Prima lezione di scienze cognitive
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Prima lezione di scienze cognitive

  1. 188 pagine
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Prima lezione di scienze cognitive

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Una delle più affascinanti avventure intellettuali e scientifiche a cavallo del XX e XXI secolo: così si può definire il percorso delle scienze cognitive per comprendere la mente, umana e animale. Lo scopo è scoprire come funziona un qualsiasi sistema, naturale o artificiale, che sia in grado di filtrare e ricevere informazioni dall'ambiente circostante, di rielaborarle creandone di nuove, di archiviarle e cancellarle, di comunicarle ad altri, di prendere decisioni e agire nel mondo adattandosi ai suoi cambiamenti.

In questa nuova edizione, Paolo Legrenzi si spinge fino in territori apparentemente lontani dalla materia come le recenti crisi finanziarie, svelando curiosi meccanismi della mente.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858122594

V.
Muoversi nel mondo

1. Esplorazione e attenzione

I tempi dell’evoluzione naturale sono lunghissimi, in quanto richiedono il succedersi di generazioni e generazioni. Solo così possono affermarsi dei varianti spontanei, cioè degli «errori» nelle repliche che, per puro caso, si adattano meglio all’ambiente, che nel frattempo può essere a sua volta cambiato. Se teniamo presente questa scala dei tempi plurimillenaria, risulta evidente che l’ambiente attuale, completamente trasformato dall’uomo con miriadi di artefatti, non ha nulla a che fare con le savane e le foreste dei cacciatori-raccoglitori di 15 mila anni fa. Non era ancora nata l’agricoltura ed essi si muovevano in ambienti ricchi soltanto di ostilità naturali. La loro attività prevalente era la ricerca di cibo e di sicurezza. Dovevano quindi essere in grado di selezionare visivamente le informazioni adatte e di decidere in poco tempo (questo avviene ancor oggi in contesti artificiali, quando, ad esempio, l’uomo è alla guida di un mezzo di trasporto). Non è quindi stupefacente che l’evoluzione della specie ci abbia dotato di grandi capacità di filtro delle informazioni e che abbia reso queste capacità involontarie e inconsapevoli. Solo così i filtri possono agire in modo automatico e quindi rapido. Non dimentichiamo, però, che l’ambiente per cui sono stati selezionati questi filtri non è quello degli artefatti odierni. Dovremmo quindi valutare le nostre capacità non in riferimento all’ambiente tecnologico di oggi, ma all’ambiente «naturale» di migliaia di anni fa. La trasformazione più grande, rispetto ad allora, è stata quella consistente nell’arricchire l’ambiente con artefatti che, a loro volta, richiedono attenzione. Tutta la nostra educazione è intrecciata di «stai attento a...», dato anche che le nostre paure naturali (serpenti, vuoto, fuoco e così via) non corrispondono affatto agli eventi oggi più pericolosi. Il nostro allevamento si traduce così in un’educazione alla selezione delle informazioni «giuste» e in una guida al sapiente impiego dell’attenzione.
Analizziamo come, nelle prime fasi della visione, entrino in azione dei filtri «automatici». Guardate, ad esempio, la figura 1. La zona di puntini, a sinistra, viene vista subito come diversa dalla regione circostante.
Fig. 1. La zona di puntini a sinistra viene vista subito, mentre ci vuole attenzione per accorgersi che, a destra, c’è una zona di T e non di L.
Fig. 1. La zona di puntini a sinistra viene vista subito, mentre ci vuole attenzione per accorgersi che, a destra, c’è una zona di T e non di L.
Successivamente, prestando «attenzione» alla tessitura della figura 1 ci si accorge che l’area circostante a quella che emerge immediatamente come «diversa» non è «omogenea», cioè fatta tutta di L, dato che, a destra, compaiono delle T. Ecco l’azione dei filtri: la visione ci «obbliga» a vedere alcune cose prima di altre.
Le leggi dell’organizzazione percettiva tendono a completare le figure interrotte e questo fa sì che alcuni oggetti «spicchino» più di altri nell’ambiente circostante. Ad esempio, confrontate la figura 2a con la 2b. Vi accorgerete facilmente della presenza di un cerchio interrotto nella figura 2a, mentre dovrete esaminare con più attenzione la 2b per individuare l’unico cerchio completo. In questi casi abbiamo una forma di «focalizzazione» pre-attentiva su certi aspetti del mondo in luogo di altri. Ricordate il disegno di Arnheim della facciata del Redentore? Il problema era proprio quello di quanta attenzione fosse necessaria nell’esplorare la facciata per «chiudere» un triangolo incompleto.
Fig. 2. È più facile vedere il cerchio interrotto in 2a che quello completo in 2b.
Fig. 2. È più facile vedere il cerchio interrotto in 2a che quello completo in 2b.
Il tema dell’esplorazione visiva è stato utilizzato da artisti e architetti prima che gli scienziati cognitivi ne analizzassero in dettaglio i meccanismi e le basi neurofisiologiche. In un dipinto l’osservatore può essere aiutato da una struttura che impone una gerarchia di osservazione. Come ha osservato Arnheim in Arte e percezione visiva:
L’analisi dell’opera mostra dunque che il tema centrale dell’immagine, l’idea della creazione, è trasmesso da ciò che per prima cosa colpisce l’occhio e continua poi a organizzare la composizione a mano a mano che se ne esaminano i particolari.
Un esempio tra i tanti è dato dalla struttura isolata da Arnheim nella Creazione d’Adamo sul soffitto della Sistina. Dato che non poteva rendere visivamente la «storia» dell’anima vivente insufflata nella creta, Michelangelo ha scelto di far stendere a Dio il braccio verso quello di Adamo, come se una scintilla venisse trasmessa dal creatore alla creatura. Il «ponte» costituito dal braccio lega visualmente due mondi separati (cfr. fig. 3).
Fig. 3. La struttura della Creazione d’Adamo che guida l’esplorazione visiva.
Fig. 3. La struttura della Creazione d’Adamo che guida l’esplorazione visiva.
Se consideriamo le opere d’arte come dei grandi «esperimenti naturali», che vanno analizzati con gli strumenti della progettazione alla rovescia, possiamo trovare opere in cui è assente uno scheletro volto a guidare gerarchie di attenzione nell’osservatore. Ad esempio, nel Rumore tra l’erba di Jackson Pollock, l’artista ha deliberatamente scelto di eliminare strutture pre-attentive, quasi che la composizione e la successiva visione fossero guidate dal caso.
Come ha osservato Massironi, dal punto di vista dell’attenzione non è una distribuzione casuale come quella di Pollock che produce il massimo dell’instabilità. Per avere un effetto di questo tipo bisogna costruire – come ha fatto lo psicologo Marr proprio per studiare la visione – una figura organizzata ma pluristabile, dove l’attenzione non riesce a bloccarsi mai (cfr. fig. 4).
Fig. 4. Tessitura priva di una qualsiasi organizzazione stabile.
Fig. 4. Tessitura priva di una qualsiasi organizzazione stabile.
Nei dipinti l’esplorazione avviene con minori gradi di libertà rispetto a un’opera architettonica tridimensionale: l’osservatore può soltanto scegliere la distanza e l’angolo d’osservazione. Ma, dato che i medesimi meccanismi percettivi producono effetti analoghi in forme d’arte diverse, possiamo parlare di «saperi impliciti» il cui progetto va smontato con i «saperi espliciti» delle scienze cognitive. Ricordate, ad esempio, la xilografia di Arp. L’instabilità era dovuta al gioco dinamico tra figura e sfondo.
Fig. 5. Una finestra d’angolo di Palazzo Danieli.
Fig. 5. Una finestra d’angolo di Palazzo Danieli.
Se, in un edificio, esaminate le finestre, queste possono venire progettate come un buco tra l’inter...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. La nascita delle scienze cognitive
  3. II. Progettazione alla rovescia
  4. III. Decomposizione e soluzione di problemi
  5. IV. Modelli visivi
  6. V. Muoversi nel mondo
  7. VI. Dalla visione alla memoria
  8. VII. Linguaggio e pensiero
  9. VIII. Scienze cognitive e società
  10. IX. Scienze cognitive e biologia
  11. Conclusioni
  12. Riferimentie approfondimenti bibliografici