Il tribuno Clodio
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Il tribuno Clodio

  1. 156 pagine
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Il tribuno Clodio

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Corrotto, sovversivo, assetato di potere. È Publio Clodio Pulcro. Nelle pagine di Luca Fezzi, la realtà storica depurata dalla faziosità del ritratto siglato dal nemico Cicerone.

Publio Clodio Pulcro (93-52 a.C.) nasce da una famiglia di antichissima nobiltà. Fratello (e forse amante) della spregiudicata Clodia, la 'Lesbia' cantata da Catullo, sin dagli inizi della carriera politica si rende protagonista di gravi scandali, uscendone miracolosamente indenne. Nel 60 a.C. abiura le proprie origini patrizie divenendo plebeo; due anni dopo si fa eleggere tribuno e inizia una folgorante ascesa politica sorretto dal favore del popolo. Spregiudicato e audace, gestisce un potere inedito e lo fa in modo particolarmente radicale e violento: combatte i suoi nemici con le bande armate di piazza, si assicura l'impunità grazie alla connivenza dei 'triumviri' Cesare, Pompeo e Crasso, blinda il proprio successo popolare a colpi di demagogia. Muore per mano dell'avversario Milone, a pochi giorni dalle elezioni alla carica di pretore. Se in vita Clodio non aveva certo goduto di buona fama, dopo la sua scomparsa Cicerone – che proprio da lui era stato condannato all'esilio durante gli anni del tribunato – si premura di suggellarla delineandone un'immagine di corruzione, ambizione e violenza destinata a tramandarsi ai posteri come proverbiale. In queste pagine Luca Fezzi dipana i molti fili della biografia di Clodio, dalle malefatte giovanili in Oriente e in Gallia sino alla morte violenta, proponendo un ritratto complesso, calato nel tormentato contesto della Roma a tinte forti della fine della Repubblica.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858100066
Argomento
Historia

Da patrizio a plebeo

1. La famiglia e l’adolescenza

Publio Claudio Pulcro (Clodio soltanto dal 59 a.C.) nacque, ultimo di tre maschi e con altrettante sorelle, in data incerta. Si pensa in genere al 93 o al 92, e ciò in base alle tappe del cursus honorum – la carriera politica – che all’epoca, specie per un patrizio, erano rigidamente scandite.
Neppure nell’esclusiva cerchia aristocratica, quella di Clodio poteva dirsi una famiglia comune: la gens Claudia, la potentissima stirpe dei Claudii, vantava infatti origini e gesta gloriose che si perdevano tra gli albori della repubblica. Poco dopo la cacciata dell’ultimo re Tarquinio, Attus Clausus, giunto dalla Sabina alla testa di cinquemila clientes, era stato cooptato con ogni onore nel patriziato dell’Urbe. Tra il 451 e il 449 un Appio Claudio, forse il figlio, era stato indiscusso protagonista di un momento decisivo: responsabile della redazione delle leggi delle XII Tavole, il codice scritto voluto fortemente dalla plebe, era divenuto talmente autorevole e potente da puntare, sebbene senza successo, al potere assoluto.
Più precisamente il ramo di discendenza di Clodio era quello aristocratico dei Pulcri, risalente al figlio maggiore di Appio Claudio Cieco, il censore del 312 che, in aperto contrasto con le convinzioni – e convenienze – della propria cerchia, molto si era impegnato, seppure con risultati alterni, per favorire la partecipazione delle classi inferiori e dei liberti alla vita pubblica.
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La famiglia di Clodio, secondo la ricostruzione di T.W. Hillard.
Forti di questi precedenti non comuni e di vaste clientelae disseminate nell’Urbe, in Italia e nelle provinciae, i Claudii mantennero un ruolo di protagonisti per tutto il lungo arco della storia repubblicana, riuscendo a raggiungere, secondo i calcoli di Svetonio, ben 28 consolati, 5 dittature e 7 censure (Vita di Tiberio, 1). In particolare i Pulcri ottennero il consolato negli anni 249, 212, 185, 184, 177, 143, 92, 79, 54 e 38 a.C., e la censura negli anni 169, 136 e 50 a.C.
Anche le donne, come in nessun’altra famiglia di Roma, riuscirono a fare la loro parte. In testa a tutte Claudia Quinta, probabilmente una Pulcra, la vestale che nel 205, secondo la leggenda, grazie alla propria purezza disincagliò dalle secche del Tevere l’imbarcazione che conduceva in città il sacerdote e l’immagine della Grande Madre Cibele venerata a Pessinunte (nel centro della penisola anatolica).
La complessità e versatilità della gens Claudia dovrebbe tenere a debita distanza ogni tentazione di generalizzare. Se Syme, concentrandosi sulla Realpolitik, segnala una certa tendenza «alla conquista del potere personale sotto la maschera di una politica liberale» (La rivoluzione romana, p. 21), Svetonio aveva individuato, come carattere di fondo del ramo patrizio, una certa arroganza di aristocratici, «altezzosi e violenti nei riguardi della plebe» (Vita di Tiberio, 2), premurandosi tuttavia di segnalare, come unica eccezione, Clodio.
Sull’identità della madre – ignota, come è quasi regola per una società che lasciava poco spazio alle donne – sono state avanzate diverse congetture. Se in genere si pensa a una Servilia, un’ipotesi ormai datata ma suggestiva la identificava in Cecilia, la seconda figlia di Quinto Cecilio Metello Balearico, censore nel 120, degna rappresentante, per virtù e senso del dovere, di quei Cecilii Metelli di lontane origini plebee che da almeno due secoli costituivano una tra le più nobili, potenti e matrimonialmente ambite casate di Roma.
Per certo si sa che la vita del padre, Appio Claudio Pulcro, figlio dell’omonimo censore del 136, fu segnata da uno dei momenti più drammatici della storia repubblicana. Partigiano di Silla e pretore nell’89, bandito dall’Italia ed escluso dal senato, riuscì a rientrare soltanto tra l’83 e l’82, al seguito delle vittoriose armate del generale e futuro dittatore. Fu console nel 79, quando aveva ormai raggiunto l’età di 62 anni, e nel 77 governò la Macedonia, conseguendo importanti successi militari contro le bellicose tribù che abitavano il massiccio del Rodope, in Tracia. Morì l’anno successivo, proprio a causa delle fatiche di un’impresa compiuta in età troppo avanzata.
Non è chiaro se la perdita del padre abbia comportato il tracollo economico della famiglia: secondo una testimonianza, in genere considerata eccessiva, il figlio maggiore Appio avrebbe lamentato un momento di grandi difficoltà (Varrone, Il fondo rustico, III, 16, 1-2). Più facile è invece immaginare come l’impegnativa gestione della casa fosse in gran parte ricaduta sulle sue ancora giovani spalle: fu lui, probabilmente, l’artefice degli indovinati matrimoni delle tre sorelle e la guida nella carriera politica, assai meno fortunata, dei due fratelli.
Nonostante il brillantissimo percorso, Appio resta un personaggio sfuggente. Iniziò, com’era consuetudine, con incarichi militari in Oriente; rivestì poi la carica sacerdotale di augure, con il compito di esaminare tutti quei segni celesti che tanto influivano nella vita dello Stato. Fu pretore nel 57, console nel 54 e subito dopo rapace governatore della Cilicia; nel 50 esercitò con estremo rigore la censura. Morì di malattia l’anno successivo, in Oriente, dove, allorché Cesare aveva invaso l’Italia, aveva raggiunto le armate di Pompeo.
Ancora meno si può dire sul secondogenito, Caio. Pretore nel 56 e governatore, dal 55 al 53, della provincia d’Asia, tornò a Roma accompagnato da un’accusa di concussione; quando essa, nel 51, si trasformò in condanna, la sua carriera ebbe termine.
Ben più rilevante, per una famiglia dell’epoca, la componente femminile.
Tra le tre sorelle Clodie, la palma della notorietà va senza dubbio alla maggiore. ‘Lesbia’, resa immortale tanto dai carmi di Caio Valerio Catullo quanto dalle offese di Cicerone, resta uno dei maggiori esempi di emancipazione femminile di ogni tempo. Sposò Quinto Cecilio Metello Celere, uno tra i politici conservatori più in vista; fattosi onore alla testa di una delle armate orientali di Pompeo, egli fu console nel 60, per poi essere incaricato del comando in Gallia, di lì a breve passato a Cesare. Fu allora che Clodia rimase vedova: secondo alcune voci, raccolte e amplificate da Cicerone, si sarebbe sbarazzata dello sfortunato marito con il veleno.
‘Lesbia’ doveva essere molto bella. Accusata da più parti di una relazione incestuosa con il fratello Publio, cui era indubbiamente molto legata, venne spesso a trovarsi al centro dell’attenzione pubblica. La sua villa sulla riva destra del Tevere, circondata da splendidi giardini, fu per lungo tempo luogo di ritrovo per gli esponenti più illustri di una società mondana cui lo stesso Cicerone – nonostante le vere o presunte gelosie della moglie Terenzia – non era estraneo. Fossero le necessità legate al processo – in cui Clodia era testimone dell’accusa –, l’odio ormai cieco per il fratello Publio o il desiderio di vendetta per una passione non corrisposta, della ‘Medea Palatina’ Cicerone riuscì a tracciare, nell’orazione In difesa di Marco Celio Rufo (del 56), un ritratto spietato. Giunse addirittura a immaginare che il glorioso antenato Appio Claudio Cieco, il censore del 312, entrasse in scena per domandarle:
[...] È per questo, dunque, che ho impedito la pace con Pirro, perché tu potessi ogni giorno mercanteggiare turpi amori? Per questo ho condotto l’acqua a Roma, perché tu la usassi per le tue sconcezze? Per questo ho aperto la via Appia, perché tu vi passeggiassi in compagnia di ogni sorta di gente? (14, 34)
La seconda sorella andò in moglie a Quinto Marcio Re, console nel 68 e in seguito governatore della Cilicia. Era anch’egli un personaggio dagli illustri natali: sebbene di condizione plebea, i Marcii Re facevano infatti risalire la propria casata ad Anco Marzio, il leggendario quarto re di Roma.
Infine, la più giovane delle sorelle Clodie – anch’ella in seguito accusata d’incesto con il fratello minore – nel 75 era già convolata a nozze con Lucio Licinio Lucullo, fedele sillano legato per parte di madre ai Metelli. L’anno successivo egli rivestì il consolato, cui seguì una sfortunata ma economicamente vantaggiosa campagna militare in Oriente. Lucullo aveva rinunciato, come ricorda il già citato passo di Varrone, alla dote. Del resto, le ricchezze di famiglia e quelle di lì a poco accumulate in Oriente, che gli diedero fama immortale – di ‘banchetti luculliani’ si parla ancora oggi –, dovettero rendergli sopportabile il sacrificio.
Clodio sposò, nel 62 o nel 61, Fulvia, vedendo forse in lei una donna in tutto e per tutto all’altezza della propria sorella maggiore. Discendente di due potenti casate di lontane origini plebee, divenuta poi figliastra di Lucio Licinio Murena, console nel 62, rappresentava, non da ultimo per patrimonio, un ottimo partito. Sul carattere di Fulvia, futura moglie di Marco Antonio e protagonista, nell’inverno tra il 41 e il 40, di una rivolta armata presso Perugia, le fonti concordano: se Valerio Massimo (Detti e fatti memorabili, III, 5, 3) racconta che Clodio le fu soggetto, Plutarco (Vita di Marco Antonio, 10, 5-6) osserva che ella non pensava «a lavorar la lana e a curar la casa, né si accontentava di dominare su un uomo comune, ma voleva governare un governante e comandare a un comandante», arrivando a ipotizzare che in seguito la stessa Cleopatra le fosse debitrice «delle lezioni di sottomissione alle donne» che questa aveva impartito ad Antonio, suo terzo e ultimo marito. In ogni caso, Clodio – che da lei ebbe due figli e, probabilmente, un valido sostegno nelle sue non facili scelte politiche – le rimase legato sino alla fine.
Verso il 30 il loro figlio maschio, Publio Claudio, rivestì la carica di pretore; altro non ci è dato di sapere, all’infuori delle voci secondo le quali egli avrebbe trascorso una giovinezza fiacca e depravata, segnata dalla relazione con una prostituta, per morire infine «avendo divorato con avidità addome di maiale» (Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili, III, 5, 3). La figlia femmina, Claudia, verso il 43 andò invece in sposa, sebbene per breve tempo, a Caio Giulio Cesare Ottaviano, il futuro Augusto.
Neppure sull’educazione, sul carattere e sull’aspetto del nostro si sa molto. Se dalle fonti emergono cultura sofisticata, abilità e forza oratoria, arroganza, immoralità e bellezza, il Pulchellus, il ‘Rubacuori’ – così lo chiamava Cicerone nelle lettere all’amico Attico, giocando sul significato di pulcher –, sfortunatamente non ha lasciato di sé alcuna immagine, su una statua, un busto o una moneta, così come nessuna traccia scritta del proprio impegno politico e forense.
L’unica testimonianza – o meglio calunnia – davvero esplicita sugli anni dell’adolescenza va cercata nell’orazione Il responso degli aruspici (20, 42), pronunziata da Cicerone nel 56 per convincere il senato che alcuni recenti prodigi celesti altro non erano se non una risposta divina all’empietà del nemico.
Si viene così a sapere che il giovane, dopo la morte del padre, avrebbe «affidato la sua fanciullezza alla lussuria di ricchi scioperati e, saziata la loro incontinenza», si sarebbe rotolato «nel fango dell’incesto con le sorelle»... e, si deve aggiungere – almeno secondo altre allusioni ciceroniane –, anche con il fratello maggiore. Con i «ricchi scioperati» aveva senza dubbio a che fare anche il coetaneo Caio Scribonio Curione (90-49), figlio dell’omonimo console del 76, l’effeminata «figliuolina di Curione» (Cicerone, Lettere ad Attico, I, 14, 5) che, in politica, «non prende mai decisioni a mente fredda» (Cicerone, Lettere ai familiari, VIII, 4, 2). Subito dopo la morte di Clodio, cui era particolarmente legato, egli convolò a nozze con l’energica vedova.
È anche segnalata, nella cerchia degli amici, la presenza di un giovanissimo Marco Antonio (83-30); sempre secondo le gustose esagerazioni ciceroniane, proprio Curione lo avrebbe tolto «dal marciapiede», trattandolo «quasi come una sposa cui si dona la stola» e contraendo con lui «un matrimonio bello e buono» (Filippiche, II, 18, 44). Attorno a Clodia e al fratello minore si erano infatti raccolti i barbatuli iuvenes, i ‘giovani barbuti’ dell’aristocrazia, esteti particolarmente insofferenti delle costrizioni morali, dilapidatori di capitali paterni e protagonisti delle orge notturne romane: tra questi spiccava la figura del poeta e oratore Caio Licinio Calvo (82-47).
È abbastanza verosimile che, in un mondo in cui la nascita costituiva la migliore garanzia di successo, Appio, Caio e Publio, sostenuti dall’ambiziosissima Clodia, avessero più di una ragione per sentirsi predestin...

Indice dei contenuti

  1. Ringraziamenti
  2. La Roma di Publio Clodio Pulcro
  3. Da patrizio a plebeo
  4. Il tribunato
  5. Dopo il tribunato
  6. Epilogo
  7. Bibliografia e interpretazioni
  8. Cronologia
  9. Glossario
  10. Fonti su Publio Clodio Pulcro
  11. L’autore