Sono razzista, ma sto cercando di smettere
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Sono razzista, ma sto cercando di smettere

  1. 136 pagine
  2. Italian
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Sono razzista, ma sto cercando di smettere

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Niente razze, ma molto razzismo. Niente razze, ma molte differenze, scritte un po' nel nostro DNA. E moltissimo nella nostra cultura, nei tanti luoghi comuni dove andiamo a inciampare ogni giorno, nei pregiudizi che ci guidano attraverso le piccole e grandi vicende della vita e che ci portano a subire, dire, fare o semplicemente pensare cose razziste.

Barbujani e Cheli non intendono fare una predica contro il razzismo: non potrebbero, con il loro modo di scrivere, agile e pungente, e con la cura nel dare informazioni. Il loro è una specie di manuale, che indica modi effettivi per curarsi dal 'razzismo naturale'. Prima di tutto non andare in cerca di giustificazioni teoriche e comprendere perché il razzismo possa annidarsi anche dove uno meno se lo aspetta.Carlo Augusto Viano

Un bel libro, molto lucido e per niente ideologico, in cui un giornalista e un genetista e romanziere mettono insieme un vero catalogo di razzismi: quelli espliciti e quelli impliciti.Wlodek Goldkorn, "L'espresso"

Cheli e Barbujani ci ricordano che l'umanità è fatta sì di gente diversa, ma che nessuna delle differenze che ci inquietano ha origini genetiche note.Stella Pende, "Donna Moderna"

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788858148648

1.
Così va il mondo?

La notte tra sabato 8 e domenica 9 novembre 2003 i vigili del fuoco scavano tra le macerie del cantiere crollato al Museo del Mare di Genova. Cercano il corpo senza vita di Albert Kolgjegja, muratore albanese di 30 anni; lo ritroveranno dopo diciotto ore di lavoro. Intanto, a poco più di cento chilometri, nel centro storico di Sanremo, un gruppo di cittadini guidati dal parlamentare europeo Mario Borghezio va alla ricerca di clandestini7. È una ronda padana al profumo dei fiori, dei quali però non avverte le delicate suggestioni: «Abbiamo braccia robuste e pessime intenzioni»8, annuncia Borghezio dalle colonne del «Secolo xix».
Erano braccia robuste anche quelle di Albert Kolgjegja, ma non abbastanza per resistere all’urto con il blocco di cemento spesso sessantacinque centimetri piovuto dall’alto che lo ha inchiodato per sempre. Oggi, davanti al Museo del Mare c’è una targa che lo ricorda. C’è da sperare che, quando tra alcuni anni di ronde padane non si parlerà più, a chi passi davanti al porto antico di Genova venga voglia di sapere di quel ragazzo morto lavorando per rendere più bello un pezzetto del nostro paese.
Un altro episodio. La sera del 30 ottobre 2007 intorno alle 21 l’autista dell’autobus linea 31 dell’Atac, l’azienda dei trasporti di Roma, in servizio nella zona Tor di Quinto, è costretto a frenare bruscamente per non investire una donna che urla e piange alla ricerca di aiuto. L’uomo cerca di capire. La donna non parla italiano, è rumena, ma riesce a fargli intuire che qualcosa di grave è accaduto e finalmente l’uomo chiama le forze dell’ordine. Nel giro di pochi minuti arriva una volante della polizia che, grazie alle indicazioni della donna, scopre in un fossato poco distante Giovanna Reggiani, di 47 anni, che non riesce a parlare, respira appena in modo affannoso, e porta su di sé evidenti segni di violenza. Nel frattempo la donna rumena, mimando quanto era successo, chiede ai poliziotti di seguirla. Li porta nella baracca di un campo rom dove arrestano Romulus Nicolae Mailat, 24 anni, rumeno.
Giovanna Reggiani muore due giorni dopo, Mailat nel frattempo è incarcerato. L’omicidio sconvolge l’opinione pubblica, scuote le istituzioni. L’immediata risposta è un decreto legge molto duro che autorizza i prefetti e i giudici di pace a espellere gli immigrati comunitari di riconosciuta pericolosità sociale, insieme alle loro famiglie. Tutti via. In particolare, nella relazione che accompagna il testo per i lavori parlamentari, viene precisato più volte che si tratta di «rumeni». Come Romulus Nicolae Mailat, sì, ma anche come quella donna che non ha esitato a buttarsi sotto un autobus per dare l’allarme. Il suo nome è Emilia, ed è tutto quello che sappiamo. Di lei si sono perse le tracce, peccato: una medaglia l’avrebbe meritata di sicuro.
Intorno a loro e al dolore della famiglia di Giovanna Reggiani si è creato un clima che per un attimo ha rischiato di far precipitare indietro l’Italia di quasi sessant’anni. A quel 1938 quando, annunciate dal Manifesto della razza (firmato da dieci illustri scienziati e controfirmato da 360 intellettuali9), vennero promulgate dal fascismo e controfirmate da S.M. Vittorio Emanuele iii le leggi razziali che privavano dei diritti di cittadinanza le persone di religione ebraica. Oggi è andata meglio; il successivo iter parlamentare, per fortuna, ha riportato in termini più civili la questione.
Nel frattempo l’allarme sociale si è temporaneamente assopito. Sono diventate centinaia le migliaia di persone che sembrava dovessero essere espulse, secondo le modalità delle deportazioni di massa che riportano alla memoria l’Italia post 1938. Ma questo episodio ha fornito l’ispirazione a diversi amministratori pubblici del Nord-est italiano.
A dare il la Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella (Padova), che intende negare la residenza agli immigrati, comunitari e non, se non sono in grado di dimostrare di avere un lavoro o non raggiungono un determinato reddito10. La magistratura apre un’inchiesta ed è subito solidarietà. Per il sindaco. Una manifestazione, intanto. È il 25 novembre 2007 quando dietro lo striscione «10, 100, 1000... Bitonci» sulla piazza della cittadina sfilano una quarantina di colleghi. Tutti appellandosi all’articolo 7 della direttiva 38 dell’Unione Europea che prevede il diritto di soggiornare oltre i tre mesi nel territorio di un altro Stato membro solo disponendo di «risorse economiche sufficienti».
Più o meno nelle stesse settimane Giuseppe Prevedini, sindaco di Caravaggio (Bergamo), rifiuta di celebrare matrimoni in assenza di permesso di soggiorno, benché le leggi attuali lo consentano proprio per favorire regolarizzazioni, contro la clandestinità11; Giancarlo Maria Cremona, sindaco di Morazzone (Varese), segnala alla polizia tutte le pubblicazioni di matrimonio tra italiani e stranieri12, non si sa mai; Letizia Moratti, sindaco di Milano, vieta con una circolare13 l’iscrizione alle scuole materne comunali ai figli degli immigrati in attesa del permesso di soggiorno o del rinnovo dello stesso, bambini che da sempre venivano iscritti con riserva, in attesa della documentazione; Roberto Vendrasco, sindaco di Loria (Treviso), fa cantare l’inno di Mameli prima delle sedute del consiglio comunale14 secondo una personale interpretazione melo-nazionalista; Luca Claudio, sindaco di Montegrotto Terme (Padova), sui tabelloni luminosi invita i cittadini a emigrare prima «in un’altro paese» (con l’apostrofo), poi, correggendo la scivolata, «in un’altra nazione», non potendo lui «garantire la sicurezza»15; Rossella Olivo, sindaco di Romano d’Ezzelino (Vicenza), toglie agli immigrati il cosiddetto bonus bebè, l’assegno di mille euro per ogni bambino nato o adottato, spiegando che deve essere «un premio alla natalità italiana»; inoltre assegna i pacchi natalizi della Croce rossa solo agli italiani ed esclude dal bonus scuola, un finanziamento a sostegno degli studenti meritevoli, le famiglie extracomunitarie residenti16; Lino Ravazzolo, sindaco di Teolo (Padova), decide di assegnare il decreto di cittadinanza a sua discrezione, dopo che i residenti abbiano superato un esame di lingua e di cultura italica. E per dare il buon esempio inizia dalla moglie colombiana dell’assessore provinciale all’Identità veneta Flavio Manzolini17. Chi batte tutti è il consigliere comunale di Treviso Giorgio Bettio che invita a «usare con gli immigrati i metodi delle ss»18, salvo poi scusarsi «per un’espressione dettata dalla rabbia»19.
Il pericolo che molti, specie le persone anziane che l’hanno vissuto, avvertono in episodi come questi è quello di un nuovo fascismo. Stefano Jesurum sul magazine del «Corriere della Sera» risponde così a un lettore che lo interpellava in materia il 6 dicembre del 2007: «che i ‘fascisti’ stiano ‘rialzando la testa’ c’entra assai poco con partiti e ideologie. Attiene alle mentalità e ai comportamenti. Dai maiali portati dove dovrebbe sorgere una moschea ai raid contro i campi-nomadi, e il lavoro tolto a chi non la pensa come chi comanda. Eia-eia-alalà».
Dunque un pericolo c’è. Ma c’è anche, scusate il bisticcio, il pericolo di sopravvalutare il pericolo, o meglio, di non capirne bene la vera natura. In realtà, nella maggior parte dei comuni che abbiamo citato, fatti di violenza xenofoba sono rari. La convivenza con gli immigrati, che forniscono alla zona più ricca d’Italia la forza lavoro indispensabile per le attività produttive, è più tranquilla di quanto lascino supporre queste prese di posizione. C’è diffidenza, talvolta paura, e volano spesso parole grosse. Ma le iniziative degli amministratori di rado si traducono in passi concreti. Quello che in modi differenti e spesso grossolani affiora è un messaggio meno brutale: diventate come noi, così stiamo tutti tranquilli, e se non volete tornate a casa. Ma tenete presente che qui c’è la ricchezza che potremmo condividere, sempre che voi facciate come diciamo noi. In pratica, rovesciando un antico adagio, l’argent ne fait pas la guerre, anzi, finché il denaro circola il problema si allontana.
Questo messaggio viene trasmesso soprattutto attraverso gesti simbolici, volti a rivendicare un’identità fra sangue e suolo, un’appartenenza che non si vuole estendere a chi non parla il dialetto e ha costumi diversi. Questo non vuol dire che non ci siano state anche spedizioni punitive, con bastoni, spranghe e coltelli, volti coperti, caschi, passamontagna. Ce ne sono state, e forse l’episodio più brutale e inquietante è avvenuto poco prima del Natale 2006 a Opera, alle porte di Milano, dove le tende di un campo nomadi sono state bruciate e poi alcuni brandelli esibiti fumanti in piazza. Ma nonostante le cronache non aiutino a guardare con fiducia al presente, non si è (ancora) diffusa l’idea che certi diritti civili non possano essere dati per ragioni biologiche, etniche o via delirando. In altre parole, le manifestazioni, anche eclatanti, di razzismo spicciolo non hanno ancora portato alla rivendicazione sistematica di una superiorità biologica dei locali, da cui discenderebbero diritti diversi, superiori a quelli degli immigrati. Piuttosto, una serie di compromessi al ribasso fra chi contro gli immigrati fa le manifestazioni e chi ha responsabilità pubbliche o politiche rischia di affievolire la coscienza democratica, di portare a una situazione in cui certi diritti fondamentali del cittadino, nativo o immigrato, vengono difesi sempre più debolmente, fino a essere, nei fatti, negati. Lo Stato laico e democratico deve essere la casa di tutti. Se, nei fatti, per alcuni lo è di più e per altri di meno, non è né laico né democratico.
Dicevamo che per affrontare il fenomeno bisogna capirlo bene. Ci sono alcune costanti. Prendiamo di nuovo le dichiarazioni e le iniziative di alcuni amministratori pubblici nell’autunno del 2007, partendo dal consigliere Bettio e dalla sua voglia di ss espressa in consiglio comunale e che tanta eco ha avuto nei mezzi di comunicazione. Da un lato si alza la voce, la si spara, grossa, più grossa possibile. I giornali la riprendono, le televisioni la enfatizzano. E poi ...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione alla presente edizione
  2. 1. Così va il mondo?
  3. 2. Pregi e difetti del pregiudizio
  4. 3. Quanto siamo intelligenti
  5. 4. Quali sono, se ci sono, le razze umane
  6. 5. Le razze tornano di moda
  7. 6. Le parole per (non) dirlo
  8. 7. Identità assassine
  9. Ringraziamenti