraneo. Difatti i giganti, oltre a essere «i primi abitatori del mondo, le forze del caos e dell’oscurità, i nemici degli dèi e al contempo i loro progenitori, i possessori di una saggezza antica e profonda»6, erano altresì associati al sottosuolo, a tumuli, rocce, colline e montagne, come rivelano alcuni loro epiteti quali bergrísar («giganti della montagna») e bergbúi («abitatore della montagna»)7. La «scorciatoia della gigantessa» è quindi una grotta o una caverna, davanti alla quale i norvegesi avrebbero fatto ...