1.
Siamo italiani!
Sì, ma che vuol dire?
Con tutta la sua boria
Questa volta il Bey perde la testa.
Ci ho gusto. Tanta smania
Avea d’una Italiana... Ci vuol altro
Con le donne allevate in quel paese
Ma va ben ch’egli impari a proprie spese.
Le femmine d’Italia
Son disinvolte e scaltre.
E sanno più dell’altre
L’arte di farsi amar.
Nella galanteria
L’ingegno han raffinato:
E suol restar gabbato
Chi le vorrà gabbar.
Gioachino Rossini, L’Italiana in Algeri, 1813
1.1. L’Italia è da sempre “Lo Stivale”?
Partiamo dalla forma.
A differenza di molte altre nazioni l’Italia odierna sembra avere dei confini piuttosto ovvi. Molti paesi dell’Europa – il continente che ha inventato il moderno concetto di nazione – hanno una storia di confini tormentati e contesi, mentre quelli italiani sembrano delineati con chiarezza dalla natura stessa. Delimitata da un’ininterrotta catena montuosa, che la chiude rispetto ad altri territori, e dal mare, che ne definisce le coste, l’Italia “fisica” sembra fatta apposta per divenire un contenitore identitario, riconoscibile nella sua caratteristica forma, tanto da dare luogo a un’antonomasia. “Lo Stivale” è diventato un sinonimo dell’italianità, tanto che la NASA ha intitolato alcune delle più famose immagini del paese dallo spazio “The Italian Boot” e da essere rappresentata in un quadro appeso alle pareti del ristorante di Luigi Risotto, il cuoco italoamericano della serie TV I Simpson.
Eppure, questa solida figura, retorica e immaginifica, per i cui confini sono morte nel tempo milioni di persone, ha assunto dei contorni riconoscibili in periodi relativamente recenti: basti pensare che gli ultimi, certo minimi, “aggiustamenti” delle frange estreme di questo contenitore datano 2017, con la ratifica degli accordi confinari tra Italia e Slovenia.
Si potrebbe obiettare che, per quanto “pezzetti” di questo stivale possano in effetti essere stati acquisiti o persi in epoche recenti, è evidente che la penisola circondata dalle Alpi è sempre stata riconosciuta come un’unità territoriale stabile e continua, almeno dai propri abitanti, e che “Italia” sia il nome che ha sempre definito, su per giù, la terra incastrata tra le Alpi e il Mediterraneo.
Ma non è affatto così.
I processi storici che oggi vengono studiati sotto il nome di “storia d’Italia”, e che sono tuttora parte integrante dei programmi scolastici italiani, hanno la caratteristica di raggruppare in un unico filone insieme delle vicende di un territorio che, dei tremilacinquecento anni che intercorrono tra la nascita del nome Italia e quella che oggi noi intendiamo come tale, ne ha passati più di tremila spezzettato in entità locali con sovrani, amministrazioni, culture, società ed economie distinte le une dalle altre e spessissimo in conflitto tra loro. L’85% del tempo è occupato da queste vicende storiche.
Specialmente dopo la nascita del regno unitario nel 1861, in molti hanno cercato di dare forma e dimensione al concetto di “Italia” attraverso la geografia e sostentando questa convinzione con ricerche archeologiche e linguistiche che hanno come primo importante risultato il fatto di dimostrare un dato piuttosto curioso: se c’è necessità di cercare le origini del paradigma geografico italico è perché evidentemente queste sono, ad oggi, sconosciute o dubbie.
Le diverse interpretazioni che scaturiscono dalle indagini dimostrano soprattutto che moltissimi, tra quelli che hanno preceduto l’attuale popolazione italiana, abitavano il territorio che oggi si chiama “Italia” senza ritenersi parte di qualcosa di continuo dalle Alpi al Mediterraneo e senza nemmeno chiamare “Italia” il luogo in cui vivevano. La maggior parte di quelli che oggi noi chiamiamo “italiani” non sapeva di esserlo.
Le ricerche più avanzate raccontano che l’origine del termine Italói sembri derivare dal nome con cui gli antichi greci chiamano una popolazione abitante a sud dell’odierna Catanzaro, pare aventi come animale totemico un vitello (italós). In sostanza, una tribù di adoratori di bovini che divinizza l’animale da cui probabilmente trae il proprio sostentamento. Gruppi di allevatori, abbastanza arretrati da rimanere impressi ai compatrioti di Pericle come “quelli che adorano i vitelli”, alla punta sud di un territorio sconosciuto, ostile, barbaro.
Come questo possa aver poi dato vita e gambe a questo etnònimo tanto da farne un brand che identifica interi pezzi di territorio in più continenti (le tante Little Italy sparse nelle maggiori città mondiali) è storia complessa e non lineare.
Nel corso del tempo, probabilmente in tono spregiativo, il termine italói diviene per i greci il nome collettivo di quelle popolazioni, sconosciute per lo più, che attorniano i loro insediamenti nella zona che corrisponde grosso modo all’attuale regione della Calabria. Confini complicati da stabilire, tutt’altro che corrispondenti a quelli che riconosciamo noi come tali. La Sicilia è in questo senso esclusa, per i greci, dal nome “Italia”, essendo terra molto più affine alla loro realtà delle aspre montagne appenniniche in cui si allevavano i vitelli.
Italói e Italia sono dunque nomi imposti dall’esterno. Così come molti gruppi umani del continente africano tra Otto e Novecento “scoprono” di essere popoli in base alle definizioni interessate dei loro occupanti, allo stesso modo la piccola popolazione di allevatori calabresi accetta questo nome, cominciando ad assumere come naturale un dato di fatto: quelli che vengono chiamati italói sono, in effetti, diversi dai greci. Hanno cioè una diversa identità, in quanto i greci provengono dal mare, pilotano navi, commerciano e hanno una tecnologia militare superiore e anche un apparato ideologico più solido e pronto alla colonizzazione. Nascono col tempo riferimenti mitologici per spiegare le origini di questa gente divenuta popolo, come quello di re Italo, che avrebbe regnato sugli Enòtri, popolo dimorante tra le odierne Basilicata e Calabria, che con le sue gesta avrebbe dato il suo nome a tutte le genti di quelle contrade. Ma si tratta anche in questo caso di leggende costruite sul modello greco, anzi, omerico, dei mitici re fondatori di civiltà. Per quasi un millennio il termine “Italia” è un nome geografico che serve a designare solo la punta estrema del famoso Stivale: un nome che si espande insieme ai dominatori greci, che continuano a battezzare “Itali” o “Italioti” i barbari in cui man mano si imbattono risalendo le coste della penisola.
1.2. Italiani eredi dei Romani?
Roma all’inizio della sua storia è una tra le molte città-stato al centro della penisola. Quando la sua espansione prende l’abbrivio, attorno al VI secolo a.C., sono decine i popoli “italici” che vengono presi e assoggettati a Roma. L’assimilazione e la crescita della città egemone passano proprio dal riconoscere la cittadinanza romana a questi popoli: un’estensione del diritto che non si limita a sancire il semplice abitare un territorio specifico, ma ha a che fare con l’amalgamarsi culturale e sociale delle popolazioni italiche al modello romano. Nel tempo il concetto di Italia si estende, venendo ad essere una sorta di “giardino di casa” dei romani che ricomprende i territori che accettano o subiscono con più efficacia la romanizzazione.
Nella costruzione del dominio romano si fa strada nel tempo la necessità di suddividere in unità gestibili i territori conquistati e l’Italia, così come la immaginavano i politici della Roma tardo-repubblicana, comincia ad essere un concetto amministrativo oltre che geografico: la suddivisione delle regioni dominate porta comunque il nome Italia ad estendersi fino alle propaggini della Pianura Padana. La Sicilia, come da tradizione greca, è però esclusa da questa definizione. Un salto in avanti, certo, rispetto alla sola provincia di Catanzaro, ma è interessante notare che l’Italia così come la immagina un romano della fine della Repubblica è un territorio che, sovrapposto a quello odierno, priverebbe del titolo di italiani trentatré (su sessanta) milioni di attuali cittadini.
Quando passa il fiume Rubicone, nell’odierna Emilia Romagna, Cesare sa che quello è i...