1.
Forze del cambiamento
e della conservazione
Premessa
La grande trasformazione energetica è vicina e impone cambiamenti radicali: modifica l’uso di materie prime fondamentali per la crescita industriale – il carbone, il petrolio e i suoi derivati – che oggi entrano nella produzione della maggior parte delle merci scambiate nel mondo. L’industria petrolchimica ha portato i prodotti del petrolio in ogni casa: dalla plastica alle medicine, dalle matite ai computer, dagli elettrodomestici ai cibi; li ha portati in ogni strada nei veicoli con motori a combustione interna; nei cieli e nei mari con i trasporti aerei e marittimi; nello sport, fino all’agricoltura, con i fertilizzanti chimici. Muta di conseguenza l’organizzazione della vita quotidiana nelle regioni più industrializzate. Ma cambia anche la vita dei paesi periferici, poiché apre la possibilità di diffondere l’energia elettrica a regioni che ancora ne sono prive.
In una prospettiva economica globale la rivoluzione energetica muove flussi finanziari straordinari nel mondo, investe le istituzioni, persino l’ordine monetario internazionale, poiché il petrolio è pagato per lo più in dollari ed è stato un bene rifugio nei momenti di incertezza; il secolo del petrolio è il secolo del dollaro, come mostrano i dati del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale1.
Il cambiamento richiede investimenti ingenti, la trasformazione delle infrastrutture e delle reti elettriche; genera costi di adattamento del sistema, rendendo obsoleti impianti non ancora ammortizzati. Cambia le catene globali del valore e altera di conseguenza gli equilibri geopolitici: i pochi paesi nei quali sono concentrate le risorse fossili (petrolio e gas) sono divenuti ricchi costruendo su di esse un potente oligopolio dell’offerta, in rapporti dialettici con i governi occidentali e con le multinazionali del settore. Ora questi paesi rischiano di perdere il ruolo conquistato nel secolo scorso a favore di un piccolo nucleo di altre regioni, diverse: la Cina, il Congo, l’Australia, paesi dotati dei minerali necessari al ciclo di produzione del nuovo modello energetico – litio, cobalto, nichel –, utilizzati per le batterie elettriche e per gli strumenti digitali complementari alla trasformazione energetica.
Tutto ciò non può che attivare una dinamica potente tra le forze che premono e quelle che resistono al cambiamento. Fra questi ultimi, sono i paesi dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries), le multinazionali connesse al petrolio, gli Stati Uniti di Trump, i soggetti che sanno di perdere profitti immensi e peso politico nella nuova traiettoria industriale. Dall’altra parte sono le forze attive verso il nuovo mondo, che dal cambiamento si aspettano vantaggi diretti oppure ne vedono i benefici per la salvaguardia della terra e per l’umanità intera; in prima linea sono i giovani che si battono per la conservazione dell’ambiente e un’equità intergenerazionale, la Chiesa che si muove in difesa dei poveri del pianeta, gli scienziati che valutano i rischi dell’uso incontrollato della tecnica, le imprese innovatrici che vedono aprirsi nuovi orizzonti di crescita.
Gli economisti ragionano in termini di analisi costi-benefici per valutare le alternative (trade-off nel gergo economico), ma in questo caso la percezione si fonda su una scelta mal posta, tra crescita e clima; è una impostazione fuorviante, perché si basa su una concezione statica dell’economia mentre il mondo non si ferma. Ancora una volta intervengono la tecnica, l’innovazione, la curiosità umana che trasformano l’emergenza in opportunità di crescita o, meglio, in una svolta nel binario della crescita fino ad oggi sperimentato.
La grande trasformazione richiede in primo luogo la percezione dei problemi da parte dei governanti e la costruzione di un senso comune condiviso tra le popolazioni, che porti a cambiare le abitudini di vita. Richiede politiche di ampio respiro e regole ben guidate per indirizzare i mercati in una direzione efficace di crescita. E l’industria a innovare. Sono processi che hanno bisogno di tempo e visione, guida e capacità di innovazione. Sembrano lontani nel futuro, appare impossibile che il cambiamento precipiti a breve. Oggi chi sostiene che la trasformazione energetica cambierà le nostre abitudini nell’arco di dieci o vent’anni è considerato un visionario o un sognatore, ma non è così. Per convincersene basta leggere nei dati la rapidità dei mutamenti e analizzare la potenza delle cause, non solo economiche, che premono per la sua attivazione. Si scopre che la trasformazione energetica è già qui e per ragioni insopprimibili la stiamo già vivendo. È indispensabile rendersene conto e governarla, per non esserne travolti.
La risposta si costruisce sull’innovazione della tecnica; le forze che premono per il cambiamento sono maturate nella percezione della vulnerabilità – economica, ambientale e politica – di un sistema basato sul petrolio. In questo capitolo è proposta una breve sintesi dei temi che saranno analizzati poi con maggiore dettaglio, per costruire un quadro d’insieme dei principali tasselli che hanno attivato la dinamica della grande trasformazione energetica. Sono introdotti dopo uno sguardo d’insieme ai numeri, che evidenzia la rapidità del processo di trasformazione avviato.
1.1. Il nuovo modello
Il primo interrogativo riguarda i tempi di effettiva attuazione del modello energetico fondato sulle nuove fonti rinnovabili, con il supporto del gas e delle nuove tecniche digitali. Non c’è accordo sugli scenari previsti: oggi prevale l’idea che il petrolio continuerà a dominare il campo per tutto il XXI secolo; gli interessi che lo sostengono sono considerati troppo forti e radicati perché il suo ruolo possa essere ridimensionato.
Si riconosce, è vero, che i danni prodotti dai combustibili fossili e dai cambiamenti climatici sono già presenti oggi, con il costo umano ed economico di eventi atmosferici estremi disseminati nel pianeta; si concorda sul fatto che di conseguenza il carbone perderà il peso che ha avuto nel secolo scorso. Ma il petrolio ha un’altra storia e la resistenza delle forze della conservazione è considerata prevalente ancora per molto tempo.
Il libro contrasta questa visione. Per farlo, approfondisce le dinamiche in corso, quelle passate, e ne analizza le conseguenze. La storia delle trasformazioni energetiche mostra come il cambiamento si possa consolidare in breve tempo attraverso salti repentini, spesso inaspettati dai più. Quando gli indizi delle forze del cambiamento sono ricomposti in un quadro unitario e le dinamiche cui danno vita sono analizzate, i fondamenti dello scenario inerziale vengono spazzati via ed emerge la forza inarrestabile e vicina della trasformazione: è quello che il libro si propone di mostrare.
Una premessa è alla base di questa tesi. La rivoluzione della tecnica rende possibile il nuovo scenario. Ma è la percezione della vulnerabilità economica e politica di un sistema di crescita incentrato sul petrolio a spingere l’Occidente verso il cambiamento; in primo luogo per limitare la dipendenza dai pochi paesi che ne hanno determinato la quantità disponibile nel mondo, e quindi il prezzo, nel secolo scorso; in secondo luogo per far fronte alla fragilità del pianeta e alla consapevolezza crescente, specie tra i giovani, che il modello di vita che stiamo consumando lascia in eredità alle prossime generazioni un debito di carbonio insostenibile e ingiusto.
Nel prossimo paragrafo sono sintetizzati i dati che evidenziano il passo rapido del cambiamento; sono poi accennati gli elementi di vulnerabilità del sistema incentrato sul petrolio, che saranno approfonditi nei singoli capitoli, e anticipate alcune delle criticità che invece rafforzano la “cecità intenzionale” dei soggetti che negano le dinamiche in atto2.
1.2. Le fonti rinnovabili
Certo, a una prima lettura superficiale dei dati globali sui consumi di energia è difficile credere che si affermi un nuovo modello energetico in tempi brevi: petrolio e carbone insieme nel 2019 coprono ancora più del 60% dei consumi globali di energia, rispettivamente 4,7 e 3,8 trilioni di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) su un totale vicino ai 14 trilioni; il gas raggiunge il 25% (3,3 miliardi di TEP) e le nuove rinnovabili solo il 4% (561 milioni di TEP)3. Le fonti prive di CO2 – idriche, nucleare e nuove rinnovabili – coprono complessivamente solo il 15% dei consumi totali di energia (2,1 trilioni di TEP nel 2018), tra i quali l’idroelettrico il 6,8% (948 milioni di TEP), mentre il nucleare ha una funzione residuale: è al penultimo posto con un consumo di 611 milioni di TEP, pari al 4,5% del consumo globale di energia4.
Ma qualsiasi lettura statica implica errori in economia. È la rapidità del cambiamento l’indicatore della trasformazione che avanza. I numeri assoluti sono signific...