Guida alla lettura della «Gerusalemme liberata» di Tasso
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Guida alla lettura della «Gerusalemme liberata» di Tasso

  1. 208 pagine
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Guida alla lettura della «Gerusalemme liberata» di Tasso

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La struttura, i personaggi, gli episodi più significativi e il valore di passaggio cruciale all'interno della cultura italiana del Rinascimento della Gerusalemme liberata. Dagli esordi carichi di speranze del Tasso dei primi anni Sessanta del Cinquecento all'ostinazione nel riscrivere il poema durante gli ultimi anni di vita, fino alla stampa della Gerusalemme conquistata, attraverso tutte le fasi della composizione dell'opera. Passo dopo passo, sono illustrate le scelte narrative del poema in venti canti della conquista di Gerusalemme e analizzati i personaggi principali: da Goffredo a Rinaldo, dagli eroi pagani alle figure femminili. Con uno sguardo d'insieme, gli ultimi capitoli sono dedicati ad alcuni temi decisivi e agli elementi espressivi che fanno della Gerusalemme liberata il capolavoro della letteratura italiana del Cinquecento.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858112618

1. La Gerusalemme e Tasso

Gerusalemme, 1099

Deus vult!: Dio lo vuole, gridavano le folle raccolte il 27 novembre 1095 a Clermont, in Francia, quando papa Urbano II (al secolo Ottone di Lagery, eletto nel 1088) pronunciò le parole che di fatto bandivano la Crociata per la riconquista di Gerusalemme. L’annuncio, che invitava in primo luogo alla difesa dell’impero bizantino di Alessio Comneno (1056-1118), allora minacciato dai turchi, giunse in qualche misura a sorpresa, ma incontrò perfettamente aspirazioni vivissime in quegli anni conclusivi dell’XI secolo.
Nel giro di pochi mesi, schiere popolari accese da una speranza di salvezza spirituale (combattere per quella santa causa, ed eventualmente morire in battaglia, garantiva la remissione delle colpe), ma anche gruppi di nobili mossi da una ricerca di legittimazione o di consolidamento molto più terreni, andarono a costituire un insieme di decine di migliaia di persone che si mise in cammino con l’obiettivo di riprendere la città santa. Dopo il fallimento della prima ondata (la cosiddetta “crociata dei pezzenti”, guidata da Pietro l’Eremita), la campagna militare fu lunga e complessa, segnata anche dalle molte rivalità interne; e tuttavia, nei primi giorni del giugno 1099, le truppe guidate da Raimondo di Tolosa, da Tancredi di Altavilla e da Goffredo di Buglione giunsero di fronte a Gerusalemme.
Prima dell’attacco, i crociati si mossero intorno alla città con una processione di preghiera solenne e silenziosa, mentre dalle mura gli assediati levavano grida di scherno. Nella notte tra il 13 e il 14 luglio venne sferrato l’attacco decisivo, che vide notevoli prove di eroismo da parte del giovane Tancredi. Aperto l’ingresso alla città, si diede il via al massacro. Pochissimi ebbero salva la vita, dietro pagamento di un riscatto, gli altri furono tutti sterminati. Cronisti e testimoni raccontarono di pozze di sangue e alti cumuli di cadaveri, per una strage che rimase incisa profondamente nella storia e nella memoria della città santa. “Non dava solamente travaglio il veder i corpi lacerati spiccati da i corpi, e le teste spiccate da i busti, ma era una cosa spaventevole ancora veder i vincitori tutti sanguinosi, dalle piante de i piedi fin alla testa, che mettevano orrore a tutti quelli che rincontravano” (Guglielmo di Tiro, Historia, VIII 20). La conquista portò alla creazione del regno di Gerusalemme: al trono, per i pochi mesi che gli restavano da vivere, venne eletto Goffredo di Buglione (1060-1100).

Box 1. Bernardo Tasso

Nato nel 1493 a Bergamo, Bernardo percorse con varia fortuna le diverse fasi della carriera del letterato cortigiano, passando dal servizio presso la famiglia Rangone a Modena, a quello presso Renata di Francia, duchessa di Ferrara, fino al lungo periodo trascorso sotto Ferrante Sanseverino, principe di Salerno. Del 1536 sono le nozze con Porzia de’ Rossi; del 1543 il passaggio a Sorrento, dove l’anno dopo sarebbe nato Torquato. Le disgrazie politiche del Sanseverino, oppostosi al viceré di Napoli e poi costretto all’esilio in Francia, segnarono una cesura decisiva nella biografia di Bernardo, che fu costretto prima a un soggiorno in Francia, poi a una serie di passaggi tra Roma (dal 1554), Urbino, dove ottenne la protezione di Guidubaldo II della Rovere, e infine Venezia, dove incrociò sul finire degli anni ’50 l’importante stagione dell’Accademia della Fama.
Proprio a Venezia, nel 1560, Bernardo raccolse e diede alle stampe una sezione significativa delle sue opere: anzi tutto le Rime, poi una sezione delle sue Lettere e infine il poema cui lavorava da quasi un ventennio, l’Amadigi, che riprendeva la materia dell’Amadís de Gaula, romanzo cavalleresco dalla larga fortuna europea. Ormai settantenne, trascorse al servizio dei Gonzaga gli ultimi anni di vita, in parte a Mantova, dove venne spesso raggiunto dalle visite di Torquato, in parte nel governatorato di Ostiglia (sempre vicino Mantova). Morì nel 1569.
Tra le sue opere, da un punto di vista complessivo è di grande rilievo l’esperienza delle Rime, uno dei percorsi lirici più importanti del Cinquecento, al di fuori degli esiti comuni del petrarchismo. Per quanto qui importa, però, è l’Amadigi a rappresentare un precedente essenziale. In primo luogo, per la necessità incontrata da Bernardo (e imposta da opportunità encomiastiche) di spostare l’impostazione del poema dall’epica tradizionale alla libertà del romanzo. Poi, e soprattutto, per la scelta di sottoporre il poema a una verifica da parte di una selezionata compagnia di letterati: quella via di una “revisione preventiva” che Torquato avrebbe deciso di imitare alla metà degli anni ’70, non appena terminata la prima stesura della Gerusalemme.

1.1. La giovinezza tassiana nell’età di Lepanto

In Italia, alla metà del Cinquecento, questa pagina di storia era ormai remota. Non solo perché Gerusalemme era tornata da secoli in mani pagane (il regno era caduto nel 1187), ma anche perché il pericolo turco si era fatto più pressante negli ultimi decenni. Dal 1453, anno della caduta di Bisanzio, e poi lungo tutto il primo Cinquecento, la minaccia che arrivava da Oriente era stata una costante per la regione del Mediterraneo, e solo la battaglia di Lepanto avrebbe segnato una svolta. Quella vittoria – ottenuta il 7 ottobre 1571 dalla lega guidata da don Giovanni d’Austria – determinò infatti una rotazione decisiva degli equilibri, facendo tramontare per un lungo periodo l’ipotesi di una espansione turca in Europa.
Di questa minaccia, un riflesso aveva lambito direttamente gli anni della fanciullezza di Tasso: il quattordicenne Torquato fu sicuramente colpito da un episodio del 1558, quando un’incursione turca a Sorrento mise in pericolo la sorella Cornelia, rimasta nel regno di Napoli mentre lui e il padre si trovavano a Urbino. Torquato era nato a Sorrento nel 1544, da Bernardo, di famiglia bergamasca, e da Porzia de’ Rossi, di nobile famiglia toscana. Dopo pochi anni, per il difficile percorso del padre (vd. Box 1), la famiglia si era dovuta dividere: Porzia (che sarebbe morta nel 1556) e Cornelia erano rimaste a Sorrento, mentre Bernardo era passato prima in Francia, poi a Roma. Torquato fu inizialmente sistemato a Bergamo, presso il ramo paterno della famiglia, poi seguì il padre negli spostamenti tra Roma, Venezia e appunto Urbino.
Già in quegli anni, ancora prima di avviare gli studi universitari (condotti nel 1560-1562 a Padova, nel 1562-1564 a Bologna), il giovane – allora conosciuto come “il Tassino” per distinguerlo da Bernardo, già letterato celebre – individuò appunto nella Crociata la materia migliore per il proprio esordio poetico. Nacque così il Gierusalemme, un abbozzo di 116 ottave avviato da un autore appena sedicenne ma già segnato da un vivissimo entusiasmo, da una freschezza poetica che animava e faceva vibrante il cammino di avvicinamento dei crociati al Santo Sepolcro.
Con un passaggio davvero simbolico, le ottave del Gierusalemme, tra i primi versi di Torquato giunti fino a noi, appartengono dunque a quello stesso registro epico che Tasso avrebbe praticato per più di trent’anni. E decisivo fu, in questo senso, il precedente paterno. Bernardo, infatti, era da anni impegnato nel tentativo di portare alla stampa l’Amadigi, vastissimo poema di 100 canti, che aveva subito via via aggiustamenti significativi, ed era passato – per esplicita richiesta di Guidubaldo II della Rovere, duca d’Urbino – da un’impostazione epica tradizionale a una narrazione da romanzo, più prossima al modello fortunato dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto.
Torquato venne direttamente coinvolto nella revisione e nella stampa dell’Amadigi, in concorso con letterati di primo piano: da Dionigi Atanagi a Girolamo Ruscelli, da Domenico Venier a Luca Contile, da Francesco Patrizi a Danese Cataneo. Nell’ottobre 1559 venne poi inviato a Padova per cogliere direttamente le reazioni del celebre filosofo Sperone Speroni, cui Bernardo aveva sottoposto una sezione del poema. Le ottave del Gierusalemme, avendo alle spalle questa esperienza, rappresentano un’opzione decisa per l’impostazione epica e, in controtendenza rispetto al percorso del padre, rivelano la fiera ambizione che muoveva il Tassino. Questa l’ottava di esordio, con la proposta della materia (Gierusalemme, 1):
L’arme pietose io canto, e l’alta impresa
di Gotifredo e de’ cristiani eroi;
da cui Gierusalem fu vinta e presa
e n’ebbe impero illustre origin poi.
Tu Re del Ciel, come al tuo foco accesa
la mente fu di quei fedeli tuoi,
tal me n’accendi; e se tua santa luce
fu lor nell’opre, a me nel dir sia duce.
Un’ottava nella quale spicca la forma “arme pietose” (cioè armi al servizio della fede, funzionali a una missione sacra), che sarebbe rimasta anche nelle redazioni successive della Liberata, ma anche l’invocazione rivolta direttamente a Dio (v. 5), perché infiammasse e guidasse l’animo del poeta come aveva fatto con quello dei crociati (vv. 7-8). Significativo infine l’equilibrio descritto al v. 2, con il comandante e gli altri “cristiani eroi” parificati e ugualmente decisivi nella conquista della città santa. Su questo equilibrio – sulla distribuzione dei ruoli e degli onori entro il campo crociato – Tasso avrebbe a lungo riflettuto al momento di tornare sul grande progetto epico legato alla conquista di Gerusalemme.

1.2. Tappe di un apprendistato

L’ambizione dell’epica, tuttavia, non era di per sé sufficiente a sostenere le complesse questioni che la stesura di un poema regolare, rispettoso cioè dei precetti della Poetica di Aristotele, portava con sé. Potrà così spiegarsi la sospensione del Gierusalemme proprio in corrispondenza con l’arrivo dell’esercito crociato presso la città santa, quando cioè la macchina della narrazione doveva effettivamente mettersi in moto. Nello stesso senso va interpretata la doppia pratica avviata da Tasso nello scorcio iniziale degli anni ’60: la composizione del Rinaldo e quella dei Discorsi dell’arte poetica.
Dopo una stesura che occorre immaginare assai rapida, condotta tra il 1560 e il 1561, Tasso pubblicava nel 1562 a Venezia il Rinaldo, un poema che si ricollegava al patrimonio di storie cavalleresche già trattate dal Boiardo e soprattutto dall’Ariosto. Questo l’avvio dell’ope-ra, che chiarisce immediatamente la differenza di registro e di orizzonti rispetto all’abbozzo del Gierusalemme:
Canto i felici affanni e i primi ardori
che giovanetto ancor soffrì Rinaldo,
e come ’l trasse in perigliosi errori
desir di gloria ed amoroso caldo,
allor che, vinti dal gran Carlo, i Mori
mostraro il cor più che le forze saldo,
e Troiano, Agolante, e ’l fiero Almonte
restar pugnando uccisi in Aspramonte.
I “felici affanni e i primi ardori” (v. 1), il desiderio di gloria e la passione amorosa (v. 4) andavano a sostituire la sacra “impresa” della liberazione del Santo Sepolcro del Gierusalemme, e la materia narrata ritornava al patrimonio della tradizione carolingia, alle gesta dei paladini di Carlo (v. 5). L’opera era strutturata in dodici canti di narrazione fluida e divertita, a riprova della consistente vena poetica del Tassino. E in diversi luoghi si poneva in diretto confronto con la tradizione cavalleresca, giusto negli anni in cui il precedente ariostesco era sottoposto a un’insistita riflessione e nei quali si svolgeva quella che è stata definita da Daniel Javitch la “canonizzazione” dell’Orlando furioso. L’operazione del Tassino era tuttavia più ricca e complessa di una semplice imitazione. Da una parte andava a riprendere le vicende del giovane Rinaldo di Montalbano, cugino di Orlando: un patrimonio dunque antecedente rispetto a quello narrato nell’Inamoramento de Orlando di Boiardo e poi nell’Orlando furioso dell’Ariosto, con largo spazio dedicato a una dimensione di avventure e imprese individuali. D’altra parte, a differenza di quei modelli, osservava puntualmente il precetto dell’unità narrativa, non abbandonando quasi mai il percorso dell’eroe, e applicandovi una ricerca stilistica consapevole e ambiziosa (vd. al riguardo il capitolo 2).
Quasi in parallelo con la stampa del Rinaldo, che offriva una discesa concreta sul piano dei versi e dei meccanismi del racconto, e dunque valeva come passaggio essenziale per il proprio apprendistato, Tasso si impegnò (probabilmente a partire dal 1562, quindi all’altezza dei suoi diciotto anni) nella composizione dei Discorsi dell’arte poetica. L’opera ci è giunta in tre dei quattro libri progettati: Tasso vi discuteva alcuni dei nodi teorici che si presentavano per la realizzazione di un poema epico che fosse “regolare” in termini aristotelici. Nel primo libro si trattava la scelta della materia conveniente a un poema, e si sosteneva anzi tutto la necessità di adottare una materia storica, tale da poter ottenere la verosimiglianza necessaria per conseguire la partecipazione emotiva del lettore.
Per questo, dovendo il poeta con la sembianza della verità ingannare i lettori, e non solo persuader loro che le cose da lui trattate sian vere, ma sottoporle in guisa a i lor sensi che credano non di leggerle, ma di esser presenti e di vederle e di udirle, è necessitato di guadagnarsi nell’animo loro questa opinion di verità; il che facilmente con l’auttorità della istoria li verrà fatto (Discorsi dell’arte poetica, p. 5).
Nella stessa ottica di una materia credibile, occorreva poi che la storia fosse pertinente alla religione cristiana e tale che il lettore comune ne avesse almeno un’iniziale conoscenza, come accade per i fatti “illustri”. Nel secondo libro dei Discorsi Tasso illustrava il trattamento narrativo a cui la materia storica doveva essere sottoposta, identificando come requisiti essenziali che la “favola” fosse “intera”, di grandezza adeguata e soprattutto “una”, avesse cioè il connotato chiave dell’uni...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. La Gerusalemme e Tasso
  3. 2. La composizione della Gerusalemme liberata
  4. 3. La struttura della Gerusalemme liberata
  5. 4. Figure e personaggi
  6. 5. I temi e le idee
  7. 6. La lingua e lo stile
  8. 7. Letture del testo
  9. 8. La “favola” della Gerusalemme liberata