"In Italia violare la legge conviene". Vero!
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"In Italia violare la legge conviene". Vero!

  1. 100 pagine
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"In Italia violare la legge conviene". Vero!

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Perché in Italia è così difficile essere onesti? Un pamphlet graffiante contro un sistema giudiziario farraginoso, le infinite rigidità burocratiche e amministrative, lo scriteriato ricorso ai condoni, la mancanza di sanzioni efficaci e dissuasive per chi trasgredisce le regole.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788858133040
Argomento
Economia

1.
Perché in Italia conviene
non pagare i debiti

Perché mai in Italia un debitore dovrebbe pagare il suo creditore? Una buona ragione ci può essere, in effetti: ovvero che il creditore sia un fornitore abituale che potrebbe sospendere le forniture. Ma in tutti gli altri casi?
Se il debitore non adempie ad un’obbligazione, il creditore dovrà – come si dice in gergo – «adire le vie legali» per ottenere il riconoscimento del suo buon diritto. E che cosa succederà? Anzitutto non è detto che il creditore riesca a provare in giudizio il suo diritto ad essere pagato. Probabilmente dovrà dimostrare che non sono vere tutte le giustificazioni che il debitore gli opporrà: di non dovere nulla, che i beni e servizi forniti non erano quelli pattuiti, che vi era stato un precedente inadempimento del creditore, che il credito si è prescritto e così via.
In ogni caso dovrà rivolgersi a un avvocato e ciò comporterà un costo che non è certo di recuperare al termine dell’azione legale intrapresa. Se la cifra in ballo è limitata e non esistono prove sufficienti a dimostrare il suo credito, probabilmente lascerà perdere.
Ma supponiamo che il creditore disponga di prove certe (documenti, testimonianze, ricognizione di debito ovvero l’atto unilaterale con il quale un soggetto riconosce di essere debitore di un altro soggetto, ecc.): il giudizio comporterà comunque tempi molto lunghi. E come potrebbe essere diversamente, tenuto conto del numero impressionante di cause civili avviate ogni anno in Italia?
La Commissione Europea per l’Efficacia della Giustizia (CEPEJ) del Consiglio d’Europa mette a confronto i dati di quasi tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, diffondendo un rapporto biennale consultabile in Internet che ha per oggetto anche il numero di procedimenti giudiziari. Vediamo che cosa dice il rapporto pubblicato nell’anno 20162.
Il rapporto CEPEJ precisa che devono sempre essere operate attente distinzioni tra gli affari civili contenziosi, ovvero quelli in cui esiste una controversia da dirimere tra due parti contrapposte, certamente più complessi, e quelli non contenziosi.
I dati che seguono si riferiscono all’insieme degli affari civili, contenziosi e non contenziosi: i Tribunali di prima istanza valutati dal rapporto hanno ricevuto in media 2,7 affari civili contenziosi ogni 100 abitanti, e sono riusciti a definire la stessa quantità di affari nel corso dell’anno.
Deve segnalarsi che l’Italia, per quanto riguarda i casi definiti, si colloca, seppure di poco, sopra il valore medio europeo, che è di 3, a conferma dell’altissima capacità di smaltimento degli affari civili di primo grado (contenziosi e non contenziosi).
Secondo gli indicatori di performance stabiliti dalla CEPEJ, e cioè l’«indice di smaltimento» (Clearance Rate) e il «tempo medio di definizione dei procedimenti» (Disposition Time), i magistrati italiani hanno un’elevata capacità di smaltimento dei procedimenti civili e commerciali, superiore al 100% (precisamente del 119%), riuscendo a definire un numero di procedimenti più elevato rispetto a quelli ricevuti e, quindi, a ridurre l’arretrato. Il dato sulla produttività dei magistrati italiani è dunque positivo, e peraltro è un dato che va migliorando grazie a vari fattori, tra cui la riorganizzazione geografica che si è avuta tra il 2013 e il 2014 con l’abolizione di numerosi Tribunali e anche il più frequente ricorso a misure alternative per la risoluzione delle liti.
Tuttavia, nel nostro Paese, i tempi medi di definizione in primo grado sono particolarmente lunghi: 532 giorni a fronte di una media di 237 giorni. Sì, avete letto bene: 532 giorni, ovvero quasi un anno e mezzo per ottenere una sentenza di primo grado!
L’Italia rappresenta un’anomalia rispetto agli altri Paesi europei. Cerchiamo di analizzarne le ragioni: perché il numero dei processi aumenta la loro durata?
Semplificando: se un giudice ha un processo da fare e questo richiede quattro udienze, il processo durerà quattro giorni. Se sono necessari adempimenti fra un’udienza e un’altra che richiedono, ad esempio, un mese (citare testimoni, far esibire documenti, disporre una consulenza tecnica, ecc.), il processo durerà quattro mesi. Ma se quel giudice ha in carico 2.000 processi e la prima udienza potrà essere fissata solo dopo un anno, quattro udienze comporteranno una durata di quattro anni! Poi il giudice dovrà invitare le parti a precisare le conclusioni e dovrà redigere la sentenza.
A questo punto si potrebbe pensare che la vicenda si sia conclusa; e invece no. Potremmo essere – dopo quattro anni – appena agli inizi: la parte soccombente potrà appellare la sentenza e chiedere la sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado. E naturalmente anche dopo la sentenza di appello sarà possibile proporre ricorso per cassazione.
A chi giova la durata eccessiva dei processi? Certo non a chi ha ragione: ci si dovrebbe attendere che i tassi di interesse siano molto alti, in modo da scoraggiare tecniche dilatorie. Invece sono uguali a quelli di mercato (da non molto tempo, prima erano addirittura più bassi). In altri termini, non esistono deterrenze adeguate che scoraggino dall’agire o resistere in giudizio sapendo di avere torto.
Negli ultimi tempi qualcosa è stato fatto: sono stati aumentati i tassi di interesse (ma, come abbiamo detto, adeguandoli a quelli di mercato); è stata ristretta la possibilità di compensare le spese fra le parti (con sperabile aumento delle condanne al risarcimento delle spese a favore della parte vittoriosa) ed è stata modificata la disciplina relativa alla responsabilità aggravata per lite temeraria (cioè l’ipotesi in cui qualcuno agisce o resiste in giudizio con malafede o colpa grave, sapendo di avere torto, o con intenti dilatori o defatigatori, prevista dall’art. 96 del codice di procedura civile). Tuttavia, anche se si deve riconoscere qualche sforzo del legislatore, rimane difficile eseguire le sentenze di condanna o anche solo i decreti ingiuntivi.
In un simile contesto, dal punto di vista della mera opportunità economica (e mettendo da parte l’etica) tutti preferiscono pagare dopo sette o otto anni anziché subito: tanto non pagheranno molto di più! Neppure è detto che debbano pagare, anche in presenza di una sentenza definitiva, perché in caso di mancato adempimento volontario sarà necessario effettuare un pignoramento e comincerà un processo di esecuzione, sempreché nel frattempo il debitore non abbia occultato i beni o sia fallito.
Si genera così un circolo vizioso: la durata dei procedimenti e la loro relativa inefficacia fa aumentare il numero dei soggetti che non adempiono alle obbligazioni e questo fa ulteriormente aumentare il numero dei procedimenti, in una spirale senza fine.
Paradossalmente gli uffici giudiziari italiani reggono in qualche modo l’onda d’urto di una simile situazione, perché la relativa inefficacia del ricorso al giudice è l’unico elemento che determina un contenimento del contenzioso.
Questo enorme contenzioso ha alimentato la crescita smisurata del numero di avvocati rispetto agli altri Paesi europei. Il già citato rapporto CEPEJ 2016 conferma il primato dell’Italia su questo punto. Se – seguendo il rapporto europeo – facciamo nostra una definizione ampia del termine di avvocato, inteso come «persona qualificata ed abilitata, conformemente al diritto nazionale, a difendere, ad agire in nome dei propri clienti, a praticare il diritto, a stare in giudizio e rappresentare i propri clienti in materia giuridica», e quindi se comprendiamo tra gli avvocati anche i cosiddetti consiglieri giuridici (legal advisors, conseillers juridiques), scopriremo che nel 2014 l’Italia è al primo posto per numero di avvocati: 223.842 unità (con un incremento del 7% rispetto al 2010), a fronte di una media europea di 24.900. Il raffronto con gli altri Paesi evidenzia differenze rilevantissime: l’Italia è seguita al secondo posto da Inghilterra e Galles (180.667, inclusi i consiglieri giuridici) e al terzo posto dalla Germania (163.516). La Spagna ha 135.016 avvocati, mentre la Francia ne ha 62.073.
Anche raffrontando il numero di avvocati ogni 100.000 abitanti, l’Italia registra una situazione particolare rispetto agli altri Stati. Il numero medio di avvocati in Europa è di 147 ogni 100.000 abitanti, l’Italia ne ha ben 368 (oltre il doppio, quindi!). Questi i dati di alcuni Paesi: Inghilterra e Galles 315, Spagna 291, Portogallo 283, Germania 202, Francia 94.
Un Paese che destina così tante energie in più rispetto al resto d’Europa per la risoluzione delle controversie è inevitabilmente un Paese con forti limiti allo sviluppo.
Si tratta quindi di introdurre efficaci deterrenze che scoraggino i comportamenti illegali così da ridurre il numero dei processi. Alcune misure, peraltro, non sarebbero così difficili da implementare: ad esempio si potrebbero stabilire interessi giudiziali più alti di quelli di mercato. Si potrebbero poi rivedere i procedimenti esecutivi, snellendoli e rendendoli più rapidi, in modo da tutelare un po’ di più le vittime rispetto a coloro che ne violano i diritti.
2 Ho utilizzato come fonte l’eccellente sintesi effettuata dall’Associazione Nazionale Magistrati: Le verità dell’Europa sui magistrati italiani, Dossier n. 5, a cura dell’ANM, gennaio 2017.

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Perché in Italia conviene non pagare i debiti
  3. 2. Perché in Italia non conviene pagare le imposte
  4. 3. Perché le sanzioni penali non sono un deterrente
  5. 4. Perché i condoni sono dannosi
  6. 5. Le sanzioni amministrative si pagano?
  7. Conclusioni. Un Paese che scoraggia chi si comporta bene