Come i bambini diventano consumatori
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Come i bambini diventano consumatori

  1. 158 pagine
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Come i bambini diventano consumatori

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«Se la morale del consumo è diventata l'essenza stessa della società in cui viviamo, se i processi di socializzazione tendono sempre più a sovrapporsi con i processi di socializzazione ai consumi, riteniamo allora che sia di fondamentale importanza interrogarsi su come la società promuove questa morale del consumo, su quali sono i meccanismi alla base di questo addestramento sociale e, più in generale, su come diventiamo consumatori.»Con il contributo della sociologia, della psicologia e del marketing, Simona Ironico illustra i processi di apprendimenti attraverso cui i bambini e gli adolescenti acquisiscono il loro ruolo nel consumo e nel mercato.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858115282

VI. Che cosa imparano i bambini sui consumi?

In questo capitolo approfondiremo che cosa imparano i bambini sui consumi, analizzando in maniera dettagliata gli esiti e i contenuti dei loro processi di apprendimento. Riprendendo il modello presentato nel primo capitolo (cfr. par. 1.7), verranno prima affrontati gli stati cognitivi (conoscenze, competenze, schemi cognitivi e modelli di processamento dell’informazione), per poi passare a quelli affettivi (valori, motivazioni, atteggiamenti e preferenze di consumo) e, infine, a quelli comportamentali (comportamenti di acquisto e pratiche di consumo).

6.1. Le conoscenze di consumo

Le conoscenze di consumo che i bambini possono acquisire interagendo con gli agenti ambientali e sociali sono molteplici. Allo stesso modo degli altri esiti dell’apprendimento sui consumi, esse possono avere come oggetto i prodotti, le marche, i prezzi, i punti vendita, il denaro, gli operatori di mercato (i produttori, i negozianti etc.) e le iniziative di marketing e comunicazione. Quest’ultime, come si è visto, non si riducono alla pubblicità televisiva, ma includono tutti gli strumenti di comunicazione che sono a disposizione delle aziende, dai siti web ai cataloghi, dalle promozioni agli eventi.
Nelle prossime pagine approfondiremo le conoscenze sui prodotti, sulle marche, sui prezzi, sulla pubblicità, sui punti vendita e sugli aspetti economici e finanziari del consumo. Quest’ultime includono le conoscenze sul denaro e sul ruolo degli operatori di mercato.

6.1.1. Le conoscenze sui prodotti

I bambini sviluppano delle conoscenze sugli oggetti che utilizzano quotidianamente sin dai primi mesi di vita, ma è intorno ai tre anni che cominciano a effettuare delle suddivisioni logiche fra le diverse famiglie di prodotto. Come hanno messo in evidenza Scott Ward, Daniel Wackman ed Ellen Wartella (1977), inizialmente i beni vengono raggruppati in base ad attributi dominanti sotto l’aspetto visivo, come la forma, la grandezza o il colore. Avvicinandosi all’età scolare, i bambini si allontanano dalla predominanza delle similarità visive e cominciano a individuare le caratteristiche fisico-sensoriali che contraddistinguono le diverse categorie merceologiche. In questo modo, ad esempio, imparano che nel cibo l’attributo principale non è il colore, ma il gusto. Verso i sette-otto anni, i prodotti cominciano a essere raggruppati sulla base degli attributi che suggeriscono le loro funzioni d’uso e le loro occasioni di consumo: i bambini imparano quindi che maglioni e pantaloni servono per vestirsi, mentre caffè, succhi di frutta e cereali possono essere consumati per la prima colazione. In questo periodo viene sviluppata anche la capacità di costruire delle relazioni fra diverse categorie di prodotto a partire da un attributo discriminante (Markman, Callanan 1983): ad esempio, succhi di frutta e bibite gassate vengono fatti rientrare nella medesima categoria merceologica, cioè in quella delle bevande, ma vengono differenziati sulla base del loro contenuto di bollicine. In età scolare, iniziano a venir fatte anche delle inferenze sulle persone sulla base dei prodotti che usano, soprattutto per certe tipologie di beni come l’automobile o l’abitazione (Belk, Bahn, Mayer 1982).
Lo sviluppo di conoscenze sui prodotti comprende inoltre la comprensione delle funzioni del packaging. Come illustrano Marco Lombardi, Paola Chiesa e Laura Biagini (2000), nella prima infanzia le confezioni rappresentano degli oggetti di scarso interesse e vengono spesso vissute come degli ostacoli al raggiungimento dei beni. Il disinteresse per il packaging è dovuto anche al fatto che le madri tendono a scartare i prodotti prima di darli ai propri figli. Verso i sei anni, i bambini cominciano ad associare i prodotti più graditi con il loro packaging e aumenta l’attenzione per le confezioni caratterizzate da disegni o colori brillanti. Le informazioni riportate sulle confezioni cominciano a essere lette nella preadolescenza, anche se l’attenzione è orientata soprattutto verso contenuti di tipo promozionale come concorsi o gift in pack. L’interesse per le confezioni aumenta ulteriormente durante l’adolescenza, quando queste cominciano a essere associate a delle marche specifiche.
Dallo studio da noi condotto nei dieci punti vendita di abbigliamento infantile di Milano, è emerso come durante il co-shopping i bambini possano apprendere delle conoscenze sulle diverse categorie di indumenti e accessori, sulle loro funzioni, sui loro attributi, sulle loro taglie, sulle proprietà dei materiali con cui sono realizzati, sulle loro occasioni d’uso e sui loro destinatari.
Coerentemente alla letteratura sul tema29, lo studio ha messo in luce come a un livello generale i bambini siano in grado di designare correttamente le categorie di prodotto (maglioni, felpe, gonne, pantaloni etc.) anche quando sono molto piccoli. Nonostante ciò, sono stati osservati dei soggetti attribuire delle etichette approssimative alle merci, come ad esempio «coso da bere» per «borraccia», «borsina» per «valigetta» o «zaino» per «trolley». Questi errori di etichettamento non vengono commessi soltanto dai soggetti più piccoli, ma anche da quelli più grandi, di un’età persino superiore ai sette anni. La ricerca ha inoltre messo in luce come l’apprendimento del nome dei singoli prodotti possa venire facilitato dalle interazioni con gli accompagnatori e con il personale di vendita, che da un lato espongono i bambini a discussioni in cui vengono nominate specifiche categorie di indumenti e accessori, e dall’altro offrono spesso una chiave interpretativa sulla natura di determinati oggetti.
Passando alle conoscenze sugli attributi dei prodotti, lo studio ha messo in evidenza come queste vengano acquisite in prima istanza mediante l’esperienza diretta con i capi e con gli accessori. Durante le osservazioni, le interazioni con le merci sono risultate essere più intense e frequenti nel caso delle bambine che, rispetto ai bambini, tendono generalmente a dimostrare un maggior interesse e un maggior coinvolgimento nello shopping. Al di là di questo, tutti i bambini osservati − senza distinzioni di genere e di età − hanno esplorato e manipolato attivamente i prodotti in cui erano rappresentati personaggi in licenza, nonché simboli, codici e icone appartenenti al loro immaginario culturale e di genere. Pertanto, possiamo sostenere che la presenza di queste caratteristiche stimola i bambini a interagire più attivamente con i prodotti, facilitando l’apprendimento di conoscenze su di essi.
Oltre alle interazioni con gli stimoli di natura ambientale, come vedremo nel capitolo successivo, una delle principali occasioni in cui i bambini possono acquisire delle conoscenze sugli attributi di indumenti e accessori sono le discussioni che seguono le richieste di acquisto rivolte agli adulti. I rifiuti a queste richieste sono, infatti, sovente giustificati invitando i bambini a prestare attenzione a caratteristiche che vengono da loro generalmente ignorate o sottovalutate, come ad esempio la praticità del prodotto, la sua tendenza a sporcarsi e a rovinarsi, la sua vestibilità oppure la facilità con cui può essere combinato con altri capi di abbigliamento. Dalle osservazioni è emerso come queste interazioni possano vertere anche su attributi puntuali, come ad esempio il tacco o il tipo di suola di una scarpa. Delle ulteriori modalità con cui possono venire trasmesse delle conoscenze dettagliate sulle caratteristiche dei prodotti, che possono includere anche lo stile e il contenuto moda, sono risultate essere infine le interazioni che i bambini intrattengono in maniera indiretta con il personale di vendita.
Per quanto riguarda invece le taglie e le misure, il senso comune suggerisce che queste possono essere apprese attraverso la lettura delle etichette o dei cartelli informativi presenti nei punti vendita. Tuttavia, i bambini osservati hanno dimostrato di avere una scarsa dimestichezza con le taglie e di fare pieno affidamento sugli adulti per ottenere questo tipo di informazioni. Inoltre, il fatto che gli indumenti e gli accessori possano avere misure diverse è risultato essere per i bambini più piccoli un aspetto tutt’altro che scontato. Molti bambini, infatti, sono stati osservati prelevare o provarsi dei prodotti senza curarsi della taglia, mentre altri hanno segnalato agli adulti dei capi dedicati a una fascia di età diversa dalla propria.
Allo stesso modo delle caratteristiche dei prodotti, la ricerca ha messo in evidenza che anche le proprietà dei tessuti e dei materiali − consistenza, pesantezza, morbidezza etc. − possono essere apprese attraverso l’interazione diretta con le merci, oltre che dalle discussioni che seguono i tentativi di influenzare gli acquisti degli adulti. Al di là delle proprietà dei materiali, le informazioni a cui sono stati maggiormente esposti i bambini durante queste interazioni sono risultate essere collegate all’appropriatezza del tessuto rispetto alla stagione e all’occasione d’uso.
Anche i destinatari dei prodotti sono stati sovente l’oggetto delle discussioni che hanno seguito le richieste d’acquisto, in particolare quelle attinenti alla fascia di età: diverse richieste di acquisto, infatti, non sono state accolte proprio perché il prodotto non era disponibile per la fascia di età a cui apparteneva il bambino o la bambina.
Per quanto riguarda infine le occasioni d’uso, queste sono state spesso suggerite spontaneamente dagli adulti, personale di vendita compreso, facendo apprendere ai bambini che alcuni capi, accessori, stili e materiali sono appropriati soltanto a determinate stagioni, come ad esempio le t-shirt per l’estate e i maglioni di cotone per l’autunno, oppure che sono più adatti a occasioni specifiche come una vacanza, un viaggio, una festa o un ricevimento formale.

6.1.2. Le conoscenze sulle marche

Intorno ai due-tre anni di età, i bambini sono già in grado di riconoscere all’interno dei punti vendita il packaging di diversi prodotti e sanno già richiamare il brand name degli articoli che utilizzano abitualmente o che hanno visto pubblicizzati in televisione. Le marche vengono ricordate soprattutto quando appartengono a prodotti di interesse, primi fra tutti i giocattoli e gli snack, oppure quando sono associate a forti connotazioni visive come colori, figure o personaggi dei cartoni animati (Macklin 1996; McNeal 1992; Ward, Wackman, Wartella 1977).
Quest’ultimo aspetto mette in evidenza il ruolo degli operatori di marketing che, come si è visto nei capitoli precedenti, utilizzano personaggi, icone, codici di comunicazione in sintonia con la cultura dei bambini per promuovere i loro marchi – dai personaggi concessi mediante accordi in licenza ai testimonial di fantasia, dalla connotazione ludica di marche e prodotti alla riappropriazione di linguaggi espressivi come il disegno o la grafia infantile. Oltre la pubblicità televisiva, sono soprattutto i testimonial di fantasia a creare awareness su marchi specifici e sugli elementi che ne determinano l’identità stilistica, visiva e valoriale, ma giocano un ruolo altrettanto importante giocattoli griffati come i Dior Teddy Bear, le Barbie vestite con i capi Benetton o le fashion dolls di Agatha Ruiz de la Prada, che stimolano i bambini a creare degli universi valoriali attorno alle marche e a stabilire con esse dei legami di tipo affettivo. I significati simbolici e valoriali possono venire veicolati anche inserendo marche e prodotti all’interno di contesti narrativi, come si è visto affrontando i casi Geox e Cakewalk.
La sensibilità per gli immaginari e le connotazioni simboliche legate a determinati brand, tuttavia, diventa forte soltanto verso l’adolescenza (Bahn 1986). In questo periodo, si cominciano a fare delle inferenze sulle persone non solo sulla base dei prodotti che usano, ma anche sulla base delle marche da loro scelte, in particolar modo per i prodotti di abbigliamento (Lachance, Beaudoin, Robitaille 2003; Meyer, Anderson 2000; Quart 2003). Oltre a conferire status ai loro possessori, certe marche diventano centrali anche per comunicare la propria identità personale e il senso di appartenenza a determinati gruppi o subculture giovanili.

6.1.3. Le conoscenze sui prezzi

Fino all’adolescenza vengono dedicate relativamente scarse attenzioni ai prezzi: pochissimi bambini si preoccupano del costo di un bene prima di richiederlo ai genitori, poiché viene data molta più rilevanza a fattori come la marca o la notorietà del prodotto. Come illustra Deborah Roedder John (1999), attorno agli otto-nove anni i bambini sanno che le merci hanno un prezzo e dove è possibile recuperare le informazioni a riguardo. A questa età sono anche a conoscenza del fatto che è possibile ritrovare variazioni di prezzo all’interno delle diverse categorie di prodotto e punti vendita; nonostante ciò, sono pochi i bambini in grado di indicare il prezzo degli articoli acquistati più di frequente.
Lo scarso sviluppo delle conoscenze in materia di prezzi è imputabile al fatto che la consapevolezza del rapporto fra prezzo e valore emerge soltanto nell’adolescenza, quando vengono pienamente sviluppate le capacità di pensiero astratto. Durante prima infanzia e fanciullezza i prezzi vengono ricondotti alle caratteristiche fisiche dei beni: un prodotto costa di più perché è più grande oppure pesa di più. La consapevolezza che il prezzo di un oggetto possa essere legato alla quantità di lavoro necessaria per produrlo comincia a emergere intorno gli otto-dieci anni, mentre soltanto verso i tredici anni il prezzo viene collegato alla qualità dei fattori produttivi e alla soddisfazione delle preferenze dei potenziali consumatori (Fox, Kehret-Ward 1985; Berti, Bombi 1988).
Lo studio da noi condotto nei punti vendita di Milano ha confermato come i prezzi tendano a essere ignorati dai bambini: salvo poche eccezioni, infatti, non sono stati osservati soggetti nell’atto né di cercare questa informazione, né di fare domande su di essi ai co-shoppers o al personale di vendita. Di conseguenza, si può affermare che la maggior parte delle informazioni sui prezzi che arrivano ai bambini durante lo shopping non derivano dall’interazione spontanea con stimoli ambientali in grado di veicolare questa informazione (prodotti, etichette, materiali promozionali) o dalle richieste di una chiave interpretativa su di essi, ma dalle interazioni avviate dagli adulti e dall’esposizione alle conversazioni fra i co-shoppers e il personale di vendita.

6.1.4. Le conoscenze sulla pubblicità

Come mette in evidenza Debora Roedder John (1999), i bambini iniziano a distinguere la pubblicità dagli altri contenuti mediatici soltanto intorno ai cinque anni. Nel caso della pubblicità televisiva, quello che consente di distinguere gli spot dagli altri programmi è la loro breve durata. Tuttavia, anche se i bambini imparano a riconoscere la pubblicità, non significa che ne comprendano la natura commerciale. Prima dei sette-otto anni, infatti, gli annunci vengono percepiti come una forma di intrattenimento o di informazione neutrale. I fattori che facilitano la corretta comprensione degli intenti pubblicitari sono legati al contesto familiare, in particolar modo al livello di comunicazione sulla pubblicità e sui consumi in generale.
Per i bambini in età prescolare l’elemento centrale nell’elaborazione dei messaggi è dato dalla rilevanza percettiva (Metastasio 2002). La salienza percettiva dei messaggi deriva da caratteristiche come contrasto, novità, movimento, incongruità e sorpresa, che catturano l’attenzione dei bambini e facilitano la comprensione dei messaggi. Altri fattori in grado di facilitare l’elaborazione e la memorizzazione delle informazioni sono la presenza di contenuti familiari, la ripetizione e lo stile che caratterizza le discussioni che i membri della famiglia tengono sulla pubblicità.
Non necessariamente i bambini ricordano più facilmente gli spot di cui sono i destinatari diretti o in cui il coinvolgimento per il prodotto è alto. Il coinvolgimento riveste invece un ruolo importante per il gradimento degli spot, insieme all’affinità dei contenuti con caratteristiche tipiche della fascia di età e del genere dei destinatari. Nello specifico, i bambini in età prescolare sono attratti in misura maggiore da personaggi di fantasia, altri bambini o animali, mentre i più grandi e i preadolescenti preferiscono figure adulte appartenenti al mondo reale, come le star del cinema, della televisione o dello sport. Per quanto invece riguarda il genere, i bambini si identificano soprattutto con i messaggi che fanno aggio sulle dimensioni del potere e dell’azione, mentre le bambine sono attratte da messaggi legati all’area della femminilità, dell’estetica e della moda (Schor 2004). Con l’età il numero delle variabili prese in considerazione nella valutazione dello spot aumenta, consentendo il passaggio da giudizi di tipo monodimensionale, che ad esempio fanno rientrare nella valutazione dello spot soltanto il gradimento o la semplice conoscenza del prodotto pubblicizzato, a giudizi di tipo multidimensionale e dotati di una maggiore complessità (Statera, Bentivegna, Morcellini 1990).
Come illustra Deborah Roedder John (1999), la consapevolezza che la pubblicità non sempre dica la verità emerge intorno agli otto anni. La diffidenza nei confronti dei messaggi aumenta ulteriormente con l’ingresso nell’adolescenza, quando cominciano a emergere forme di pensiero critico e indipendente. L’atteggiamento critico verso la pubblicità è condizionato anche in questo caso dal contesto familiare, a cui però va aggiunta l’influenza del gruppo dei pari, l’esposizione ai media e le eventuali iniziative di educazione ai consumi. Lo scetticismo verso la veridicità degli annunci permette di sviluppare delle difese cognitive che consentono una fruizione più attenta e matura dei messaggi, sebbene lo sviluppo di tali difese non sembri tradursi in una diffidenza verso i prodotti pubblicizzati. A un livello più elementare, le difese cognit...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. Diventare consumatori
  3. II. Il ruolo delle agenzie di socializzazione
  4. III. Il ruolo degli operatori di marketing
  5. IV. Il ruolo degli oggetti e degli spazi di consumo
  6. V. Il ruolo della moda
  7. VI. Che cosa imparano i bambini sui consumi?
  8. VII. Come i bambini diventano consumatori
  9. Conclusioni
  10. Riferimenti bibliografici