1. La disuguaglianza prima di tutto
The winner takes it all, the loser has to fall,
it is simple and it is plain, why should I complain?
Abba, 1980
«Noi siamo il 99 per cento». Il movimento Occupy Wall Street ha scelto questo slogan per gridare la propria rabbia per le strade di New York. Studenti indebitati, manager appena licenziati, geeks precari, zombie della finanza, giovani famiglie e anche qualche pensionato solidale interpretano ognuno a suo modo il risentimento verso il capitalismo urlando nei cortei, mostrando cartelloni, cantando e inscenando performance. Nella sua semplicità, lo slogan racchiude tutto il senso della protesta e il suo duplice messaggio: le disuguaglianze economiche sono inaccettabili, ma i numeri sono dalla nostra parte.
Attraversiamo l’Atlantico. Mentre in Libia rotola la testa del tiranno spodestato, continuano i moti di protesta in Siria e nello Yemen, dove si contano ormai decine di migliaia di morti. Ma anche in Israele la classe media è per strada a protestare contro l’impennata dei prezzi delle case e dell’inflazione, mentre in India si scatena una manifestazione contro la corruzione del sistema politico. Nell’Estremo Oriente, il regime cinese soffoca nel sangue le rivolte scoppiate nelle province orientali contro gli espropri illegali di proprietà agricole. In Europa continuano le proteste e sale la tensione. Sabato 15 ottobre 2011 a Roma la manifestazione degli indignati italiani degenera in guerriglia urbana. Jacques Delors ci ricorda che le misure di austerità talvolta uccidono un paziente che sembra guarito1. Delors parla dei paesi, ma il 20 ottobre 2011 muore ad Atene il primo manifestante durante gli scontri con la polizia.
Cosa muove questa ondata di proteste globali? Questi eventi che accadono contemporaneamente su scala planetaria non sono casuali ma forse i sintomi più acuti di una stessa patologia: l’eccessiva disuguaglianza, una profonda linea di faglia dell’economia che è oggi al centro della Grande Crisi2.
In questo capitolo, esaminiamo quanto sia grave oggi il fenomeno dell’eccessiva disuguaglianza, cercando di capire se sia ammissibile o meno, mantenendo uno sguardo d’insieme sull’economia globale, e calandoci in alcune realtà nazionali per finire con l’Italia, vero campione di disuguaglianza. Vedremo che la disuguaglianza è un fenomeno pervasivo e in crescita, e, in alcune economie, è al tempo stesso causa ed effetto della Grande Crisi. Ma prima di procedere, dobbiamo quantificare il problema, definendolo in modo preciso, per poi confrontarlo fra paesi e nel tempo. Prima di cercare la cura, dobbiamo quindi capire la malattia.
1.1. Il mondo è la Namibia
Restringiamo il campo di analisi. Ci occuperemo solo di disuguaglianze economiche e quindi di disparità nei redditi fra gli individui di una determinata società. Queste vengono di solito misurate attraverso l’indice di Gini o con statistiche calcolate sulla distribuzione dei redditi di una determinata popolazione. Per costruire l’indice di Gini si prendono le differenze fra i redditi di tutti gli individui e se ne calcola una media che poi viene a sua volta divisa per il reddito medio della popolazione. Più basso è l’indice, minori sono le differenze medie rispetto al reddito medio e quindi minori le disparità di reddito. Quando l’indice di Gini è zero, viviamo in una società in cui tutti i redditi sono uguali. Quando vale uno, un solo individuo possiede tutto il reddito e gli altri nulla. Fra questi due estremi stanno tutte le disuguaglianze del mondo reale che riportiamo nella figura 1.1.
Figura 1.1 La disuguaglianza nel mondo, 2010
Fonte: Cia World Factbook, 2011.
Il mondo è molto vario sotto questo aspetto. I paesi più ugualitari sono certamente quelli nordici, con un indice che varia fra 0.2 e 0.3. In alcuni paesi africani supera lo 0.6. Se volessimo classificare le regioni del mondo in termini di sperequazione del reddito nazionale, metteremmo l’America Latina in cima alla lista, seguita dall’Africa e dall’Asia. L’indice di Gini della Cina è 0.415. Fatta eccezione per Stati Uniti, Russia e Italia, che ha un valore di 0.32, i paesi più ricchi hanno di solito disuguaglianze meno marcate.
Questi dati non ci sorprendono. Tutti sanno che esistono grandi differenze nella distribuzione dei redditi: alcuni paesi le tollerano, altri le combattono, e questo a prescindere dal livello della ricchezza del paese e dalla numerosità della popolazione. Ad esempio, le disparità di reddito sono molto più elevate negli Stati Uniti che non in Australia, pur essendo i due paesi simili sul piano economico e culturale. Fra i paesi emergenti, la disuguaglianza che si osserva in Brasile è superiore rispetto a quella dell’Indonesia, nonostante un numero comparabile di abitanti.
Prescindendo dai livelli assoluti di reddito e dalla popolazione, gli indici di Gini nazionali non servono per rispondere alla prima grande domanda che ci poniamo: quanto è disuguale il mondo nel suo complesso? Quali sono le effettive disparità di reddito se consideriamo il pianeta un’unica nazione e quindi i redditi di tutti i cittadini del mondo?
I primi dati sulla disuguaglianza globale sono oggi disponibili e provengono dagli studi di Milanović basati su indagini campionarie a livello individuale3. Aggregando tutti i dati sui redditi individuali del pianeta, l’indice di Gini vale 0.7! Il mondo è, quindi, disuguale come lo Stato più disuguale al mondo: la Namibia.
Altre statistiche sulla disuguaglianza globale provenienti dalla stessa fonte sono altrettanto interessanti. Se disponiamo in ordine crescente di reddito tutti gli abitanti del mondo, il 10 per cento più ricco possiede il 56 per cento della ricchezza. Spingiamoci oltre: il 5 per cento più ricco ne possiede il 37 per cento. Guardiamo ora l’altro estremo: il 10 per cento più povero lo 0.7 per cento; il 5 per cento più povero lo 0.2 per cento. Se consideriamo questa ultima fascia, il rapporto fra i redditi dei più ricchi e dei più poveri è circa 200 a 1.
Le disparità globali di reddito si possono rappresentare efficacemente attraverso la piramide della figura 1.2. Disponendo sempre in ordine crescente di reddito tutti gli abitanti del mondo, ci chiediamo quanti individui sono necessari per generare il successivo 20 per cento dei redditi. Se partiamo dal più povero, serve il 77 per cento della popolazione globale; se partiamo invece dai più ricchi, basta l’1.75 per cento della popolazione. Se costruiamo una piramide usando blocchi della stessa altezza (il 20 per cento del reddito globale) e basi diverse, ci rendiamo subito conto di quanto sia instabile e fragile un’economia globale segnata da una così elevata disuguaglianza.
Figura 1.2 La piramide delle disuguaglianze
Fonte: B. Milanović, The Have and the Have nots: A Brief and Idiosyncratic History of Global Inequality, Basic Books, New York 2011.
Dove vivono i super ricchi? Circa sessanta milioni di persone hanno un reddito superiore a 34.000 dollari all’anno, il novantanovesimo percentile4. La metà vive negli Stati Uniti, quattro milioni in Germania, tre milioni in Italia, in Francia e nel Regno Unito; due milioni in Brasile. In Africa, in Cina e in India i numeri diventano statisticamente irrilevanti.
Sgraniamo ulteriormente i dati, incrociando la dimensione globale con quella nazionale. Prendiamo, ad esempio, l’Italia rappresentata nella figura 1.3. Dividiamo la popolazione in venti fasce di reddito e calcoliamo i rispettivi ventili (cioè il primo ventile è il livello di reddito al di sotto del quale si trova il cinque per cento più povero della popolazione italiana, il secondo il dieci, ecc.). Poi collochiamo i ventili italiani nella distribuzione del reddito globale. Essendo un paese ricco, ci immaginiamo che l’Italia si trovi nella fascia alta della distribuzione. Infatti, i più poveri italiani, quelli che appartengono al primo ventile, si trovano al sessantottesimo percentile della distribuzione globale. Questo significa, quindi, che gli italiani più poveri stanno meglio di più di due terzi dell’intera popolazione mondiale.
Figura 1.3 La distribuzione globale del reddito
Fonte: Elaborazioni sui dati in Milanović, The Have and the Have nots cit.
La forza di questo grafico è che fornisce una rappresentazione immediata delle posizioni relative del reddito dei paesi e delle rispettive disuguaglianze. Gli Stati Uniti appaiono abbastanza simili all’Italia, anche se con redditi decisamente superiori in quasi tutti i ventili intermedi. Guardiamo invece la Cina. Si vede subito che la Cina è un paese non solo più povero ma anche più disuguale degli Stati Uniti. La distribuzione di reddito copre un’ampia fascia del reddito globale, dal terzo all’ottantacinquesimo percentile. Non arriva al top della distribuzione, ma l’intervallo di variazione è quasi il triplo di quello americano.
Sul fronte delle disuguaglianze il Brasile batte tutti. La sua distribuzione del reddito copre l’intero spettro: questo significa che in Brasile ritroviamo i più poveri tra i poveri e i più ricchi tra i ricchi del mondo. I dati dell’India sono particolarmente drammatici. Anche le fasce più ricche della popolazione, il cinque per cento al top, si trovano a un livello inferiore nella distribuzione globale rispetto ai più poveri americani. Molti altri paesi in via di sviluppo si trovano in condizioni simili. Prendiamo comunque atto che la stragrande maggioranza della popolazione indiana (che conta 1.2 miliardi di persone) vive in condizioni che sarebbero considerate di estrema povertà negli Stati Uniti. Ovviamente, se tagliassimo più finemente la distribuzione fino a raggiungere l’1 per cento o lo 0.1 per cento, troveremmo qualche miliardario anche in India, ma il quadro non cambierebbe.
1.2. I ricchi diventano più ricchi
Questa è la fotografia del mondo di oggi. Ma come è cambiata la disuguaglianza nel corso della storia e quali sono le tendenze più recenti?
Non riusciamo a dare una risposta definitiva a questa domanda soprattutto per mancanza di dati. Per fornire un quadro esaustivo avremmo bisogno di serie storiche sulla distribuzione globale dei redditi, che, in realtà, sono disponibili solo per alcuni anni recenti. Possiamo comunque farci un’idea sulle disparità dei redditi fra paesi calcolando l’indice di Gini sulla base del Prodotto interno lordo (Pil) pro capite, opportunamente deflazionato e corretto per il diverso potere d’acquisto delle valute (in gergo Ppp, Purchasing power parity) per poter fare un confronto sensato nello spazio e nel tempo.
Bourguignon e Morrisson hanno dimostrato che nel 1820 l’indice di Gini mondiale (che quindi misura la disuguaglianza fra paesi senza tenere conto delle differenze di reddito all’interno del paese) era 0.50, 0.61 nel 1910, poi 0.64 nel 1950 e infine 0.66 nel 19925. Quindi i dati mostrano una continua crescita, anche se a tassi decrescenti, delle disparità di re...