II. La politicizzazione della Repubblica delle lettere in Germania: gli Illuminati di Baviera e i diritti dell’uomo
Se dal punto di vista della storia delle idee, dei concetti e del pensiero dei grandi protagonisti della vita intellettuale, la nascita del linguaggio dei diritti dell’uomo in Occidente comincia ad essere sufficientemente conosciuta, molto resta ancora da fare riguardo la storia culturale dei diritti in ogni angolo d’Europa prima dell’89. Sappiamo infatti ancora troppo poco della diffusione e della specifica ricezione di quel linguaggio nei differenti contesti e culture nazionali, dell’uso politico che ne venne fatto nelle istituzioni, nei circoli di artisti e di letterati, nelle logge e nei salotti delle più grandi città del continente secondo un percorso e un modello d’indagine che abbiamo – seppure sommariamente – cercato di sviluppare studiando il caso della Francia di Diderot e di Voltaire.
Come abbiamo già sottolineato in avvio del precedente capitolo, Condorcet aveva precocemente abbozzato i tratti principali di quel paradigma indicando nella Rivoluzione americana del 1776 il momento più alto della definitiva politicizzazione dei diritti dell’uomo, del loro cruciale passaggio dalle aule universitarie, dai trattati di filosofia morale riservati a pochi studiosi, ai romanzi, alle scene teatrali per il grande pubblico, affermando che proprio allora, per giustificare quegli eventi clamorosi, la «grande cause [des droits] fut plaidée au tribunal de l’opinion, en présence de l’Europe entière».
Il contesto italiano è stato tra i primi ad essere stato oggetto negli ultimi anni di specifiche ricerche storiografiche in questa prospettiva. Ne sono risultate chiarite l’esistenza e le forme del cosiddetto «costituzionalismo illuministico» elaborato dai napoletani a protezione dei diritti dell’uomo; largo spazio è stato riservato alle indagini sulla centralità dei diritti naturali nel dibattito costituzionale nella Toscana di Pietro Leopoldo, dove si giunse – com’è noto – alla clamorosa abolizione della pena di morte, e prima ancora nell’ambito della rivoluzione in Corsica; così come si è indagato sulle traduzioni di fine secolo delle opere di Pufendorf che supportavano la diffusione nella penisola del nuovo originale progetto fisiocratico di Mirabeau a favore di una nuova simmetria tra diritti e doveri, dove i primi derivavano però chiaramente dai secondi. È tuttavia apparso subito evidente che, come del resto in Francia, in Inghilterra e nelle colonie americane, anche in Italia la lotta dei circoli illuministici per i diritti in difesa dell’uomo, contro il dispotismo e la tratta degli schiavi abbia trovato particolarmente nelle logge massoniche di fine secolo il suo luogo privilegiato.
La Fratellanza italiana usò infatti quel linguaggio in ogni occasione di lotta ai privilegi d’Antico regime attraverso le riflessioni d’illuministi come Delfico, Grimaldi, Longano, Briganti o l’opera teatrale di massoni come Alfieri. E non fu certo a caso se proprio in Italia, nel 1786, un massone autorevole, Isidoro Bianchi, amico di Beccaria, di Genovesi e di Filangieri, avvertisse l’esigenza di scrivere un opuscolo, Dell’istituto dei veri liberi muratori, destinato a larga circolazione, in cui spiegava finalmente, da un punto di vista interno alla Fratellanza, il senso autentico di quel fenomeno straordinario nella storia della massoneria rappresentato dall’evidente politicizzazione delle logge italiane ed europee dopo la guerra dei Sette anni e del loro forte impegno di propaganda a favore dei diritti dell’uomo. Le sue considerazioni sono tanto più significative in quanto l’ex frate camaldolese, allora secolarizzato, aveva soggiornato in Francia, Spagna, Germania e in Danimarca tirando le fila di una fitta rete latomistica che gli consentiva di conoscere personaggi importanti e pressoché tutti i retroscena delle burrascose vicende che in quegli anni tormentavano la massoneria continentale.
Quando scrisse il suo libretto Bianchi sapeva infatti assai bene quanto fosse profonda e apparentemente irreversibile la crisi d’identità di quell’imponente circuito di logge che coinvolgeva migliaia e migliaia di adepti in tutto il continente. Le tre anime principali del movimento, la Stretta Osservanza del barone von Hund, il rito inglese e il Grande Oriente di Francia, erano in quegli anni alle prese con la necessità di riempire di nuovi significati e di nuovi obiettivi una esperienza unica di sociabilità avviata all’inizio del secolo in Inghilterra con grande successo. Con i suoi riti, con la pretesa di trattare segreti e conoscenze esoteriche, il fascino e le suggestioni delle sue cerimonie d’iniziazione, i suoi statuti che parevano soddisfare l’intenso bisogno di religiosità di una cristianità in crisi, di sociabilità e allo stesso tempo di autogoverno, la Fratellanza era tornata allora a svuotarsi, quasi fosse una splendida bottiglia vuota da riempirsi di contenuti di volta in volta. Ne avevano approfittato da un lato i gesuiti per infiltrarsi in gran numero, dopo il clamoroso scioglimento della Compagnia nel 1773 voluto da Clemente XIV, e dall’altro gli illuministi, alla costante ricerca di strumenti efficaci per promuovere la loro politica di emancipazione e di difesa dell’uomo.
A partire dalla metà degli anni Settanta, da Boston a San Pietroburgo, a Parigi, a Berlino, a Londra, a Napoli non vi era un solo illuminista autorevole che non decidesse di entrare in loggia dando linfa fresca e nuovi obiettivi emancipatori a quella potente istituzione, scontrandosi al suo interno con altre componenti e differenti progetti culturali e politici.
Non bisognerebbe mai dimenticare che nel 1782, con il viaggio di Pio VI a Vienna, la Chiesa cattolica aveva scatenato la sua controffensiva finale contro l’Illuminismo con ogni mezzo a disposizione. La cosiddetta politicizzazione delle logge non poteva che intrecciarsi con un fenomeno analogo nell’ambito della Repubblica delle lettere e più in generale nell’intero mondo illuministico sempre più in lotta, soprattutto dopo l’avvio della Rivoluzione americana nel 1776, con i privilegi e le ingiustizie dell’Antico regime. Sollecitata da questi nuovi propositi risultava pressoché inevitabile la trasformazione della massoneria da “società di segreti” a “società segreta”, strumento capace di organizzarsi sotto forma di setta in grado di complottare e di svolgere azioni eversive nei confronti del potere.
Bianchi era perfettamente a conoscenza del processo di trasformazione in atto avendo visto con i suoi occhi mutare nel Regno di Napoli – dove era a lungo vissuto – in un solo decennio, dopo gli anni Sessanta, il linguaggio, i propositi, le persone e persino i nomi delle logge, da Les Zelès, La Sécrète, La Constance, La Fidèle a Dell’eguaglianza, Della Pace, La Philantropia, L’Humanité. Egli sapeva che la sempre più evidente politicizzazione dei discorsi e la progressiva coincidenza tra la repubblica letteraria, il mondo dei Lumi e la Fratellanza nel contesto napoletano non si discostava in nulla rispetto a quanto stava avvenendo nel resto del continente. Con la Rivoluzione americana apertamente legittimata dai diritti dell’uomo e la circolazione del mito della libertas americana destinata a mobilitare ovunque i fratelli a favore delle colonie ribelli, con la nascita nel 1776 a Parigi della illuministica Loge des Neufs sœurs, e infine con lo scandalo degli Illuminati di Baviera nel 1785, accusati di complottare per sovvertire lo Stato, la domanda su cosa stesse succedendo nella Fratellanza in merito all’antico e tassativo divieto di occuparsi di politica era sulla bocca di tutti. Troppo repentino e stupefacente era stato il cambiamento avvenuto.
Com’è noto, nella prima edizione delle Constitutions di James Anderson del 1723 si diffidavano apertamente i fratelli dal fare politica e dal cospirare contro i governi evitando tuttavia di arrivare all’espulsione dell’eventuale trasgressore: «They cannot expel him from the lodge». Negli Stati europei dominati dall’assolutismo le numerose traduzioni delle Constitutions ribadivano e rafforzavano quel divieto cancellando però quest’ultima frase. Ogni motivo di divisione politica e di turbamento dell’armonia sociale andava infatti risolutamente evitato e i colpevoli severamente puniti: «C’est pourquoi il faut se défaire de toutes les querelles et des toutes les brouilleries avant que d’entrer dans la loge; d’autant plus si elles sont des disputes sur la Religion ou sur le mérite des Nations et des Gouvernements [...]; nous sommes résolus contre tous les maximes de la Politique de ne point embrasser des partis qui n’ont jamais fait ni ne feront prospérer la loge». E tale divieto era ancora formalmente ribadito al grande raduno europeo della Stretta Osservanza del 1782 a Wilhelmsbad. Sin dalla fondazione delle prime logge, al massone era invece fatto obbligo di concentrare la sua attenzione sulla sfera morale, sulla pratica dei doveri e delle virtù secondo gli insegnamenti del diritto naturale secentesco: «The Mason is oblig’d, by his Tenure, to obey the moral Law» recitavano le Constitutions di Anderson.
Bianchi sapeva bene queste tutte cose, così come conosceva gli insegnamenti, largamente presenti nella ricca letteratura massonica europea del XVIII secolo, formulati dal gran maestro scozzese Andrew Michael Ramsay. Quest’ultimo aveva chiaramente indicato tra gli obiettivi primari della Fratellanza la «philanthropie», la pratica delle virtù sociali secondo l’eredità dell’umanesimo civico e del moderno diritto naturale rivisitato dagli illuministi, l’«humanité, la morale pure, le secret inviolable et le goût des beaux arts», nonché l’amore per la scienza e la tecnica come strumenti emancipatori, senza tuttavia mai dimenticare il cosmopolitismo dell’antica tradizione stoica. A tal proposito, con espressioni che si ritroveranno in tutti i testi massonici degli anni successivi e in particolare nei celebri dialoghi di Lessing, Ernst und Falk. Gespräche für Freimaurer, del 1778, egli stigmatizzava «l’amour de la Patrie mal entendu», quello che noi oggi chiamiamo nazionalismo, destinato a frantumare l’armonia sociale dell’umanità mettendo gli Stati-nazione gli uni contro gli altri, dando fiato alle logiche di dominio presenti nelle monarchie assolute.
Il succoso testo di Bianchi aveva il compito di rassicurare e di spiegare ai profani cosa stesse succedendo nelle logge interrogandosi per la prima volta con grande acume sul nuovo rapporto instaurato dagli illuministi tra la morale e la politica, sulle possibili interpretazioni e sugli effetti della circolazione del linguaggio dei diritti dell’uomo, sempre più propagandato dalla Fratellanza e percepito all’esterno come una potente arma di lotta politica in mano ai nemici dell’Antico regime. Bianchi affermava non aver dubbi circa la persistenza del rigoroso rispetto del divieto di far politica nelle logge. Certo occorreva intendersi sul significato che la parola politica andava assumendo in quegli anni.
Se si intendeva con quell’espressione tutto l’arsenale secentesco della cosiddetta ragion di Stato di Botero, a partire dall’autonomia della morale dalla politica, degli arcana imperii, insegnati nella machiavelliana arte della conquista del potere con la violenza, gli intrighi di corte e della diplomazia internazionale, con le connesse logiche di dominio degli Stati assoluti, dei nuovi imperi coloniali, allora la Fratellanza era e doveva restare programmaticamente apolitica. Essa nulla aveva in comune con quel mondo. Lo stesso fiume d’inchiostro versato sulla rinnovata pratica del segreto ritenuta pericolosa per i governi andava ridimensionato anche alla luce della presenza di re e di principi in tutte le logge europee. Lungi dall’essere un temibilissimo ...