Teorie e metodi di pedagogia interculturale
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Teorie e metodi di pedagogia interculturale

  1. 200 pagine
  2. Italian
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Teorie e metodi di pedagogia interculturale

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La pedagogia interculturale è strettamente collegata ai flussi migratori odierni. È la scuola per prima, infatti, a dover far fronte ai grandi cambiamenti della popolazione scolastica dotandosi di strumenti per accogliere adeguatamente i ragazzi con patrimoni culturali e linguistici ricchi e diversi. A questo fine, l'autrice fornisce il nuovo quadro teorico della pedagogia interculturale e al contempo propone laboratori e metodi di didattica interculturale che docenti ed educatori possono utilmente adottare nel loro lavoro in classe.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858130582

1.
Attraversare spazi,
pensare in modo interculturale

1. Responsabilità e fiducia nell’educazione interculturale

L’espressione società multiculturale si usa in senso descrittivo per indicare una situazione nella quale soggetti che provengono da retroterra culturali diversi convivono negli stessi contesti di vita. Di conseguenza, per garantire situazioni di buona convivenza, nei contesti multiculturali è necessario assumere una prospettiva interculturale. In particolare, c’è bisogno di progetti di educazione interculturale che promuovano relazioni vere e positive fra individui con diversi background linguistici, religiosi, culturali. I docenti, gli educatori, i dirigenti scolastici si assumono la responsabilità di tali progetti in ambito educativo e formativo.
Si tratta di responsabilità civili ed etiche che abbracciano la sfera delle conoscenze e della formazione civica, travalicano gli ambienti dell’educazione e della formazione e riguardano il campo più vasto della società. La pedagogia interculturale si assume dunque delle responsabilità nei confronti della società nel suo insieme, fatta di storie diverse che s’incrociano, di tecnologie pervasive, di luoghi pubblici utilizzati da comunità multietniche, di compiti nuovi che ciascuno ha nei confronti di se stesso e degli altri.
Docenti, educatori e mediatori agiscono oggi in un contesto che è stato profondamente mutato dagli eventi degli ultimi anni. Infatti, il secondo decennio degli anni Duemila ha posto le popolazioni del mondo sempre più spesso di fronte alle traversate del Mediterraneo da parte di migliaia di uomini, donne e ragazzi in fuga da zone dove imperversano la guerra, la fame e la povertà, e di fronte a centinaia di episodi di altruismo e di professionalità per tentare di salvarli1. Ma anche di fronte ad attentati perpetrati in nome di rivendicazioni di stampo fondamentalista.
Se da un lato i salvataggi in mare delle tante persone stipate su gommoni e barche fatiscenti restituiscono loro la vita e la speranza, dall’altro le stragi compiute nei luoghi delle esistenze quotidiane (piazze, teatri, lungomare, mercati, aeroporti, ponti), di cui i media diffondono le immagini, gettano nello sconcerto milioni di persone.
Quei salvataggi eroici e quotidiani e quelle stragi inutili e ingiuste sembrano caratterizzare il nostro tempo. Riguardano da vicino la costruzione del pensiero interculturale in educazione, in quanto hanno creato e creano quotidianamente nelle persone una sorta di alternanza continua fra la speranza in una società coesa e solidale e la disillusione che ci fa temere di non saper costruire quel tipo di società.
Negli ultimi anni questa alternanza fra speranza e disillusione – fra società solidali e gruppi fondamentalisti, fra occasioni luminose fatte di aiuto, sostegno, solidarietà, e cronache buie fatte di stragi organizzate, vittime, violenza – è divenuta la quotidianità per milioni di persone, è divenuta pervasiva. Di conseguenza è divenuta ancora maggiore la responsabilità etica di chi deve immaginare e progettare l’educazione.
Questo libro parte dalla convinzione che una garanzia in più per una società capace di accogliere e improntata alla giustizia sociale possa provenire anche dal pensiero interculturale, che può e deve crescere nei luoghi dell’educazione, negli spazi urbani, nelle periferie.
1.1. Il rischio di mancare l’integrazione Nel 2007 il ministero dell’Interno del governo dell’epoca, per dare concretezza alla volontà politica di una società aperta all’accoglienza e al meticciato, decise di realizzare e diffondere una pubblicazione basata su immagini che documentavano situazioni di vita dove la convivenza, il rispetto, l’integrazione erano dati reali e visibili2. Il libro conteneva foto centrate su momenti legati al lavoro, alla sanità, alla scuola, che mostravano tanti volti e figure di immigrati (donne e uomini, giovani e adulti) come veri protagonisti. Erano foto in bianco e nero e a colori realizzate da fotografi artisti e professionisti che coglievano momenti di celebrazioni di rituali legati a matrimoni e battesimi, immagini di impegno e dedizione sul lavoro, attività svolte nei luoghi più diversi da persone immigrate con lo scopo di coltivare il proprio capitale umano3. La pubblicazione fu distribuita gratuitamente dal governo a scuole, biblioteche e università. Possedeva una buona carica immaginale e concreta, in grado di diffondere messaggi positivi nei confronti degli uomini e delle donne immigrati, come presenze vive e attive nella società italiana.
Il patrimonio di vitalità e gioia di vivere che gli stranieri portano con sé, e che queste immagini testimoniano e ritraggono, esiste. Esiste il loro desiderio di muoversi sul territorio, di fare, di esserci, di testimoniare la propria presenza. Sono modalità e bisogni che interessano l’educazione e la formazione degli adulti. Riguardano la fisicità, il corpo, la mente, la memoria delle persone, la valorizzazione dei loro talenti culturali, artistici, musicali, delle loro abilità e passioni; riguardano lo stare in gruppo e la costante ricerca di dare un senso alla propria condizione di migranti4. Nonostante ciò negli ultimi anni, a livello di senso comune, sono cresciuti sempre di più gli atteggiamenti di estraneità nei confronti degli stranieri: la cronaca violenta e le periferie in abbandono hanno fatto crescere nelle persone adulte che abitano le città italiane atteggiamenti di disinteresse nei confronti dei valori, delle culture, delle lingue di chi arriva da altri paesi.
Una ricerca etnografica condotta nel 2004 dal sociologo francese René Domergue, ancora molto attuale, ha lanciato un campanello d’allarme sulla possibilità di una mancata integrazione che si trascina nel tempo. La ricerca riguarda l’arrivo di gruppi di algerini provenienti dall’ex colonia francese, che si insediarono nella Francia meridionale5. Fin da subito questi immigrati ebbero dagli abitanti locali l’appellativo di Pieds-Noirs (Piedi Neri) e furono visti e considerati come gens pas d’ici (gente non di qui). Già questi appellativi fanno comprendere la precisa volontà di differenziarli bene, perfino nel lessico, dalle gens d’ici, cioè le persone e le famiglie radicate nella Francia del Sud da diverse generazioni.
Gli abitanti locali dei villaggi del Midi francese consideravano ‘strani’ i comportamenti dei nuovi arrivati. Qualunque atteggiamento, anche il più normale, incuteva sospetto e senso d’estraneità; persino i gesti relativi alla socialità, la spontaneità e il senso dell’accoglienza. Per esempio, sorprendeva l’abitudine di darsi la mano più volte, o di battere il cinque col palmo della mano aperta, o di ritrovarsi in grandi gruppi di amici6.
Domergue svolse la ricerca in vari villaggi della regione per comprendere come stavano le cose a distanza di alcuni decenni. Ebbene, l’aspetto allarmante (ed educativo allo stesso tempo) evidenziato da questo lavoro è che, a più di quarant’anni dai primi insediamenti, la sensazione di estraneità è rimasta ancora, sia nelle popolazioni locali sia in coloro che, al tempo, erano i nuovi arrivati. Negli anni si è radicata, fra i due gruppi, una specie di convivenza forzata7. Anche alla luce di ricerche come questa, occorre riflettere su quanto sia necessario aver cura che i processi d’integrazione migliorino, nelle grandi città come nelle piccole.
La ricerca di Domergue fa emergere i rischi di una mancata integrazione protratta nel tempo. Come vedremo, l’educazione e la formazione possono essere lo strumento per disincentivare le difficoltà di convivenza fra popolazioni locali e immigrati nuovi arrivati.
1.2. Paura dell’Altro In Italia, nel secondo decennio del Duemila il tema dell’immigrazione è tornato in primo piano non tanto in termini d’interesse e valorizzazione delle culture degli Altri, quanto in termini di sospetto e paura. In un’ottica comparativa internazionale, «un’indagine TTI (Transatlantic Trends: Immigration 2014) ha evidenziato che gli italiani appaiono tra le popolazioni più scettiche nei confronti dell’immigrazione; la percezione dell’immigrazione risulta peggiorata dal 2008, soprattutto per quanto riguarda i fenomeni della clandestinità e della criminalità»8.
Nelle ricerche dei sociologi, nei servizi televisivi e nei resoconti della carta stampata si leggono e si ascoltano tante voci di persone che vogliono creare una distanza fra ‘noi’ e ‘loro’, fra chi vive in un territorio da sempre e chi arriva da altrove. Ciò accade in particolare proprio nelle zone di periferia, viste come luoghi del «degrado urbano, luoghi residuali, dove regna una calma sinistra, dove gli spazi pubblici sono assenti, dove la strada è morta»9. Si ascolta e si legge che sono in tanti a voler mettere delle soglie, delle barriere, dei confini. Molto opportunamente Anna Detheridge, nella sua analisi sulla rigenerazione necessaria delle periferie, si chiede fino a che punto sia lecito liquidare con una battuta il fatto che tanta parte della popolazione delle grandi città vive oggi in condizioni abitative caratterizzate dal degrado, dall’indifferenza, dal senso di insicurezza10. Occorre ascoltare con attenzione anche i nostri concittadini che, nei programmi televisivi o rispondendo alle indagini sociologiche, o partecipando a ricerche educative condotte con interviste, si dicono contrari a quella che chiamano «l’invasione»11. Gli uomini e le donne che nei dibattiti televisivi e nelle interviste di ricerca raccontano episodi, si accalorano, esprimono posizioni di paura e di rifiuto, non sono certo persone malvage: sono persone che hanno delle opinioni derivate da fatti specifici che sono accaduti e accadono nei luoghi specifici in cui esse vivono. Si tratta di fatti reali e le reazioni che vediamo o che ascoltiamo raccontare lo sono altrettanto, e meritano riflessione.
Secondo il filosofo Paul Ricoeur, una causa della fragilità dell’identità è proprio il confronto con l’Altro, avvertito come una minaccia: «l’Altro è percepito come un pericolo per l’identità propria, quella del noi e quella dell’io. Ci si può stupire? La nostra identità è così fragile da non poter sopportare che altre persone abbiano modi diversi di vivere, di comprendersi, di inscrivere la propria identità nella trama del vivere insieme? Eppure è così. Le umiliazioni, le ferite reali o immaginarie alla stima di sé sotto i colpi inferti da un’alterità mal tollerata, trasformano in rifiuto ed esclusione il rapporto d’accoglienza che si ha con l’Altro»12.
Se tutto questo è vero, i docenti e gli educatori hanno il compito di continuare a trasmettere una consapevolezza positiva ai gruppi di allievi e di studenti con i quali hanno relazioni educative e con i quali progettano e realizzano percorsi di educazione e di formazione. Questo libro basa i suoi contenuti sulla fiducia che il pensiero interculturale possa essere trasmesso e possa crescere a scuola e nei luoghi dell’educazione, per poi riversarsi in comportamenti positivi al di fuori della scuola stessa.

2. L’educazione è fatta di pluralità

La pedagogia interculturale è collegata alla storia nel suo svolgersi e alla cronaca. Tuttavia non propone mai un’educazione spot basata sull’emergenza dei fatti che accadono sul momento; non dovrebbe essere neppure un’educazione pointilliste, cioè frammentata in tanti pezzetti separati13, perché in ques...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Parte prima. Per una pedagogia della costruzione
  3. 1. Attraversare spazi, pensare in modo interculturale
  4. 2. Oggetti di studio della pedagogia interculturale
  5. 3. Pedagogia e scenari in movimento
  6. Parte seconda. Laboratori, metodi ed esperienze di didattica interculturale
  7. 4. Creare connessioni, abbattere barriere
  8. 5. Le didattiche narrative
  9. 6. Metodologie e normative in dialogo
  10. 7. Competenze interculturali nelle classi super-diverse
  11. Riferimenti bibliografici
  12. Appendice