Un paese senza eroi
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Un paese senza eroi

L'Italia da Jacopo Ortis a Montalbano

  1. 298 pagine
  2. Italian
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Un paese senza eroi

L'Italia da Jacopo Ortis a Montalbano

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Gli eroi dei romanzi sono spesso diventati eroi nazionali, col compito di rappresentare la comunità tutta all'insegna di un leggendario passato unificante, com'è accaduto a Robin Hood o a d'Artagnan. In Italia, invece, i personaggi letterari si sono sottratti a ogni tentativo di uso iconico e mitizzazione popolare.Eppure tutta la letteratura italiana tra Otto e Novecento è attraversata dalla riflessione sull'eroe e l'eroismo in una prospettiva nazionale. Le candidature non sono certo mancate: da Jacopo Ortis ed Ettore Fieramosca fino al partigiano Johnny e al commissario Montalbano, passando per Pinocchio, Gian Burrasca e Metello. Persino Mattia Pascal e Zeno Cosini. Nessuno di loro, però, è approdato allo statuto di eroe patriottico: perché? Perché l'Italia ha una debole storia nazionale o perché i protagonisti letterari del nostro paese hanno saputo resistere a ogni tentazione simbolica? Più realistici e moderni di quello che si pensa di solito, i personaggi italiani si riveleranno dotati di anticorpi che li hanno preservati da ogni forma di sacralizzazione.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858110416

1. Il romanzo dell’eroe nazionale

I worry because everyone seems to look up to me and it’s making me a little uncomfortable. I can try but I can’t solve every problem. I don’t know if I can live up to this... myth they want me to be.
[Sono preoccupato perché tutti sembrano aspettarsi qualcosa da me e questo mi rende nervoso. Posso provarci ma non posso risolvere tutti i problemi. Non so se posso essere all’altezza di questo... mito che tutti mi appiccicano addosso.]
Superman

1. Eroi da romanzo

Nel 1795 l’antiquario inglese Joseph Ritson pubblicava in due volumi una raccolta di tutti i testi popolari su Robin Hood8. L’operazione aveva un significato simbolico decisivo in un’età di fondazione delle nazioni e dei nazionalismi, perché il nesso tra immaginario popolare e nascita della nazione favoriva la costruzione di un eroe collettivo di tipo letterario, radicato in una storia ormai distanziata dalla leggenda, capace di interpretare la collettività per il suo carattere mitico, ideale e simbolico, protagonista di canzoni e ballate di facile memorizzazione e larga diffusione. L’eroe nazionale nasceva all’insegna della finzione anziché della storia o della realtà, perché solo attraverso la letteratura, in una calibrata fusione di factum e fictum, eventi e immaginazione, i personaggi storici possono assurgere allo statuto di eroi nazionali. Solo la letteratura li edifica e li legittima: da un lato, è nella letteratura che essi traggono la loro ispirazione eroica; dall’altro, hanno bisogno di un racconto che li presenti come eroi. «Il y à du héros de roman dans tout héros véritable», c’è un eroe romanzesco in ogni vero eroe, diceva a commento della vita di Santorre di Santarosa uno dei suoi più grandi ammiratori d’oltralpe, Victor Cousin, sottolineando la contraddizione tra vero e romanzesco, come se l’autentico carattere eroico dell’uomo si potesse attingere solo nella sua dimensione letteraria: tanto eroe, insomma, da risultare romanzesco, ancorché vero9. «Byroniano romanzo», diceva invece della vita di Garibaldi uno dei suoi primi, più autorevoli, ma anche più agiografici, biografi, Giuseppe Guerzoni, come a dire che senza eroe non c’è romanzo, ma anche che senza romanzo non c’è eroe: ispirato dalla letteratura, Garibaldi finisce con l’appartenervi, esattamente come Santarosa10. Così scriveva, poi, un anonimo garibaldino al termine della spedizione dei Mille: «Ci hanno tacciato di essere facinorosi, pazzi, gente che non ha nulla da perdere, adesso che tutto è riuscito battono le mani e plaudono ai ‘giovani eroi’. In verità abbiam vissuto fatti che sembreranno usciti dalla fantasia di un romanziere»11. «Romanzo storico» è infine la definizione che Sigmund Freud dava nel 1934 al suo saggio sull’eroe nazionale ebraico, Mosè, implicando un’equivalenza tra nazione e suo racconto12.
Venticinque anni prima, Freud aveva contribuito al libro di Otto Rank sul mito della nascita dell’eroe, che si apriva con una riflessione sul carattere letterario dell’eroe nazionale. Lo citiamo dalla prima traduzione italiana, di Marco Levi Bianchini, che è del 1921, per restituire un’atmosfera storica e culturale, col relativo linguaggio:
Quasi tutte le civiltà storiche, quali quelle dei Babilonesi, Egizi, Ebrei, Indiani, Irani, Persiani, Greci, Romani, Germani ed altre, hanno, fin dai primordi della loro evoluzione, esaltati nei poemi e celebrati nelle leggende i loro principi e re favolosi, i fondatori delle religioni, delle dinastie, degli imperi, delle città: in una parola i loro eroi nazionali. Ma in particolar modo essi hanno circondato di fantasiose narrazioni la nascita e la giovinezza di questi eroi; spesso anzi con tratti così comuni, che questa identità di crea­zione narrativa, presso popoli disparati, lontani, del tutto indipendenti l’uno dall’altro, fu già rilevata da lungo tempo e discussa dagli studiosi13.
La letterarietà dell’eroe nazionale serve a tre scopi principali: a) fornire una narrazione, una storia comune in cui ci si possa riconoscere, congiungendo passato e presente in un’appartenenza complessiva; b) garantire una distanza mitica, che consenta un’identificazione proiettiva senza i distinguo necessari in caso di ricostruzione storica; e c) sviluppare un orizzonte emotivo dell’identificazione collettiva attraverso la narrazione.
Che l’eroe nazionale sia una finzione è insomma acquisizione implicita ma ripetuta della storiografia e della filosofia tra Otto e Novecento. La consapevolezza del carattere letterario dell’eroe nazionale emerge con chiarezza all’inizio del XX secolo grazie a un libro che sarebbe presto diventato un classico di riferimento per la storiografia sulle nazioni e i loro eroi: Le culte des héros et ses conditions sociales di Stefan Czarnowski, pubblicato a Parigi da Félix Alcan nel 1919. Il libro era uno studio dei modi con cui san Patrizio era divenuto l’eroe nazionale irlandese, ma si proponeva fin dall’inizio come un’indagine più ambiziosa sui rapporti tra le istituzioni e la società, dal momento che l’eroe nazionale è una delle istituzioni a più alta valenza simbolica e ordinatrice nella società moderna. Nella sua prefazione Henri Hubert, vicedirettore della École Pratique des Haute Études di Parigi, osservava che l’eroe non può che essere studiato come personaggio letterario:
L’eroe è una persona, o forse piuttosto un carattere. La sua personalità è a volte davvero pallida, ma tende verso delle forme colorate e definite. La personalità degli eroi è definita da certe azioni, che vennero compiute una volta; esse sono la loro storia; questa storia è una leggenda; questa leggenda determina il loro ruolo. L’eroe è una formazione mitologica14.
La realtà storica dell’eroe non si riduce certo alle gesta o alle imprese che lo hanno reso eroico. La sua funzione simbolica e rappresentativa dipende però esclusivamente da quelle gesta e imprese: proprio perciò la sua personalità ci resterà fondamentalmente ignota, ma ci apparirà come straordinariamente chiara e luminosa, passando dal piano dei fatti a quello del mito. Perché l’eroe funzioni nell’immaginario collettivo va reso inconoscibile sul piano di realtà e perfettamente evidente su quello della leggenda. Unendo la nazione, che fornisce il quadro dell’appartenenza comune, e la letteratura, che dà un’aura di sacralità, una leggenda siffatta porta alla costruzione di un modello eroico collettivo, che conferma le mitologie tradizionali e le traspone su un piano religioso. In questo capitolo andremo perciò alla ricerca delle mitologie eroiche dentro le quali s’iscrive la fondazione degli eroi nazionali tra Otto e Novecento.

2. «I want a hero»: dall’antieroe byroniano agli eroi dell’ordine

«I want a hero», voglio un eroe, proclamava Byron in apertura del suo Don Juan, in polemica contro un’età che di eroi ne creava uno al giorno, salvo riconoscere, alla chiusura del giornale, che non era lui quello giusto:
I want a hero: an uncommon want, / When every year and month sends forth a new one, / Till, after cloying the gazettes with cant, / The age discovers he is not the true one. –
[Voglio un eroe: un desiderio insolito, / Quando ogni anno e mese ne crea uno nuovo, / Finché, dopo aver riempito i notiziari di falsità, / Il tempo svela che egli non è quello vero]
Nasceva l’antieroe romantico, che si colloca al di fuori e in opposizione rispetto a una società che valorizzava la quantità rispetto alla qualità e il successo rispetto alla passione15. Se l’eroe byroniano reagiva individualisticamente a quella che Heinrich Heine vent’anni dopo considerava la crisi irreversibile dello spirito eroico occidentale a seguito della Rivoluzione francese, che aveva imposto il trionfo di meschini interessi materiali sulla nobiltà d’animo e gli slanci ideali, sicché «non passerà molto tempo che ogni sentimento e idea eroica diverranno ridicoli in Francia, se proprio non spariranno del tutto»16, i due grandi libri fondativi delle mitologie eroiche nel corso del XIX secolo, On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in History dello scozzese Thomas Carlyle (1841) e Representative Men dell’americano Ralph Waldo Emerson (1850) erano espressione di una ricerca di leadership pubblica, che affidava all’eroe il compito di rappresentare e guidare le masse.
Frutto di un rapporto diretto col divino, gli eroi di Carlyle ed Emerson «furono i modelli, i plasmatori, in senso lato i creatori di tutto ciò che le masse si proposero di compiere e di conseguire»17 e sono coloro che ci rendono «dolce e tollerabile» la vita grazie al piacere di stare accanto a loro18. La loro funzione non è più quella di opporsi agli eroi convenzionali e meschini di una società che non sa riconoscere i veri valori, isolandosi e combattendo, ma quella di assumere su di sé la missione di avvicinare l’umanità intera a Dio, perché esiste, scriveva Carlyle, una «relazione divina [...] che unisce il grande agli altri uomini». Questi eroi religiosi e politici al tempo stesso punteranno a restaurare l’ordine in una società sconvolta dalla molteplicità delle opinioni individuali e dalla lotta degli interessi privati, perché, scriveva sempre Carlyle verso la fine della sesta e ultima delle conferenze di cui si compone il suo libro, «ogni grande, ogni uomo sincero è per sua natura un figlio dell’ordine e non del disordine»19.
Di fronte a chi, come l’italiano Giuseppe Mazzini, voleva che la storia fosse non «la biografia dei più rari e potenti fra gli intelletti», ma «la storia della religione progressiva dell’Umanità e della traduzione di quella in simboli o atti visibili»20,...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. Il romanzo dell’eroe nazionale
  3. 2. Gli eroi degli altri, ovvero come si costruisce un eroe nazionale
  4. 3. Jacopo Ortis, l’antieroe
  5. 4. La costruzione dell’eroe risorgimentale, da Ettore Fieramosca a don Abbondio
  6. 5. «Un eroe zoppo vale assai meno d’un mascalzone ben piantato»
  7. 6. Vinti e superuomini
  8. 7. Piccoli eroi crescono: Pinocchio, Enrico e Gian Burrasca
  9. 8. Dal «quasi eroe» all’inetto: Mattia Pascal e Zeno Cosini
  10. 9. Dall’eroe resistenziale all’uomo del popolo: Pin, il partigiano Johnny e Metello
  11. 10. Il superuomo di massa: dal Gattopardo al commissario Montalbano
  12. Epilogo: abbiamo bisogno di eroi?
  13. Ringraziamenti