Contagio e libertà
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Quali sfide pone la pandemia alla democrazia? Quale conseguenze avrà sul rapporto tra cittadini e Stato, tra libertà e autorità? Quali concezioni della vita umana, del suo valore e della sua dignità si sono diffuse in questo periodo?

Di fronte ai rischi di diffusione del Covid 19 il mondo ha reagito in maniera diversa: alcuni paesi come il Brasile hanno lasciato agli individui libertà assoluta, come fossimo naufraghi su un'isola deserta come Robinson Crusoe, altri - come la Cina - hanno al contrario decretato l'assoluta dipendenza dell'individuo da regole stringenti imposte dall'autorità centrale. In Italia si è seguita una strada intermedia, che comportava l'uso della paura e delle sanzioni ma anche l'appello al senso di responsabilità dei cittadini attraverso ad esempio l'autocertificazione. Si è così applicata una concezione della libertà come vincolo sociale - propria della tradizione democratica - diversa da quella di libertà come non interferenza (degli altri individui o dello Stato) - propria della tradizione libertaria. Una strada rischiosa, perché in ogni momento si può perdere l'equilibrio tra il desiderio di sicurezza e l'esigenza di libertà: se il primo prevale comprimendo la seconda, si rischia di cedere all'autoritarismo.

L'unico antidoto a questo rischio è l'esercizio della cittadinanza critica e attiva, non solo nell'ambito della propria nazione.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788858142646
Argomento
Economics

Parte prima
Robinson Crusoe, il despota
e la libertà civile

a cura di Nadia Urbinati

1. Comunicazione e contagio

E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s’avventava a’ sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate. E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l’usare cogli infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator transportare[1].
A secoli di distanza dalla sua stesura, il Decameron fotografa con precisione la condizione che dall’inizio del 2020 accomuna molti degli abitanti del pianeta. «Vicinanza» («il parlare» e «il toccare») e «contagio» stanno in relazione causale, rendono fragile l’equilibrio tra «comunicazione» e «immunità» e creano un «comune» destino di rischio (e paura) di «infermità» e «morte». La pandemia da Covid-19 ha riacceso l’attenzione verso problemi che dalla sconfitta dei totalitarismi sembravano risolti. In particolare, in Italia ha promosso una lettura delle decisioni sul contenimento sociale che ha fatto perno sulle implicazioni patologiche per la libertà che possono avere la paura del contagio e la volontà di raggiungere una immunità totale dai rischi di «infermità» e «morte», con risvolti a tratti schizofrenici sulla percezione dei rapporti sociali, piegati da un lato alla volontà di espungere radicalmente rischio e conflitto e dall’altro al desiderio di affermare una libertà individuale disancorata dalla responsabilità. Si tratta di una tensione che fa parte della democrazia stessa la quale, Elmer E. Schattschneider scrisse nel 1960, prova quanto il conflitto politico sia positivamente «contagioso» qualora inneschi tra le parti una dialettica di permanente aggiustamento della «distanza» tra interessi privati e interesse pubblico[2].
Calzante è l’analogia con il paradigma machiavelliano secondo il quale il dinamismo della libertà è generato dal conflitto tra le parti, cosicché il rischio di disarticolazione della comunità crea le condizioni per nuove riconfigurazioni di potere (l’immaginario del conflitto violento modera e orienta le relazioni politiche). Si potrebbe dire che comunità e immunità non sono mai in una lotta a somma zero. Dal momento che la comunità non è un’unione armoniosa di soggetti identici, voler imporre un ordine assoluto che la immunizzi totalmente è tanto inumano quanto utopistico e, alla fine, fallimentare.
Il limite tra comunità e immunità, e quindi il bilanciamento tra paura e reazione alla paura, ha negli ordini repubblicani – oggi diremmo democratici – la sua più riuscita realizzazione. Tali ordini sono fondati sull’assunto che il rischio sia ciò che anima una vita pubblica libera: le cosiddette «regole del gioco» sono possibili perché il rischio non è soppresso ma bene ordinato così da infondere dinamismo all’intero sistema. Mettere giusti argini al corso di un fiume, sosteneva Machiavelli, serve a contenere i rischi di straripamento e a sfruttare le potenzialità benefiche delle acque. Al contrario, una politica di totale immunizzazione sarebbe come l’autosoppressione della società e della libertà.
Su questa logica sono fondate le costituzioni scritte. Documenti di libertà politica e civile, esse sono state redatte prevedendo il conflitto e il dissenso (e sagge nella misura in cui lo sanno regolare e sfruttare al meglio), come meccanismi congegnati allo scopo di regolare l’istituzionalizzazione di una società che è sempre esposta alla tentazione di radicalizzare la strategia della distanza per reagire alla paura: un impulso che, portato alle estreme conseguenze, comporterebbe secedere dalla comunità, come si legge nel Decameron.
È possibile distinguere due forme radicali, identiche e opposte, di immunizzazione: una che può coincidere con l’abolizione della libertà, e una che può coincidere con l’interruzione dei vincoli civili tra i cittadini. Alla prima appartiene il dispotismo, alla seconda un individualismo atomistico. A mettere a rischio il vivere civile può essere dunque sia una libertà assoluta sia un’autorità assoluta. Nell’isola disabitata, Robinson Crusoe è libero dal contagio e dalla società insieme; quella libertà è anche l’obiettivo che si prefigge il regime dispotico, che per sradicare la paura della paura impone l’isolamento, non per espulsione ma per assorbimento dell’individuo nella popolazione.
Nel corso delle dispute che hanno accompagnato l’adozione da parte dei governi democratici delle misure di contenimento della pandemia, il paradigma atomistico ha ispirato quindi due desiderata uguali e contrari: a) il rifiuto robinsoniano di rispondere al rischio per via di istituzionalizzazione nel nome del principio «ciascuno faccia come vuole e goda dell’assoluta libertà di scelta di fronte al rischio» (una forma di secessione dalla responsabilità verso gli altri); e b) la resa al rischio mediante la totale istituzionalizzazione in modo da rispondere alla paura con l’isolamento all’interno della società, affidandosi a uno Stato che per proteggere la società si prende la libertà di «fare come vuole». Brasile e Cina hanno esemplificato questi opposti paradigmi anti-sociali e atomistici: un totale individualismo (anarco-liberismo) nel primo caso e una totale istituzionalizzazione (autoritarismo e dispotismo) nel secondo.
Tenersi fuori, stare isolati dentro: benché simili nella fenomenologia – l’isolamento in entrambi i casi – si tratta tuttavia di due strade diverse nelle implicazioni e nella logica che le guida. La prima ha come obiettivo l’affermazione assoluta della libertà del singolo, senza compromessi. La seconda ha come obiettivo la protezione totale della collettività, senza compromessi.
Ancora diverso da questi due identici/opposti è il paradigma che modella il governo della distanza: quello della libertà civile. In questo caso, il rischio non viene espunto e la libertà non significa secessione: cade, infine, l’utopia della sicurezza assoluta, della totale immunizzazione. Intuitivamente, sembrerebbe più difficile da praticare della strada anarco-liberista e di quella autoritaria, ma così non è. Infatti, quando esercitata in società, la libertà deve poter contare sul rispetto delle norme di contenimento da parte di tutti per essere efficace: per essere al sicuro, chi «fa come vuole» deve presumere che altri non facciano come lui, ché se tutti fossero free rider o anarco-liberisti nessuno potrebbe essere certo di riuscire a proteggere se stesso. All’opposto, se ci affidassimo alla totale espulsione del rischio sospendendo la nostra responsabilità nello Stato probabilmente ci salveremmo, ma quella salvata sarebbe la vita biologica soltanto, muta e silenziosa.
Se la pandemia da Covid-19 ha lasciato qualche cosa di buono, questo è senz’altro una rinnovata riflessione sulla libertà e i suoi limiti e sulle forme di autorità.

2. Isolamento e immunizzazione

Alla soluzione Robinson Crusoe e a quella uguale/opposta delle celle abitative nei quartieri chiusi dal filo spinato, le democrazie costituzionali hanno contrapposto la bussola dello Stato di diritto, che è improntata alla logica di una libertà individuale non assoluta e di un potere del sociale non assoluto. Il pluralismo e il conflitto sono le due strutture portanti della costituzione della libertà, la quale ha metabolizzato la lezione della paura del contagio ed evitato la patologia della immunizzazione totale; infatti, se il timore del rischio del contagio ha la meglio e sopraffà il potere creativo degli attori sociali, che è la leva per la risoluzione funzionale dei conflitti o dei dissensi, gli esiti possono essere fortemente repressivi, e anche alienanti e isolazionisti.
Un esempio storico di immunizzazione totale a noi ben noto è il fascismo. Il fascismo si fece regime quando riuscì a fare della paura del contagio da conflitto la leva emotiva per giustificare una profilassi – contro la paura dei «rossi», la paura del «fare come in Russia» – ai fini di ottenere una immunizzazione totale e, come medicamento, l’eliminazione violenta dell’agente patogeno: non semplicemente l’ideologia socialista e comunista, ma la libertà politica e civile, con lo scopo di bloccare alla fonte la formazione del pluralismo politico e dell’opposizione. Ecco che la logica dell’immunità totale diventa patologica e giunge a uccidere il corpo che dice ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima. Robinson Crusoe, il despota e la libertà civile
  3. Parte seconda. Il ’68 rovesciato. Vita e potere nella pandemia