1.
Europei tra gli europei:
Creta 1899-1910
Quando nel giugno 1899 Federico Halbherr, epigrafista roveretano, sbarcò a Creta con i due giovani studiosi Gaetano De Sanctis e Luigi Savignoni, l’isola era da poco divenuta un protettorato europeo presieduto dall’Alto commissario principe Giorgio di Grecia. Quattro potenze (Gran Bretagna, Francia, Italia e Russia) ne avevano promosso l’indipendenza, ponendo fine – almeno apparentemente – alla «questione cretese» apertasi decenni prima con un tentativo di distacco dall’Impero ottomano e di unificazione alla Grecia1.
Portata avanti in accordo con il governo di Costantinopoli per salvaguardare l’ordine mediterraneo, la soluzione della crisi non era avvenuta in maniera indolore: le due principali comunità, la cristiana e la musulmana, si erano rese nel tempo vicendevolmente protagoniste di violenze e massacri, mentre molti profughi avevano cercato riparo abbandonando i propri villaggi o imbarcandosi per altre destinazioni2. Dopo aver tenuto banco sulle prime pagine della stampa internazionale, nel 1898 Creta era stata quindi occupata militarmente e divisa in quattro aree, ognuna delle quali facente capo alle potenze intervenute: disarmata la popolazione e pacificate le forze in campo, nel giro di pochi mesi queste ultime ne avevano affermato l’indipendenza. Pur rimanendo formalmente sotto la sovranità ottomana e, di fatto, sotto il vigile controllo europeo, l’isola godeva ora di un proprio governo autonomo, pronto a confrontarsi con le varie scuole archeologiche interessate ad accaparrarsi le antichità del territorio.
1. Un nuovo paradiso, all’orizzonte
Come ebbe modo di notare il direttore della British School di Atene, David Hogarth, la nascita di una «entità ibrida»3 qual era il nuovo Stato cretese spalancava le porte ad un vero e proprio «Eldorado archeologico»: l’isola poteva ben dirsi la «terra promessa»4 degli scavi nel Mar Egeo, visto che le esplorazioni degli anni precedenti ne avevano svelato la ricchezza in termini di resti e reperti riconducibili soprattutto alla preistoria. L’italiano Halbherr era stato uno dei protagonisti principali di queste indagini, fortemente volute dal grecista Domenico Comparetti che nel 1884 lo aveva spinto a recarsi sull’isola5. Qui, il giovane epigrafista roveretano aveva rinvenuto la Grande iscrizione di Gortina, un notevole codice di leggi redatto sulle pareti dell’odèion dell’antica città6. L’importanza della scoperta, seguita da altre nel giro di pochi anni, aveva suscitato l’interesse dell’Archaeological Institute of America, che proprio a Halbherr e ai suoi collaboratori Lucio Mariani e Antonio Taramelli aveva affidato altre ricognizioni nel biennio 1893-947. Pur nella loro irregolarità dovuta ai disordini e alle sommosse, i resti del Tempio di Apollo Pitio a Gortina, quelli del teatro a Latò e poi dell’Antro Ideo sul Monte Ida avevano sancito l’importanza del territorio, facendo emergere testimonianze di una civiltà pre-ellenica in larga parte sconosciuta.
A partire dagli anni Ottanta, nuove presenze straniere si erano registrate sull’isola. Il francese Bernard Haussoulier e, dopo di lui, il connazionale André Joubin; i britannici John Myres e Arthur Evans; l’americano William J. Stillman, il tedesco Heinrich Schliemann avevano fatto la loro più o meno rapida comparsa, spinti dalle suggestioni e dalle possibilità che Creta evocava specie in relazione alla collina di Cnosso, in cui vari ritrovamenti prefiguravano l’esistenza di un sito notevole8. Il loro interesse non aveva lasciato indifferente neppure l’élite colta locale che proprio in quegli anni aveva istituito le prime associazioni di promozione culturale, i Sillogi, incaricati dall’Assemblea generale cretese di gestire la tutela dell’antico, quindi l’interazione con quanti si candidassero all’apertura di scavi9. Tra essi, il Sillogo di Candia diretto da Joseph Chatzidakis, divenuto in breve un interlocutore fondamentale per gli studiosi presenti nell’area poiché in grado di favorirne o meno le ambizioni.
Gli uni e gli altri, gli stranieri e i locali, avevano condiviso una preoccupazione specifica: quella che i reperti eventualmente scoperti finissero nel Museo imperiale di Costantinopoli dove, in base alla legge di tutela del 1884, sarebbero dovuti confluire i materiali più significativi rinvenuti nei territori controllati dalla Sublime porta10. La diffusa sfiducia nella capacità dell’impero e della «razza turca» di tutelare le antichità, soprattutto se riconducibili – e questo sembrava il caso di Creta – alle epoche più remote e meno note della vicenda europea11, aveva spinto a limitare le attività di scavo e a confidare nella futura possibilità di godere pienamente del frutto delle proprie ricerche. Trattenere i reperti nel sottosuolo, limitarsi ad esplorazioni topografiche, costruire nel frattempo relazioni ed alleanze era stata quindi la strategia adottata nell’isola per tutto il tempo antecedente la sua «liberazione» e restituzione «alla civiltà».
Con l’avvento di quest’ultima, con la nascita cioè del protettorato europeo, apparve per la prima volta plausibile l’avvio di ricerche libere, condotte da studiosi famelici in cerca di soddisfazioni scientifiche e notorietà. La divisione di Creta in quattro, con la conseguente costituzione di altrettante «enclave» archeologiche, venne salutata in modo trionfalistico. Hogarth ed Evans misero subito in chiaro sul «Times» la possibilità di attivare finalmente, in modo per loro vantaggioso, tutte le energie necessarie per far riemergere le testimonianze delle epoche più remote della civilizzazione12. Sulla rivista «Atene e Roma» Taramelli esultò all’«emancipazione finale» dell’isola, spiegando come «l’ammainare della bandiera ottomana» segnasse «un’era indimenticabile» non solo «per il sentimento patrio degli isolani e della Grecia», ma anche per tutti coloro che, amando Creta, «speravano da questa una ricca messe di dati importanti per la storia della civiltà del Mediterraneo»13. Sulla stessa linea, altri autori italiani raccolti intorno alla «Nuova Antologia» discettarono dei benefici che sarebbero derivati dalla conoscenza del passato cretese all’inarrestabile sviluppo delle nazioni europee14. In tutti questi testi, l’isola veniva politicamente e simbolicamente sottratta al nemico ottomano, per essere finalmente ricondotta nella sfera dell’europeità.
Il 1899 rappresentò in questo senso uno spartiacque, rivelando l’insieme di aspettative che il mondo dell’archeologia mediterranea nutriva nei confronti dell’isola, nota fino ad allora per il sangue sparso in nome di appartenenze culturali e religiose in conflitto. A partire da questo momento, e in attesa della promulgazione di una nuova legge di tutela, a Creta si dispiegò di fatto una vera e propria corsa per l’accaparramento di località di scavo: una corsa rappresentata come nobile gara scientifica tra le nazioni, in realtà frutto di competizione per affermare le proprie prerogative in un territorio tutto ancora da indagare15.
Come scrisse Mariani al potente direttore della Scuola archeologica di Roma, Luigi Pigorini, a Creta agiva una «ressa di archeologi»16 in lotta per assicurarsi vantaggi e benefici: era dunque necessario che gli italiani non si lasciassero «rubar la mano», ma facessero di tutto per prender parte attiva alla spartizione in corso. Fu naturalmente soprattutto Halbherr a muoversi in questa direzione, rivendicando l’urgenza di intervenire con scelte forti in modo da affermare una volta per tutte la presenza italiana17. Ricordando i successi già ottenuti sul campo dai suoi collaboratori, tra i migliori allievi della Scuola romana, l’epigrafista scriveva al suo direttore:
Dopo tali precedenti trovo che sarebbe poco decoroso per noi il cedere interamente agli istituti archeologici di altre nazioni il compito dell’illustrazione archeologica di Creta e il far continuare da stranieri, in circostanze divenute così favorevoli, molti lavori che noi abbiamo colà cominciato e non finito per le difficoltà insormontabili degli ultimi tempi18.
Per gli archeologi italiani, «cessato lo stato di anarchia e stabilitosi nell’isola un governo civile», era infatti «un dovere»19 riprendere e sviluppare le ricerche avviate negli anni precedenti, istituendo un’apposita Missione. Di questo fu convinto anche Pigorini che si mostrò sollecito nel trasmettere alle autorità competenti le richieste di Halbherr, facendo proprie le parole di quest’ultimo nell’evocare il «disdoro» che sarebbe venuto al paese nel momento in cui gli italiani avessero abbandonato il campo da loro stessi spalancato20. Lunghe trattative furono quindi avviate tra il ministero della Pubblica istruzione, la Di...