Celeste e infernale
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Celeste e infernale

Beethoven e la musica del Congresso di Vienna

  1. 160 pagine
  2. Italian
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Celeste e infernale

Beethoven e la musica del Congresso di Vienna

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«Il concerto del signor Beethoven ha avuto luogo e mi ha messo in un tale subbuglio che fatico a dare ordine ai miei sentimenti. Che cosa vuole Beethoven? Non è ancora del tutto chiaro per me, ma è chiaro che vuole qualcosa di completamente nuovo, che vuole una rivoluzione copernicana, che vuole contare anche per le sue idee, non solo per la sua musica. Si possono trasmettere idee attraverso la musica strumentale, senza le parole?»È il 1814, siamo a Vienna, è in corso il Congresso che ridisegnerà la carta dell'Europa. Un giovane, arrivato nella capitale, scrive a suo zio del clima politico e artistico viennese. Attraverso le sue lettere scopriremo la musica di Beethoven e le sue sinfonie dalla dirompente carica innovatrice. Da qui in poi la musica non sarà più affare di pochi aristocratici. Il racconto di un momento di svolta: della storia, della storia della musica e del suo pubblico.

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Informazioni

Lettere da Vienna
1815

Carissimo Zio,
la vigilia di Natale andai a Lichtenthal per fare gli auguri a Schubert. Il suo umore non era migliorato dall’ultima volta che lo avevo visto. Sempre malinconico, ha accantonato la Messa in sol maggiore e ha cominciato a comporre una sinfonia, la sua seconda. Mi fece ascoltare il primo movimento. La Sinfonia è in si bemolle maggiore come la Quarta di Beethoven e, come quella, comincia con una introduzione in tempo lento, ma assai breve. Musica fresca, gradevole, brillante, piena di cinguettii di uccelli, che sembra però una sinfonia d’opera e che secondo me risente dell’insegnamento di un operista, italiano, come Salieri.
Evitai di far partecipe Franz di questa mia impressione (a che sarebbe servito?), ma sono convinto del fatto che una sinfonia come questa, se fosse eseguita, passerebbe inosservata di fronte alle poderose sinfonie del signor Beethoven. Vero è che Franz ha diciassette anni e Beethoven quarantaquattro. Ma il problema non consiste in ciò. Sebbene abbia scritto un’opera, una messa e una cantata, Beethoven non è propriamente un compositore di musica vocale. Lo dice anche Hoffmann: «difficilmente gli riesce la musica vocale, che non consente il carattere d’un desiderio impreciso ma rappresenta solo, per mezzo di parole, determinati affetti sentiti nel regno dell’infinito». Beethoven pensa la musica in termini strumentali. Schubert è invece nato, mi sembra, per la musica vocale. La Messa in fa maggiore, Margherita all’arcolaio, e in fondo anche questo primo movimento di sinfonia mi dicono che egli possiede un grande talento naturale per l’opera.
Ma come arrivare a essere accettato da un teatro? Salieri non muoverà nemmeno il dito mignolo... Chi altro? Chiesi a Franz se non avesse qualche conoscenza altolocata. «No», mi rispose. «Ho soltanto visto qualche volta l’arciduca Rodolfo, che di tanto in tanto veniva a salutare gli allievi dell’Imperial Regio Convitto in cui studiavo e che una volta suonò, accompagnato dall’orchestra di cui facevo parte, un concerto di Mozart. Ma, ammesso che riuscissi ad avvicinarlo, l’arciduca Rodolfo è allievo di Beethoven e suo mecenate, e di certo non prenderebbe interesse per me». «Mecenate! Che vuol dire?». «Beethoven gode di una pensione che gli viene garantita, con regolare contratto, dall’arciduca e da altri due aristocratici». «Che deve fare, in cambio?». «Nulla. Non deve andare a vivere fuori dai domini dell’imperatore d’Austria, e basta».
Sapevo di pensioni che venivano concesse da regnanti e da magnati a chi era stato al loro servizio. Ma una tale liberalità nei confronti di un musicista non l’avevo mai vista. Ecco che cosa vuol dire, in termini pratici, essere Tondichter: vieni trattato come i poeti, come i filosofi, ti sostengono per liberarti dalle basse incombenze della vita e per permetterti di creare secondo che ti detta il tuo genio. Franz, ne sono certo, non avrà mai uno status come questo, nemmeno se cascasse il mondo. Non insistetti oltre nel cercare di dargli un aiuto o per lo meno un consiglio. Ero del tutto inadeguato per ciò e dopo aver fatto gli auguri a lui e ai suoi familiari tornai in città, con una grande pena nel cuore.
Il musicista che sta sfruttando più di tutti la situazione di Vienna durante il Congresso è Jan Nepomuk Hummel. Slovacco di Bratislava, allievo di Mozart, enfant prodige non proprio come Mozart ma un qualcosa di simile, allievo di Haydn e di Salieri per la composizione, direttore dell’orchestra del principe Esterházy, insomma, uno che sa stare nel mondo. Hummel è il principale fornitore di danze per la Sala Apollo, un enorme stabilimento che oltre alle sale da ballo comprende caffè, giardini, ristoranti, salette riservate, che può contenere seimila persone e che è frequentatissimo. È stato costruito da un medico ortopedico, Sigmund Wolfsohn, che non ha badato a spese per creare un insieme fantasmagorico e che è stato ripagato da un successo travolgente. Ma ritorno a Hummel.
Associatosi con il signor Mayseder e con Mauro Giuliani, chitarrista italiano che va per la maggiore, Hummel ha promosso una serie di concerti, detti Dukaten Concerte perché l’abbonamento costa un ducato. I tre si esibiscono in duo, in trio, anche in formazioni più ampie. In trio eseguono soprattutto variazioni su temi molto noti, componendole... in società, nel senso che ciascuno di loro scrive le variazioni che suonerà, mettendo così in luce le sue migliori e più spontanee qualità. Le variazioni su una romanza francese, La Sentinelle, hanno ottenuto un successo delirante e vengono ripetute in ogni concerto. Altri strumentisti, dicevo, vengono invitati come partner dei tre e anche loro si esibiscono, starei per dire, nei loro numeri migliori. Ho ascoltato la Grande Serenata per chitarra, pianoforte, violino, clarinetto e fagotto, composta da Hummel che ha tenuto conto dei desideri di tutti. La Serenata comprende dieci pezzi, alcuni su temi originali, la maggior parte su temi celeberrimi di opera (Il flauto magico di Mozart, Les deux journées di Cherubini e altre). Si parte, insomma, da cose molto conosciute, le si ornamentano fino a renderle persino irriconoscibili ma senza perdere mai il filo della sorpresa e della bravura. E questa formula va come il pane.
Dicevo dei «numeri» di ogni strumentista. Infatti il tipo di spettacolo è un po’ quello del circo, dove si alternano acrobati, saltatori, giocolieri. Non è la musica da camera che si fa... in camera, che è un dialogo fra più strumentisti e che è destinata a un pubblico selezionato... e non pagante. E non è nemmeno la musica da camera che si fa talvolta, sporadicamente, nei caffè e negli hotel. Questa è musica da concerto con pochi esecutori virtuosi e per un pubblico che sottoscrive un abbonamento e che deve perciò essere soddisfatto nelle sue aspettative per una serie di appuntamenti, cosa che fino ad ora avveniva solo con i concerti orchestrali (qui si citano ancora le imprese di Mozart, che presentava così i suoi nuovi concerti per pianoforte). Con i Dukaten Concerte nasce una novità assoluta che, penso, è destinata a prendere piede e a diffondersi ovunque perché Vienna pullula di stranieri che spargeranno la notizia ai quattro venti.
Mi ha fatto molto piacere aver ascoltato finalmente il signor Hummel. È un uomo assai brutto, con una fisionomia persino volgare. Sfoggia anelli preziosi in quasi tutte le dita, pavoneggiandosi come un aristocratico. Ma suona divinamente, e quando suona anche la sua fisionomia si trasforma. In certi momenti è un giocoliere del pianoforte, in altri sfodera il suo cantabile che fa venire le lagrime agli occhi. Talleyrand può dire ciò che vuole ma non credo che Dussek fosse superiore a Hummel. E Mayseder, malgrado l’opinione contraria del mio amico Giuseppe Acerbi, è un virtuoso che non scompare di fronte a Hummel, e il signor Giuliani è semplicemente un mago della chitarra. Questi loro concerti, ne sono sicuro, sono l’inizio di un cambiamento nel modo di diffondere la musica. E io non finirò mai di ringraziare abbastanza Sua Eminenza il cardinale Consalvi, che ha avuto la bontà di portare a Vienna me, minutante ancora poco esperto, e di ringraziare Lei, carissimo Zio, per avermi procurato questo incarico. Con immutato affetto e con la più alta riconoscenza La saluta il Suo
Marco
[Hummel, dopo aver «catturato» un pubblico non tradizionale con le variazioni spettacolari e i pot-pourris, modificò un poco la programmazione e ottenne un trionfo, quando io avevo lasciato Vienna, con il Settimino op. 74 su temi originali per pianoforte, tre archi e tre fiati, dedicato a Maria Luisa, moglie di Napoleone e duchessa di Parma e Piacenza. Ascoltai questo pezzo a Parigi e ancor oggi è uno dei miei favoriti. Io ero troppo timido per avventurarmi nella Sala Apollo, che vedevo come una occasione di possibile perdizione. Ma ne ascoltai avidamente le descrizioni che me ne vennero fatte. Il dottor Wolfsohn era a Vienna una istituzione e non cessò mai di buttare il suo denaro per tenere alto il prestigio della sua creatura. Di lì a qualche anno dovette dichiarare la bancarotta e riprese il suo antico mestiere. Morì quasi centenario.]
Carissimo Zio,
la partenza di Giuseppe Acerbi aveva lasciato in me un gran vuoto e mi dispiaceva di non avere più una persona con la quale discutere delle cose che giornalmente vedevo e che nove volte su dieci mi meravigliavano. Sua Eminenza il cardinale Consalvi e l’Eccellentissimo Nunzio Apostolico mi trattano con grande benevola confidenza ma sono molto impegnati e non hanno tempo per dissipare i fumi che si agitano nel mio cervello. I famigli non sono gente con cui ci si può confidare. Ma pochi giorni addietro ho conosciuto un connazionale con il quale mi sto legando in amicizia. Si tratta del professor Ferdinando Cornacchia, parmigiano, di circa vent’anni più anziano di me e che è qui come esperto, in rappresentanza dell’amministratore provvisorio del ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Il professor Cornacchia, che insegna economia politica nella università della sua città, era stato un convinto sostenitore di Napoleone e durante l’annessione del ducato alla Francia aveva ricoperto l’incarico di sottoprefetto, prima e S. Donnino e poi a Parma. Ma gli austriaci lo stimano e il conte Magawly-Cerati, attuale amministratore del ducato, se ne serve come suo uomo di fiducia per seguire e avviare a soluzione il problema che è nato con il secondo Trattato di Fontainebleau.
Il 6 aprile dello scorso anno Napoleone firmò la sua abdicazione, ma il Trattato che aveva negoziato gli procurò in cambio l’Isola d’Elba trasformata in principato, un appannaggio annuo di due milioni di franchi e, per la moglie, il ducato di Parma e Piacenza. Eredi del ducato, secondo il diritto divino, sono i Borbone-Parma, che nel 1801 avevano subito l’ordine di Napoleone di cedere Parma e Piacenza in cambio del regno dell’Etruria, cioè della Toscana sottratta al granduca, che però venne annessa alla Francia nel 1807. E di qui nasce un ginepraio che non si sa come risolvere. L’arciduchessa ed ex imperatrice Maria Luisa deve avere una compensazione, il granduca di Toscana deve rientrare nei suoi possedimenti, il duca di Parma non può rimanere a bocca asciutta. E c’è anche da considerare il figlio di Maria Luisa e di Napoleone, a cui il Trattato di Fontainebleau assicurava la successione alla madre. Ci vorrà un bello sforzo di fantasia, perché tutti i tasselli vadano a posto. E il Cornacchia è qui a osservare le mosse di ciascuno, con l’incarico di fare tutto il possibile perché l’arciduchessa austriaca diventi duchessa di Parma e Piacenza (e Guastalla, che Napoleone aveva assegnato alla sorella Paolina e al marito di lei, il principe Borghese).
Queste erano le riflessioni che feci rapidamente fra me e me quando conobbi il professor Cornacchia e seppi da lui che cosa era venuto a fare a Vienna. Le feci mentre camminavamo affiancati in mezzo a un traffico vorticoso. Lo invitai a entrare in un caffè, e accettò. Ebbi così modo di esternargli subito i miei dubbi. Il professore ha un viso che sembra tagliato con l’accetta e un’espressione volpina. Mi guardò, carissimo Zio, come si guarda un bambino che non sa orientarsi in un bosco. «Voi, Marco, Vi trovate fra le mani tante statuine da sistemare in nicchie e Vi accorgete che Vi manca una nicchia. Oppure Vi sembra che la diplomazia sia come il gioco del cerino: a chi resterà in mano, il cerino acceso che non può più essere passato ad altri perché è ormai diventato troppo corto?». «Non è così?». «No. Napoleone ha sconvolto ab imis la geografia politica dell’Italia ma... non tutto il male viene per nuocere. Voi dimenticate che Lucca fu occupata dai francesi nel 1799 e che nel 1805 Napoleone la fece diventare un principato che assegnò alla sorella Elisa, sposata Baciocchi. I napoleonidi usurpatori sono tutti fuori dal gioco: del resto, ci mancherebbe che non lo fossero, perdiana! E Voi credete allora che la antica Repubblica di Lucca risalente al Medioevo verrà restaurata?». «Volete dire che...». «Voglio dire che l’occasione è troppo ghiotta perché un convegno di diplomatici di antico pelo se la lasci scappare. Secondo me, o a Lucca ci va l’arciduchessa Maria Luisa o ci vanno i Borbone-Parma. Io, ovviamente, spero che ci vadano i Borbone-Parma e sto tessendo la mia tela per arrivare a questo risultato».
L’arciduchessa Maria Luisa, che vive ritirata a Schönbrunn e che rarissimamente si fa vedere in società, suscita in me molta tenerezza. Sacrificata alla ragion di stato ha sposato, giovanissima, Napoleone, ed è diventata imperatrice dei francesi. Si dice che abbia però amato il marito, al quale ha dato un figlio. Sulla validità del suo matrimonio, che era stata messa in dubbio, nessuno per fortuna eccepisce più nulla. Vedersi bollata come concubina e veder dichiarato illegittimo il figlio sarebbe stato più di quello che la povera ragazza avrebbe potuto sopportare. Ma sia lei sia il figlio sono diventati per l’Austria persone ingombranti. Spero che il professor Cornacchia, che non è ammesso alle riunioni ufficiali ma che lavora sott’acqua, porti vittoriosamente a compimento l’incarico ricevuto. Mi stupisce comunque il fatto che, a cominciare da Talleyrand, tante persone che sotto il regime napoleonico avevano ricoperto importanti incarichi politici o amministrativi vengano oggi utilizzate e onorate dai nemici di Napoleone. Le gazzette parlano di Napoleone come del «mostro» o dell’«Anticristo» e secondo la logica, penso io, i sodali del mostro e dell’Anticristo dovrebbero essere esclusi dalle cariche pubbliche. Così non è. E Giuseppe Acerbi rideva proprio di gusto, quando io esprimevo questi miei sentimenti. La diplomazia e più in generale l’arte del governo è un qualcosa che sfugge al mio modesto comprendonio. Ma in fondo sono contento che mi sfugga.
Ho le...

Indice dei contenuti

  1. Prologo
  2. Lettera dal Nuovo Mondo
  3. Lettere da Vienna 1814
  4. Lettere da Vienna1815
  5. Le fonti del racconto