L'ora d'italiano
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L'ora d'italiano

Scuola e materie umanistiche

  1. 144 pagine
  2. Italian
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L'ora d'italiano

Scuola e materie umanistiche

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Luca Serianni difende lo studio e la lettura dei classici, anche a costo di torturare i quindicenni con I promessi sposi.Riccardo Chiaberge, "il Fatto Quotidiano"Un agile volume in cui si discutono alcuni importanti interrogativi che ruotano attorno all'insegnamento della lingua italiana e della letteratura, scritto da Luca Serianni, internazionalmente considerato un grande esperto di storia linguistica italiana.Nuccio Ordine, "Corriere della Sera"Luca Serianni affida alle stampe un libro prezioso per docenti, genitori e studenti. I suoi ragionamenti hanno il pregio fondamentale di mettere sul tappeto, ripulito di luoghi comuni e superficiali credenze, proposte didattiche forti, di immediata realizzabilità. Col sottinteso, però, che soltanto occhi nuovi possono portare mani nuove ad operare.Silverio Novelli, www.treccani.it/magazineSappiamo ancora parlare la nostra lingua? Se non lo facciamo è responsabilità degli insegnanti o di un cambiamento culturale profondo? Quanto conta ancora l'ora di italiano? L'opinione di un linguista di eccellenza su un tema che riguarda tutti.Il professore di lettere si trova oggi tra due fuochi. Da un lato le polemiche, di grande risonanza mediatica, sulla scarsa preparazione dei ragazzi non soltanto rispetto all'ortografia e alla sintassi, ma anche sulla padronanza di quel lessico un po' più alto (velleitario, dirimere, faceto...) che può capitare di incontrare anche solo leggendo l'editoriale di un quotidiano; dall'altro, dopo decenni, il primato umanistico ha subito un complessivo ridimensionamento a favore delle materie scientifiche. L'italiano resta comunque l'asse portante di qualsiasi progetto didattico: sono in gioco la capacità di capire quel che si legge, di articolare un discorso efficace, di imparare il gusto della lettura e di accostarsi al patrimonio dei classici. Alla luce di una lunga esperienza e di una grande sensibilità didattica, Luca Serianni, tra i 'saggi' incaricati della supervisione dei nuovi programmi che entreranno in vigore nel settembre 2010, riflette a tutto campo sullo stato dell'italiano a scuola, guardando anche al latino, il tradizionale asse portante della cultura umanistica dall'Unità a oggi. Non si tratta di mettere sotto accusa qualcuno, men che meno gli insegnanti alle prese con un lavoro che viene scelto quasi sempre per vocazione ma deve fare i conti, oltre che con le ristrettezze di bilancio, con un precario riconoscimento sociale; si tratta di proporre riflessioni e suggerimenti operativi che rendano più efficace l'attività didattica, senza restare, per inerzia o per semplice omaggio alla tradizione, nel solco delle abitudini acquisite.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858105399

V. Scrivere, esprimersi, argomentare

Come è intuitivo, la didattica linguistica muta a seconda che i destinatari siano italofoni (cioè parlanti nativi di italiano, non importa se italiani come cittadinanza, stranieri nati in Italia o arrivati nei primi due-tre anni di vita) oppure non italofoni. In quest’ultimo caso il successo dell’integrazione linguistica dipende da molte variabili: tra queste l’età dei discenti (è molto più facile l’integrazione per un bambino delle elementari che per un ragazzo delle superiori) e la presenza del plurilinguismo (in una classe che comprenda alunni albanesi, cinesi, rumeni, marocchini e colombiani l’adozione dell’italiano come lingua veicolare per comunicare non solo con i compagni italofoni, ma anche tra un gruppo e l’altro, sarà più spontanea di quel che avverrebbe in presenza di una sola etnia minoritaria).
Gli alunni italofoni possiedono già la lingua parlata nel momento in cui varcano la scuola elementare. Ciò vuol dire che ne padroneggiano due elementi costitutivi: a) la struttura grammaticale (solo un bimbo di due anni potrebbe dire *dillo a io o *io vieno, generalizzando per analogia rispettivamente io come forma costante di pronome personale di prima persona e il tema vien- nel presente indicativo di venire); b) il lessico fondamentale, cioè le circa 2.000 parole che coprono oltre il 90% di un testo, scritto o orale, prodotto e ricevuto da un adulto: sarebbe bizzarro spiegare a un alunno delle elementari che la parte prominente del volto posta tra occhi e bocca si chiama naso e che l’animale che fa le fusa e dice “miao” si chiama gatto.
Il percorso che il bambino deve compiere nei cinque anni di scuola primaria comprende l’arricchimento delle strutture grammaticali (il passato remoto di bere e la costruzione di una proposizione concessiva non rientrano generalmente nella sua dotazione linguistica spontanea); l’incremento del lessico; la riflessione metalinguistica, a partire dalla distinzione tra le parti del discorso (non è così ovvio individuare il nome, come mostra una recente ricerca di due glottodidatte).
L’acquisizione del lessico, specie per elementari e medie, può giovarsi anche di meccanismi ludici. Dobbiamo a una insegnante di scuola media, Ersilia Zamponi, un intelligente libretto apparso nel 1988, i Draghi locopei (anagramma di Giochi di parole), in cui – sulla scia di precedenti come Queneau e Rodari – si propongono giochi verbali, spesso di tipo enigmistico, per stimolare la scoperta delle parole attraverso la creatività (per esempio, trovare il maggior numero di coppie di parole di cui una derivi dall’altra per scarto di lettera iniziale: arido-rido, presto-resto...; scrivere delle frasi che contengano solo parole sdrucciole, a parte articoli e preposizioni: una lucciola mastica con metodo l’asola dell’abito del sindaco...). Un metodo del genere è stato teorizzato e applicato su larga scala nell’insegnamento a studenti stranieri dal linguista italo-americano Anthony Mollica (che parla di ludodidattica).
Ancora la glottodidattica suggerisce l’uso dei cosiddetti test fattoriali o discreti, cioè di esercizi mirati a testare e affinare singole competenze; sono tipi di prove che dovrebbero trovare spazio anche per sviluppare la padronanza della lingua madre. Anni fa mi venne l’idea, per un esercizio in un corso di scrittura, di riprodurre un brano giornalistico (per la storia, la fonte era il «Corriere della Sera» del 1° febbraio 2004), dal quale avevo eliminato alcune parole grammaticali:
[...]1 aver abbandonato l’acciaio per la barrique, e la barrique per le botti, Gravner s’è rimesso a fare il vino nelle anfore. [...]2 gli antichi: a girare nella sua cantina pare quasi di sentire Terenzio Varrone e Virgilio descrivere le tecniche enoiche dei Romani. «Nei miei terreni da 10 anni non c’è [...]3 concime chimico: uso il letame, e ora si rivedono i lombrichi», dice Josko.
I miei studenti, tutti dai 20 anni in su, non si offesero certo, pensando che li trattassi da scolaretti inesperti. Tanto meno si correrebbe questo rischio somministrando questa prova a ragazzi del biennio; e anche nel loro caso il profitto mi parrebbe assicurato: l’esercizio si fonda sulla deduzione dei dati offerti dal contesto e stimola competenze sintattiche, lessicali e semantiche. Occorre inferire che in [...]1 deve essere reintegrata una congiunzione che regga una temporale implicita (dopo; un per, grammaticalmente possibile, darebbe una causale, incoerente in questo contesto); che [...]2 introduce un paragone, confermato dalla successiva evocazione di Varrone e Virgilio, e quindi va integrato come; che [...]3 richiede più, anche tenendo conto dell’assunto ecologico del brano (e non, poniamo, ancora, pure astrattamente possibile).
Lo stesso numero del quotidiano mi fornì lo spunto per un altro esercizio, volto a potenziare il lessico e le solidarietà lessicali (dette anche “collocazioni”; vale a dire le sequenze preferenziali, o addirittura fisse, tra le parole). Eccone l’inizio:
Il visibile [...]1 dei motorini a Roma (ottocentomila) fa sì che ci si ponga la domanda su quanto questo mezzo di trasporto [...]2 sulle dinamiche di mobilità. [...]3 come possibilità di locomozione per i giovanissimi, i motorini sono esplosi negli anni ’80 e si sono via via trasformati conquistando una fetta sempre più [...]4 della popolazione. Il motorino/motorone, infatti, permette di circolare ovunque (anche nelle zone a [...]5 limitato) e sempre (anche durante le domeniche a targhe [...]6).
A differenza dell’altro esercizio, qui si possono avere più risposte accettabili. In [...]1 serve un sostantivo maschile che, dato il contesto, può essere aumento, incremento (la cifra successiva sta a indicare un numero elevato, e tutto il discorso verte sull’espansione d’uso di questo mezzo di trasporto), o anche successo (l’effetto per la causa); in [...]2 serve un verbo suscettibile di reggere la preposizione su, preferibilmente di modo congiuntivo (incida, influisca); in [...]3 un participio plurale, riferito al successivo motorini (nati, sorti, lanciati, pensati) o un avverbio come proprio; in [...]4 un aggettivo come grande, ampia, larga. Invece in [...]5 e [...]6 abbiamo tipiche collocazioni ristrette, ossia locuzioni cristallizzate: non possiamo dire altro che traffico limitato (non *movimento limitato, in questa accezione) e targhe alterne (non targhe alternate o alternative, che pure sarebbero equivalenti).
Del riassunto ho già detto tutto il bene che ne penso. Qui aggiungo che questa eccellente pratica dovrebbe essere abituale per i ragazzi dai 12 ai 17 anni, diciamo dalla seconda classe della scuola media alla quarta della secondaria superiore. Sono fondamentali anche le verifiche della comprensione di un testo, che possono essere sgranate dal semplice al complesso. Ecco un esempio impegnativo, adatto all’ultimo anno di liceo, anche perché richiama nozioni storiche studiate proprio a questa altezza scolastica. Si parte da un brano di taglio saggistico, estratto da «Limes», una rivista rivolta a un pubblico cólto, ma non limitata agli addetti ai lavori:
«Il concetto di sovranità, nella concezione classica vestfaliana, è tramontato da almeno due secoli, ma è nella prima guerra mondiale che esso vede il proprio esito supremo. Se da un lato questo evento rappresenta il punto più alto d’uno scontro fra potenze sovrane, dall’altro ne caratterizza il tramonto. Gli Stati escono vittoriosi contro gli imperi, ma al tempo stesso conservano dentro di sé una tale polemicità da degenerare in regimi di tipo nuovo (i totalitarismi di Italia e Germania) che a loro volta cercano di diventare nuovi imperi conservando un ambiguo rapporto con la forma Stato, venendo sconfitti da entità realmente imperiali, continentali o marittime, extraeuropee (Usa, Urss, Inghilterra). L’Italia attivò, ancora nel 1940, il proprio ius ad bellum tipico di uno Stato sovrano con velleità imperiali, ma quella guerra non era più una guerra fra Stati; e gli Stati che vi parteciparono ne uscirono sconfitti. La Francia, che era uno Stato, la perdette. Così la Polonia, la Norvegia, l’Olanda, il Belgio, e qualunque altro Stato nazione, che avesse ambizioni espansionistiche o meno».
Le seguenti affermazioni possono essere corrette o sbagliate, ma solo una riflette il pensiero espresso dall’autore in questo brano:
a. La prima guerra mondiale segna la sconfitta definitiva dello “Stato-nazione”
b. La seconda guerra mondiale segna la sconfitta definitiva dello “Stato-nazione”
c. Nel Novecento Italia e Germania hanno conosciuto regimi totalitari
d. La Polonia e il Belgio uscirono vittoriose dal secondo conflitto mondiale.
La risposta esatta è b. La difficoltà nasce dal fatto che l’espressione Stato-nazione si trova usata solo alla fine del brano, ma il senso del discorso è chiaro, anche se lo studente ignora alcuni riferimenti (che cosa sia la concezione classica vestfaliana) o alcuni dati storici (gli imperi vinti dagli Stati nella prima guerra mondiale sono in primo luogo gli “imperi centrali”, la Germania e l’Austria-Ungheria, ma si pensa anche all’impero ottomano). Dei distrattori, è innocuo d. (se si barra questa risposta, bisogna non aver capito davvero niente di quello che s’è letto: il che è comunque raro); sono insidiosi c. – che contiene un’affermazione vera, ma irrilevante in questo contesto – e soprattutto a., che sfiora, ma non centra, la verità: lo scrivente vuol dire che dopo la prima guerra mondiale gli Stati sono in apparenza i vincitori rispetto agli imperi, ma sono destinati a degenerare, fino al punto di soccombere nel successivo conflitto.
Ho lasciato da parte la prova scritta più tipica: il tema. La più tipica, e anche la più controversa, quasi il simbolo dell’artificiosità insita nelle cose che si studiano e si fanno a scuola, senza «corrispondenti nella realtà comunicativa extrascolastica (dove nessuno scrive temi, ma semmai lettere, relazioni, saggi, articoli, recensioni, verbali ecc.)» (Stefano Gensini). Come si sa, la tipologia è molto vasta e varia.
Sono caratteristici delle prime classi e arrivano fino al biennio delle superiori i temi in cui il bambino o il ragazzo è lasciato libero di dare sfogo alla sua fantasia o alla proiezione del suo vissuto. Dai teneri pensierini delle elementari, che esistono ancora benché non si chiamino più così, ai vari temi gravitanti sull’io, così frequenti all’inizio di un nuovo ciclo di studi: «Mi presento», «Pregi e difetti del signor.../della signorina...», «Io e i miei compagni», «Vi presento la mia famiglia». Il sovrascopo dell’insegnante è evidentemente quello di mettere a proprio agio l’alunno, esorcizzando il timore da “pagina bianca” con la richiesta di parlare di argomenti familiari o addirittura di sollecitare quell’egocentrismo che – se è tipico di ogni età – è più immediato e irriflesso in bambini e adolescenti; ed è anche un modo per conoscerli, per saggiare il modo in cui essi stessi si vedono. Sta bene. Ma è importante che l’alunno impari presto un’altra cosa: il componimento è una realtà sottoposta a precisi vincoli testuali e pragmatici, quale che sia la “traccia” proposta; non è una specie di Hyde Park Corner e nemmeno una pagina di diario – di blog, bisognerebbe dire oggi – promossa a prova scolastica.
Senza rinunciare, almeno nel biennio, al racconto fantastico («Immagina di essere nel 2030...»), che è un genere narrativo di piena dignità espressiva, sono preferibili – rispetto alle consegne che danno libero sfogo all’effusività incontrollata – quelle vincolate a precisi requisiti formali e narrativi: una disciplina del genere non tarpa la creatività dell’alunno, così come i poeti del passato non si sentivano mortificati dalla dura tirannia della rima e del computo sillabico. Ecco un ottimo esempio, proveniente da un liceo scientifico piemontese (primo anno):
Scrivi un testo a carattere narrativo (due mezze facciate protocollo) attenendoti ai seguenti vincoli: i) questo sarà l’inizio: «Il boato fu tremendo»; ii) questa sarà la conclusione: «Su ogni cosa calò un silenzio irreale»; iii) il narratore sarà esterno al racconto; iv) nel testo, oltre a quelli di cui avrai bisogno, dovrai obbligatoriamente utilizzare i seguenti connettivi: sebbene, pertanto, infatti, poiché, per + infinito (potrai utilizzare i connettivi nell’ordine che vuoi e dovrai evidenziarli).
Nel triennio delle superiori, le attività consistenti nel “parlare di sé” e nel “narrare” recedono (la prima completamente, la seconda in gran parte) a favore del tema tipicamente argomentativo, in cui sviluppare una tesi in base a riflessioni personali o...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. Le due culture
  3. II. Scienze e lettere nella scuola
  4. III. Il latino sul banco degli imputati
  5. IV. L’ora d’italiano: di tutto, di più
  6. V. Scrivere, esprimersi, argomentare
  7. VI. La grammatica
  8. VII. L’arricchimento lessicale
  9. VIII. La letteratura a scuola: alcuni spunti didattici
  10. IX. Perché insegnare i classici (e come)
  11. Nota bibliografica