Uomini alla macchia
eBook - ePub

Uomini alla macchia

Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Uomini alla macchia

Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Monti dell'Appennino ligure-toscoemiliano, Alpi Apuane settentrionali e zone circostanti. È qui che tra l'autunno del 1943 e la primavera del 1944 nascono piccoli nuclei formati da sbandati, renitenti e disertori della Repubblica di Salò, oltre che da antifascisti di varie tendenze. Sono rudimentali 'bande ribelli' che passano gradualmente dalla resistenza passiva all'attività di guerriglia senza unirsi mai in un 'esercito di liberazione' vero e proprio, mantenendo un'ampia autonomia, una variegata coloritura politica e le proprie specificità locali. Il mondo 'alla macchia' lunigianese emerge come un mosaico complesso, nel quale furono contemporaneamente presenti idealismo e necessità, progetto politico e spontaneismo, patriottismo e opportunismo, l'inevitabile violenza di un conflitto senza regole e la volontà di ricostruire dalle ceneri del disastro bellico un quadro politico diverso e democratico.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Uomini alla macchia di Maurizio Fiorillo in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Histoire e Histoire du 21ème siècle. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858115244

V. Il mondo alla macchia

1. Combattenti e non

Nell’estate del 1944 le bande partigiane della Lunigiana raggiunsero una notevole consistenza numerica e una reale capacità operativa. Iniziarono inoltre a darsi una struttura più complessa, a unirsi in ‘brigate’ e ‘divisioni’, a dotarsi di regole di comportamento più sistematiche e a intrattenere rapporti più stabili con i partiti antifascisti clandestini. Giunti a questo punto può essere quindi utile soffermarsi sulle caratteristiche delle formazioni, le motivazioni dei loro membri, il modo in cui le forze politiche progressivamente le plasmarono.
Fin dalle sue origini, il mondo ribelle era stato abbastanza eterogeneo. Scrive Mario Giovana che
nel crogiuolo della guerriglia confluirono, [...] coscienze intimamente comprese della propria scelta; personalità di idealisti e di militanti politici; una moltitudine di giovani della generazione fascista privi di retroterra culturali e di bussole ideologiche che reagivano quasi istintivamente agli inganni e alle oppressioni della dittatura; soldati di mestiere determinati a tenere fede al proprio giuramento alla monarchia o, semplicemente, offesi nel profondo dalle inettitudini degli apparati militari fascisti e desiderosi di riscattare l’onorabilità delle forze armate; lavoratori ansiosi di affermare, accanto ai diritti di indipendenza e libertà della comunità nazionale, rivendicazioni sociali a lungo ignorate: con questi si trovarono mischiati temperamenti desiderosi di avventura, inquietudini di emarginati senza spessori ideali, pronti alle occasioni più disparate di tumulto cruento, spiriti trascinati dalla parte della Resistenza per motivi quasi accidentali e poi sovente, ma non sempre, immedesimatisi nei suoi fini1.
Questa varietà interna, questa compresenza di posizioni politiche, tensioni morali e opportunismo, che era già presente nelle prime pionieristiche bande, si accentuò nel corso della convulsa estate del 1944. Nella memoria di molti partigiani le scelte politiche fatte dopo la salita in montagna o dopo la guerra si sono sovrapposte alle precedenti motivazioni, cancellandole o mettendole in secondo piano. Inoltre la coscienza del valore fondante della Resistenza per la democrazia italiana ha in qualche modo caricato retrospettivamente la ‘scelta ribelle’ di una consapevolezza che inizialmente poteva benissimo non esserci affatto. La memorialistica e soprattutto numerose fonti d’origine orale2 ci mostrano però come originariamente la scelta di raggiungere le formazioni partigiane fosse spesso legata a motivazioni sfumate e a volte imponderabili.
Se alcuni giovani raggiungevano le bande perché influenzati da tradizioni familiari socialiste o comuniste o dalla propaganda diffusa dal PCI, e quindi almeno in teoria coscienti dei doveri del partigiano e delle finalità della sua lotta (liberazione e rinascita democratica dell’Italia), altri lo facevano solo come conseguenza della renitenza o della diserzione dalle forze armate della RSI, quindi per ‘fuggire’ dalla guerra, non con l’intenzione di combatterne un’altra ancora più pericolosa.
In alcuni casi, teniamo conto che parliamo di adolescenti e giovani uomini, a motivare la scelta ribelle era, come afferma un partigiano spezzino, lo «spirito di avventura» e l’entusiasmo per l’indipendenza e la maturità virile raggiunta3.
Cesare Godano, che nel settembre 1944 divenne commissario politico della banda azionista del ‘Boia’, riteneva ad esempio che la crescita enorme della sua formazione nel corso della stagione estiva fosse legata ai bandi di reclutamento della RSI e alla «speranza che arrivassero presto gli Alleati», anche se non negava che il «sentimento patriottico» comunque «giocasse qualche ruolo»4. Anche il maggiore inglese Johnston, giunto a fine giugno 1944 al campo di Azzari sul Monte Tondo, notò subito che la banda creata da Marini e dal radiotelegrafista era «in gran parte composta da giovani renitenti al servizio militare»5.
D’altra parte nel 1945 la stessa federazione spezzina del PCI scriveva nella relazione ufficiale sulla sua azione durante la guerra appena terminata che
il rapido formarsi dei reparti era conseguenza della sopravvenuta reazione nazi-fascista, della chiamata alle armi dei repubblichini, delle continue minacce dei rastrellamenti che spingevano i giovani verso la montagna, mentre la nostra organizzazione approfittava di questo stato di cose per inquadrare questi giovani in unità di combattimento6.
La sintesi migliore delle motivazioni che in Lunigiana spinsero in montagna migliaia di giovani è forse ancora quella elaborata già nel 1945 da Roberto Battaglia. Secondo il futuro storico della Resistenza, se interrogati sul motivo della loro rischiosa scelta di vita, i partigiani avrebbero dato queste risposte:
«L’ho fatto per fuggire alla cattura dell’esercito repubblicano e del servizio del lavoro», o «Sono divenuto partigiano perché i tedeschi m’hanno bruciato la casa – oppure perché uno della mia famiglia è stato ucciso in una rappresaglia – o anche perché sono comunista o anarchico o di Giustizia e Libertà. Qualcuno delegherà a un altro la responsabilità della sua decisione, dichiarando d’essere entrato in banda perché già c’era un suo parente o un suo amico; qualcuno spingerà la sua onestà fino a confessarvi che non aveva altra soluzione, essendo privo di ogni mezzo economico; qualche altro, più colto, vi dirà che quella vita l’ha attratto per il suo sapore insolito d’avventura».
Queste risposte, sottolinea Battaglia, attestano il carattere «negativo» della scelta, cioè il fatto che, esclusa la «minoranza quanto mai ristretta» dei vecchi antifascisti, si saliva in montagna «spinti dagli stessi avvenimenti», «perché sollecitati da circostanze esterne, per spirito di difesa o di necessità economica o di vendetta», insomma per reazione a un mondo divenuto feroce e oppressivo o per ragioni personali, piuttosto che per una scelta cosciente patriottica o politica. Eppure queste sollecitazioni dovevano trovare un ambiente in qualche modo favorevole ad accoglierle. Moltissimi fra i primi ribelli e una parte di quelli che successivamente li raggiunsero, insieme a motivazioni opportunistiche, condividevano infatti «l’impulso di mettersi fuori legge, per farla finita con un vecchio mondo che era crollato o stava crollando intorno a noi, e il desiderio, nel tempo stesso, di ricostruirne uno nuovo». E questo impulso era generalmente legato a «vaghe aspirazioni a una nuova libertà o giustizia sociale»7.
L’eterogeneità delle motivazioni dei partigiani può certo contribuire a spiegare perché all’interno delle bande convivessero molto a lungo individui e gruppi con un grado diverso di adesione alla guerriglia attiva. A.F., partigiano azionista in Val di Vara, ricorda ad esempio che nella sua formazione erano sempre gli stessi uomini a compiere le azioni, mentre altri svolgevano servizi di guardia o di approvvigionamento, ma non prendevano mai parte ai combattimenti8. Il maggiore Lett riferiva invece, forse con eccessiva durezza, che in tutte le formazioni attive tra Vara e Magra erano utilizzabili in combattimento il 10% degli uomini, mentre al massimo un altro 30% poteva essere impiegato nei servizi logistici9. Infine nel corso dei rastrellamenti, mentre alcuni partigiani tentavano con grande coraggio di organizzare una resistenza, altri abbandonavano le armi e tutti i segni di riconoscimento e si davano alla fuga. Non si trattava ovviamente di un piano preordinato di ‘mimetizzazione’, ma di sbandamenti che portavano alla disintegrazione quasi istantanea di gruppi sulla carta numerosi e impedivano uno sganciamento ordinato dal nemico.
Spesso i ‘politici’ accusavano i partigiani locali di origine contadina, i ‘valligiani’, di essere l’elemento meno dinamico delle bande, ma il problema dei partigiani inattivi o incapaci ci pare essere piuttosto legato alla crescita degli organici nell’estate del 1944. Essa aveva permesso al mondo ‘alla macchia’ di avere un’influenza reale sul corso degli eventi, ma aveva caricato le formazioni di moltissimi giovani con eccessive speranze e poca coscienza dei rischi della vita ‘ribelle’. Quasi tutte le formazioni, senza distinzioni politiche, avevano accettato nuove reclute in maniera indiscriminata, sia per l’impossibilità di vagliare ogni singola posizione, sia per il desiderio dei partiti e dei singoli capibanda di far divenire rapidamente la ribellione partigiana un fenomeno di massa10.
Con il passare dei mesi la vita comune, l’esempio e l’opera cosciente dei comandi e dei ‘politici’ riuscì in parte ad amalgamare gli uomini, a dotarli di un minimo di addestramento e a motivarli adeguatamente, ma la ‘zavorra’ dei giovani saliti in montagna senza una chiara consapevolezza, per motivi solo personali o magari solo per essere ‘protetti’ dai compagni, fu a lungo un ostacolo all’azione delle bande.

2. Capibanda e commissari

Soprattutto nei primi mesi della guerriglia la figura del capobanda, del comandante se si preferisce una terminologia militare, svolse un ruolo fondamentale. Data l’eterogeneità delle origini e delle motivazioni dei ribelli e spesso la labilità dei contatti con i partiti, era la figura del capobanda il punto di riferimento principale e in un certo senso la ‘bandiera’ della banda. In moltissimi casi le formazioni erano ad esempio identificate dai loro membri, dalla popolazione e dai nemici non con le loro denominazioni ‘ufficiali’ (Picelli, Vanni, Colonna Giustizia e Libertà), ma con il nome del capobanda (banda di ‘Facio’, di ‘Tullio’ o del ‘Boia’).
Questa forte sottolineatura del legame personale tra il comandante e i suoi uomini, a cui anche noi ci siamo adeguati, è un sintomo di quanto il suo ruolo fondamentale per la sopravvivenza della banda e per la sua autorappresentazione. Scrive Giovana:
le modalità stesse di nascita delle bande esaltano la figura del creatore e del capo, e tendono ad elevare i tassi di ‘carismaticità’ che lo circondano e di cui egli può impreziosirsi. L’iniziativa individuale e l’avvaloramento dei requisiti di comando derivante dai dati probatori dell’esperienza e del consenso attivo dei sottoposti, sono a fondamento della germinazione della banda e della legittimazione del grado di autorità. Perciò, una dose spesso allopatica di ‘carisma’ si concentra intorno alla personalità del capo dei primi nuclei di guerriglia, alimentata dalla fantasia popolare [...] e misurata sulla scorta della straordinarietà delle imprese delle quali i soggetti sono protagonisti11.
Il carisma dei comandanti era spesso rafforzato dalla diffusione, all’interno delle bande e tra la popolazione, dei racconti delle esperienze di guerriglia che in seguito si cristallizzarono nella memoria orale in veri e propri aneddoti. Spesso anche la fama di ‘terribilità’, vera o falsa che fosse, qualche caratteristica particolare (la generosità, la mira infallibile, ecc.) o l’abbigliamento stravagante, contribuivano a costruire il ‘mito’ del capobanda. Ad esempio Primo Battistini ‘Tullio’ riuscì a divenire, grazie al suo decisionismo e la sua intransigenza, ma anche al suo vestiario appariscente, al suo muoversi a cavallo tra gli uomini, al suo atteggiamento tra il napoleonico e il piratesco, una figura di grande fascino per i giovani della bassa valle della Magra o meglio, servendosi delle parole della partigiana ‘Fiamma’, che appena sedicenne militò nella sua formazione, «un mito, una leggenda, un Sandokan alla riscossa»12.
Prescindendo dai suoi aspetti più pittoreschi, il carisma del capobanda aveva il suo fondamento in elementi concreti come l’abilità nello sfuggire all’accerchiamento durante i rastrellamenti, l’astuzia nello scegliere gli obiettivi da attaccare e anche la comprensione degli uomini necessaria per tenere unita la formazione. È da notare che spesso i capibanda lunigianesi erano degli autodidatti del comando, senza nessuna particolare conoscenza militare alle spalle. ‘Tullio’ era stato un cuoco nella marina mercantile, Vero Del Carpio ‘il Boia’ un dentista, i fratelli ‘Beretta’ proprietari terrieri. Certo non mancavano i reduci della guerra 1940-1943, ma solo alcuni possedevano reali esperienze di comando.
In ogni caso per il ruolo di capobanda erano importanti anche le qualità etiche e, come sottolinea la relazione finale di una formazione carrarese, il «prestigio dei capi derivava loro dalla loro dirittura morale, dal coraggio con cui affrontavano il pericolo e dallo spirito di sacrificio dimostrato nei momenti più difficili della lotta di liberazione»13. Non solo l’estroso e temibile ‘Tullio’, ma anche il più riflessivo ‘Facio’ era considerato da molti un vero e proprio «eroe da leggenda»14.
È comunque necessario precisare che non tutti i capibanda assumevano un ruolo di rilievo e che comunque i militanti dei partiti antifascisti, in particolare i comunisti, contrastavano l’eccessiva crescita del loro ‘carisma’ personale. Inoltre, di fronte a insuccessi gravi o ad atteggiamenti inaccettabili, lo stretto rapporto del capobanda con i propri uomini si deteriorava e si poteva giungere a una sua rimozione dal comando. L’affermazione di Guido Quazza che l’autorità del comandante era «frutto dell’investitura dire...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. Fuga dalla guerra
  3. II. La grande occasione
  4. III. I ribelli
  5. IV. La lunga estate
  6. V. Il mondo alla macchia
  7. VI. Le speranze dell’autunno
  8. VII. La grande crisi
  9. VIII. La fine della guerra
  10. IX. Bilanci del dopoguerra
  11. Sigle e abbreviazioni
  12. Bibliografia essenziale