La vittoria senza pace
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La vittoria senza pace

Le occupazioni militari italiane alla fine della Grande Guerra

  1. 288 pagine
  2. Italian
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La vittoria senza pace

Le occupazioni militari italiane alla fine della Grande Guerra

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Informazioni sul libro

Il primo conflitto mondiale ridisegnò complessivamente l'intera carta geografica europea, con la nascita di nuove entità statuali, il tracciato di nuovi confini e lo spostamento dei vecchi. In molti casi gli Stati vincitori acquisirono territori abitati da popolazioni di altra lingua. È il caso dell'Italia. Si intrecciarono così, in un nodo arduo da gestire per i contemporanei, politica interna e politica estera, compimento dell'unità nazionale e sogni imperiali. Questo libro rappresenta la prima trattazione organica, in un'ottica comparata, delle occupazioni italiane nel primo dopoguerra.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788858148655
Argomento
Storia

I.
L’Italia in Austria: da Vienna a Trento
di Andrea Di Michele2

1. L’Italia potenza occupante

Nel maggio 1915 l’Italia aveva dichiarato guerra all’Austria con un quadro piuttosto preciso dei propri obiettivi. Al primo posto c’era naturalmente il completamento dell’unità nazionale (Trento e Trieste), a seguire vi era la conquista di ulteriori territori in grado di assicurarle sicurezza militare verso nord e verso est e un ruolo centrale nello scacchiere danubiano e balcanico (Alto Adige, Dalmazia settentrionale, Albania, isole del Dodecaneso) e infine non mancavano ambizioni di espansione extraeuropea (Anatolia, territori africani). Erano obiettivi da grande potenza, che al tavolo della pace si sarebbero rivelati troppo ambiziosi e solo in parte raggiungibili. Ma la situazione era tutt’altro che sfavorevole e all’Italia che usciva vittoriosa dalla prima guerra mondiale si schiudevano interessanti prospettive in campo internazionale.
L’Italia, unica tra le potenze vincitrici, vedeva non solo sconfitto ma addirittura dissolto il proprio «nemico ereditario», quell’Austria-Ungheria contro cui aveva condotto la guerra secolare per il raggiungimento dell’unità nazionale. Dopo tre guerre d’indipendenza poteva dirsi finalmente conseguito l’obiettivo di annettere alla nazione le terre irredente ancora mancanti, il Trentino e la Venezia Giulia. È vero che la prospettiva italiana al momento dell’ingresso in guerra non era la distruzione dell’Austria-Ungheria, bensì il suo ridimensionamento e la contemporanea espansione italiana nell’area adriatica prima controllata da Vienna. La nascita del regno Shs complicava il quadro, rimettendo in discussione il confine orientale così come prefigurato nel patto di Londra. Ora non si trattava più di sottrarre dei territori a uno Stato sconfitto, bensì di discutere il tracciato del confine orientale con una nuova realtà statuale che, al pari dell’Italia, poteva considerarsi potenza vincitrice e avanzava rivendicazioni di tipo nazionale.
Ciò non toglie che il tracollo della monarchia asburgica lasciasse intravedere, oltre alla già immaginata espansione territoriale, anche il raggiungimento di una posizione di forza nei futuri assetti dell’Europa danubiana e balcanica, completamente ridisegnata dai trattati di pace. L’impero era scomparso lasciando i propri territori a paesi già esistenti o dando vita a nuovi Stati. La stessa Italia poteva considerarsi uno degli Stati successori dell’impero multinazionale asburgico, avendo ottenuto parti consistenti di quel territorio, abitate non solo da italiani, ma da tedeschi, sloveni e croati. A partire dal 1919 anche l’Italia avrebbe dovuto cimentarsi con una questione per la quale appariva totalmente impreparata: il governo di territori abitati da popolazioni di altra lingua che erano entrate a far parte del regno contro la propria volontà. La scomparsa della duplice monarchia determinava nell’area danubiana un gigantesco vuoto di potere che l’Italia, unica potenza vincitrice territorialmente prossima, poteva ragionevolmente proporsi di colmare. Non era un’ambizione peregrina per un’Italia vittoriosa, che si accingeva a spostare i propri confini più a nord e più a est e a conquistare territori e posizioni di potere sull’altra sponda dell’Adriatico.
Sia i propositi di acquisizioni territoriali che le ipotesi di conquista di un ruolo centrale nell’area prima occupata dalla duplice monarchia chiamavano in causa in primo luogo i rapporti presenti e futuri con la nuova Austria nata dal disastro militare. A essa andava sottratto un territorio popolato in larghissima parte da popolazione di lingua tedesca come il Sudtirolo e con essa andava costruita una relazione in grado di schiudere all’Italia le porte dell’est europeo.
Non è quindi un caso che al termine della guerra l’Italia mostrasse un’attenzione particolare per le relazioni con l’Austria, da costruirsi sulla base di rapporti di forza completamente ribaltati rispetto all’era prebellica. In precedenza la monarchia danubiana era stata una delle grandi potenze europee e internazionali, mentre ora a succederle era un moncone di Stato dal peso politico pressoché insignificante. Una nazione macrocefala, con la sontuosa Vienna imperiale che da sola contava 1.800.000 abitanti su di un totale nazionale che era crollato dai 52.000.000 dell’antica monarchia ai soli 6.110.000 della neonata Austria tedesca. La dimensione internazionale, borghese, moderna della capitale si contrapponeva con forza al carattere localistico, agricolo, conservatore della provincia. Agli occhi di quest’ultima, Vienna divenne il luogo lontano ed estraneo dell’alta finanza, identificata spesso con l’«ebreo», ma anche del sovversivismo bolscevico, cui la provincia rurale si contrapponeva forte del suo profilo cattolicissimo e conservatore. Dal punto di vista politico la divisione tra questi due mondi andò aumentando, con Vienna roccaforte dei socialdemocratici, mentre i singoli Länder nelle elezioni provinciali assicuravano solide maggioranze ai cristiano-sociali.
La frattura tra centro e periferia si innestava in una profonda crisi sociale, economica e politica. Il paese era attraversato da tensioni rivoluzionarie, dubitava di avere la forza e la coesione necessarie per esistere in quanto Stato e soffriva letteralmente la fame per l’interruzione delle forniture alimentari dai territori ex asburgici. Il territorio austriaco era inserito originariamente in una vasta area economica contraddistinta da una chiara divisione del lavoro: a zone vocate alla produzione agricola si affiancavano regioni con una struttura economica incentrata sull’industria e la finanza. Il granaio del vecchio impero era l’Ungheria, mentre la Boemia rivestiva un ruolo fondamentale dal punto di vista produttivo e come fornitrice di carbone. Alla fine della guerra l’Austria si trovò così nell’impossibilità di acquistare le necessarie derrate alimentari, priva di fonti energetiche, con un ipertrofico sistema finanziario e burocratico e con il problema di collocare su mercati diventati stranieri la propria produzione industriale. Per questo motivo vasti settori dell’opinione pubblica e del mondo politico ritenevano che un’Austria indipendente non avesse le forze per sopravvivere e che si dovesse puntare all’unione con la Germania. L’aspirazione all’Anschluss non nasceva solo dalle drammatiche difficoltà economiche, ma dal desiderio di esercitare quel diritto all’autodeterminazione sulla cui base nascevano gli altri Stati successori, sancendo la fine di una separazione «innaturale» dei tedeschi di Germania e Austria. Ma le potenze vincitrici inserirono nel dettato del trattato di pace il formale divieto all’Anschluss, particolarmente inviso alla Francia, che non poteva accettare di aver vinto la guerra al fine di contribuire al perfezionamento dell’unità nazionale tedesca. L’Austria era dunque condannata a esistere, anche contro la propria volontà, e dovette subire pure il divieto di chiamarsi Deutschösterreich, un nome che spaventava per il richiamo che poteva esercitare sulle minoranze tedesche degli Stati confinanti e per l’evidente riferimento all’appartenenza alla comunità nazionale germanica.
Le drammatiche difficoltà economiche del paese aggravavano pericolose spinte centrifughe che muovevano dalle regioni di confine e che rischiavano di far implodere la neonata Austria tedesca. A occidente, nel Vorarlberg, conquistavano crescente seguito i fautori dell’annessione alla Svizzera; a sud-est, da Carinzia e Stiria, saliva la richiesta di un’unione doganale con il Tirolo sotto la protezione italiana; in Tirolo vi era chi, pur di salvare l’unità della regione che si accingeva a essere divisa lungo la linea del Brennero, era disposto a immaginare la regione alpina come Stato autonomo soggetto all’egemonia italiana. Il nuovo Stato difettava di coesione politica e persino di una propria chiara identità. Molto più forti erano le singole identità regionali, che riemersero con vigore al momento della caduta della monarchia e della rottura del nesso che le univa sulla base del vincolo dinastico. Nella confusa fase postbellica, i governi provinciali assunsero addirittura iniziative autonome nel rapporto con gli Stati confinanti e si dotarono di milizie locali, con un’aggressiva impronta nazionalista e antisocialista, che in alcuni casi svolsero un ruolo importante nella difesa dei confini contesi.
A quest’Austria fragile e dal futuro incerto si contrapponeva un’Italia che invece, con il dissolvimento dei quattro grandi imperi presenti sul suolo europeo (germanico, austroungarico, russo e ottomano) a seguito della sconfitta militare, era passata dalla condizione di media potenza con un ruolo del tutto subordinato a quella di terza grande potenza europea dopo Inghilterra e Francia. Il ribaltamento dei vecchi equilibri non poteva essere più radicale.
L’appropriazione da parte dell’Italia dei territori tedescofoni a sud del Brennero era un motivo di tensione con la nuova Austria, per cui il Tirolo meridionale rappresentava la perdita territoriale più dolorosa. A dividere i due paesi vi era poi quell’«inimicizia ereditaria» che nella guerra mondiale aveva conosciuto il suo culmine. Per l’Italia era stata l’Austria, ancora una volta, il vero nemico nell’«ultima guerra del Risorgimento», mentre per l’Austria, dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, lo scontro contro il vicino meridionale, «traditore» della Triplice Alleanza e potenziale usurpatore di territori, era stata la guerra più sentita. Ma ora entrambi i paesi avevano bisogno l’uno dell’altro: per l’Italia l’Austria poteva essere la chiave per penetrare da potenza dominante nel bacino danubiano, per la piccola Austria tedesca la confinante Italia era la potenza vincitrice più importante, con cui era imprescindibile costruire un rapporto di collaborazione.
Muovendo da una nuova e insolita posizione di forza l’Italia fece il suo ingresso in Austria, in diversi modi e con diverse finalità a seconda delle aree in cui si trovò a operare.
L’armistizio con l’Austria-Ungheria firmato a Villa Giusti, presso Padova, il 3 novembre 1918 prevedeva la smobilitazione totale dell’esercito austroungarico e il suo ritiro a nord di una linea che, in riferimento all’area tirolese, così veniva disegnata: «Dal Pizzo Umbrail sino a nord dello Stelvio, essa seguirà la cresta delle Alpi Retiche fino alle sorgenti dell’Adige e dell’Isargo passando per Reschen, il Brennero e i massicci dell’Oetz e dello Ziller; quindi volgerà verso sud attraverso i monti di Toblach e raggiungerà l’attuale frontiera delle Alpi Carniche seguendola fino ai monti di Tarvis»3. I territori tirolesi posti a sud di tale linea – e cioè il Trentino e l’Alto Adige – vennero occupati militarmente e governati in via provvisoria in attesa di poter procedere all’annessione formale a seguito del trattato di pace. L’Italia era ragionevolmente sicura di poter ottenere quei territori in via definitiva, forte del patto di Londra che, siglato segretamente il 26 aprile 1915 con le potenze della Triplice Intesa, in cambio della sua entrata in guerra contro Germania e Austria-Ungheria, prometteva all’Italia, tra le altre cose, proprio il Tirolo a sud del Brennero. E in effetti, come era prevedibile, il trattato di Saint-Germain, firmato il 10 settembre 1919, assegnò all’Italia il Trentino e l’Alto Adige, ricalcando essenzialmente la linea già fissata al momento dell’armistizio.
Ma l’occupazione italiana non si fermò al Brennero. L’armistizio di Villa Giusti consentiva l’«occupazione, in qualunque momento, da parte delle Armate delle...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. L’Italia in Austria: da Vienna a Trento di Andrea Di Michele
  3. II. Attorno all’Adriatico: Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia di Raoul Pupo
  4. III. Esserci a qualsiasi costo: Albania, Mediterraneo orientale e spedizioni minori di Giulia Caccamo
  5. Considerazioni e confronti
  6. Sigle e abbreviazioni
  7. Bibliografia orientativa
  8. Cartine