Il potere delle donne nella Chiesa
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Il potere delle donne nella Chiesa

Giuditta, Chiara e le altre

  1. 160 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il potere delle donne nella Chiesa

Giuditta, Chiara e le altre

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Con la proposta di papa Francesco di istituire una commissione di studio sul diaconato femminile, servizio antico ma desueto, si intravede per la prima volta in questo millennio una prospettiva nuova e importantissima che potrebbe aprire all'ingresso delle donne al sacerdozio. Ma quale è stata fino a oggi la presenza della donna nella Chiesa? Quali il ruolo e la missione attribuiti alle donne all'interno dei testi sacri? Quali gli effettivi spazi di potere e di governo consentiti?Adriana Valerio risponde a queste domande in pagine suggestive, dense di storia e di riflessione. Ci presenta le straordinarie figure di donne che si ribellano al potere maschile nell'Antico Testamento; ci mostra la rivoluzione del Vangelo, che intende capovolgere letteralmente tutte le vecchie logiche di dominio; ricostruisce le vicende storiche di figure femminili che hanno esercitato il potere, o nella modalità carismatica dell'esempio di vita o nell'effettiva gestione del governo delle cose di questo mondo: profetesse, sante, badesse, mistiche. Sullo sfondo, una domanda radicale: è giusto che le donne aspirino al potere così come gli uomini l'hanno configurato? O una Chiesa che si ispiri al Vangelo e che riconosca con pari dignità il contributo delle donne e degli uomini non dovrebbe al contrario ridimensionare per tutti l'esercizio del potere riportandolo nei termini del servizio?

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858127209

IV.
Potere d’Ordine
e celibato ecclesiastico

1. Potere d’Ordine e di giurisdizione

Frutto di scontro tra diverse impostazioni teologiche risalenti a più contesti culturali e geografici, l’ortodossia che si andava affermando aveva fermamente deciso, già dal III secolo, che l’esercizio del ministero sacerdotale non dovesse essere conferito al genere femminile: la condanna del movimento chiamato montanismo, nel quale le donne esercitavano ruoli cultuali, amministrando sacramenti, ne fu l’esempio più eloquente.
Le strutturazioni delle comunità presenti nelle sedi metropolitane più importanti si stavano configurando ricalcando modelli patriarcali preesistenti, sia con la ripresa della prassi sacrale giudaica, sia attraverso un lento e progressivo processo di romanizzazione ovvero applicando il paradigma istituzionale alla dimensione organizzativa dei gruppi cristiani. La sovra-dimensione giuridica che ne era conseguita aveva rafforzato il sistema gerarchico grazie al fenomeno che lo storico Alexandre Faivre chiama di «istituzionalizzazione per inferiorizzazione», determinando il radicale ridimensionamento dei laici e la marginalizzazione delle donne46. L’amministrazione del sacro fu relegata a ministri maschi.
Ampiamente studiate sono le riflessioni dei Padri della Chiesa e, soprattutto, le argomentazioni della teologia scolastica che hanno enfatizzato i motivi d’impedimento all’ordinazione sacra che non consentivano alla donna di svolgere tutte quelle funzioni, consone ai gradi gerarchici della Chiesa, legate all’ufficio pubblico e all’esercizio dell’autorità. Brevemente, possiamo dire che cinque temi s’intrecciarono nel pensiero teologico e nella prassi canonistica che dal medioevo giungono fino ai tempi più recenti. Un fondamento scritturistico: Cristo non avrebbe scelto donne tra gli apostoli e Paolo avrebbe vietato loro di predicare e di presiedere all’azione liturgica; una precomprensione antropologica: la donna per natura non può svolgere un ruolo di autorevolezza nell’ambito sacrale; un motivo legato all’ininterrotta Tradizione: la Chiesa non ha mai autorizzato l’ordinazione delle donne; un presupposto teologico: solo il prete di sesso maschile può legittimamente rappresentare il Verbo che si è incarnato nell’essere umano maschio; infine, un principio di autorità secondo cui il magistero della Chiesa proibisce giuridicamente l’ordinazione delle donne.
In realtà, le motivazioni profonde di tale esclusione che accomunano tutte queste argomentazioni toccano sottili questioni di potere che trovarono la loro giustificazione ideologica e la loro conferma in una preesistente visione antropologica che, abbiamo visto, la teologia cristiana fece propria: la donna, uguale all’uomo sul piano della salvezza, era inferiore per natura e per diritto. La natura peccaminosa femminile, dovuta alla sua debolezza morale, non poteva essere canale di grazia divina; la sua sessualità, segnata da perdite ematiche, la metteva in uno stato di impurità rituale che non le consentiva di avvicinare oggetti e persone sacre; la sua sottomissione era conseguenza del castigo dovuto al peccato; la fragilità del corpo e della mente la rendevano bisognosa di tutela.
Inoltre, a pesare ulteriormente nell’allontanamento delle donne dal sacro fu il legame sempre più forte che s’instaurò tra sacerdozio e sacrificio47 e che trovò nell’antico culto mosaico il suo fondamento. In tal modo, a discapito della convivialità della mensa evangelica, si conferì maggiore attenzione al ruolo del sacerdote prediligendo l’aspetto sacrificale e i temi del peccato e della colpa: Cristo era il capro espiatorio che si offriva nel sacrificio della messa come vittima per riscattare i peccati dell’umanità. In questa teologia espiatoria il sacerdote, con la sua funzione di mediatore, divenne vero gestore del potere sacro potendo giudicare, castigare, perdonare, salvare.
Isidoro di Siviglia, uno dei maestri più influenti nel me­dioevo, ha contribuito ad accentuare questo carattere cultuale del clero48, focalizzando nell’eucaristia l’atto sacrificale riservato ai sacerdoti: grazie al particolare potere che hanno ricevuto da Cristo, essi soli hanno la sacra potestà che permette loro di offrire il sacrificio e perdonare i peccati.
Per Tommaso d’Aquino la donna non poteva ricevere l’ordine sacro giacché il potere legato al ministero sacerdotale non poteva competere a chi si trovava in una condizione di subalternità49. Inoltre, la «debolezza del corpo» e l’«imperfezione della ragione» non le consentivano di esercitare un ruolo di mediazione tra Dio e gli uomini, né la sua mancanza di significazione, cultuale e giuridica, le permetteva di assumere un potere come quello ecclesiastico.
L’ordinazione fu concepita come il conferimento di un carattere che abilitava l’uomo (maschio) a compiere l’atto sacro per eccellenza, vale a dire il sacrificio eucaristico, commemorazione e ripresentazione del sacrificio della croce e partecipazione al frutto della passione del Signore50.
L’ordinazione, secondo la nuova definizione che ne diede Pietro Lombardo, conferiva un potere che aveva un carattere indelebile e permanente e che rendeva presente nella liturgia Cristo risorto. Solo il sesso maschile poteva essere legittimato ad assolvere questo compito.
La Riforma Gregoriana, che insisté sulla supremazia del clero, enfatizzò la differenza tra questo e i laici: tutti i poteri sacramentali si consolidarono nelle mani del presbiterio, maschile e celibatario; venne ridefinito il termine «ordinazione» e il ruolo del prete come «mediatore della grazia di Dio».
Anche la predicazione fu intesa come un compito dell’apostolato proprio del clero (proprium officium pastorum Ecclesiae), istituito da Cristo per la diffusione del suo messaggio nel mondo (Mc 16,15-20). Il sacerdote divenne in tal modo ministro del sacramento e della parola. La potestas praedicandi gli era conferita dall’ordinazione. Dando un’interpretazione letterale di alcuni brani evangelici (Mt 4,4; 10,20; 17,5 = Lc 8,11; 10,16 = 1Ts 2,13), la tradizione cristiana ha visto nella predicazione il prolungamento della parola che Dio ha rivolto all’umanità, prima ai profeti, poi al Figlio, agli apostoli e, infine, ai predicatori, successori degli apostoli, investiti di autorità per annunciare il suo messaggio.
Nella cultura medievale la presenza di Dio fu enfatizzata nella parola del predicatore: a lui fu conferito un potere di incredibile portata. Come sottolineò il domenicano Vincenzo Ferreri (1350-1419):
Quando un predicatore predica la parola di Dio non è lui che predica, ma è lo Spirito Santo che parla in lui, o lo stesso Cristo [...] e il predicatore non è altro che un semplice strumento che suona51.
Questa dottrina, per la quale la predicazione era considerata veicolo di grazia, che rimandava più alla presenza della parola potente di Dio che alla mediazione della debole voce umana, non concedeva alla donna molte possibilità d’intervento e spiega i motivi per i quali le risultava impossibile, «nonostante fosse dotta e santa» (quamvis docta et sancta), predicare a un’assemblea di uomini52.
L’infrazione femminile al divieto di predicare fu uno dei tratti caratteristici delle comunità giudicate eretiche e che incorrevano nel duro intervento giudiziario.

2. Donne e celibato ecclesiastico

Fino al V secolo il clero ammogliato è stato una realtà comune e accettata; condivisa era, inoltre, la visione di un amore casto che non significava necessariamente astenersi dai rapporti sessuali, ma indicava piuttosto uno stile di vita radicato in Cristo. Ciò che contava non era l’esercizio della sessualità o l’astinenza, ma l’appartenere al Signore che esaltava ogni legame e conferiva nuovi significati alle nozze53.
A partire dal IV secolo, però, con l’affermarsi del modello monastico, alla pratica di ordinare uomini sposati si affiancarono richieste sempre più pressanti rivolte al clero coniugato di rinunciare al matrimonio, di allontanare la moglie o, almeno, di poter vivere con lei una vita casta. Nel 306 il sinodo di Elvira vietò rapporti sessuali ai preti di quella Chiesa, pena la deposizione (can. 33), e papa Siricio (384-399) affermò nel 385 la necessità per il clero della castità, indispensabile alla purificazione rituale richiesta per il servizio liturgico54. L’astinenza, dunque, appariva inevitabile se il rapporto sessuale era considerato impuro.
Mentre in Occidente gli interventi disciplinari furono più rigidi e mirati all’imposizione della castità, in Oriente le posizioni risultarono più morbide: durante il Concilio di Nicea nel 325 si proibì al clero la coabitazione con donne che vivevano al loro servizio, «a meno che non fossero madre, sorella, zia o persona al di sopra di ogni sospetto» (can. 3), ma, allo stesso tempo, emerse nel dibattito l’opposizione del vescovo Pafnuzio che intervenne a difesa del clero uxorato ritenendo che si potesse chiamare «castità anche il rapporto di un uomo con la propria legittima sposa»55. I rapporti sessuali non mettevano in discussione l’onorabilità del matrimonio né tantomeno quella del sacerdozio.
L’insistenza nell’allontanare il clero dalle donne fu dovuta a una serie di motivazioni. Il monachesimo, ponendosi sul gradino più alto della vita spirituale con l’austerità di vita e la castità, divenne un modello indiscusso da imitare. La purezza, come simbolo della superiorità e sacralità sacerdotale, non poteva contaminarsi con i rapporti sessuali e con il contatto con l’impuro corpo femmini...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. Ester, Giuditta e le altre: la metafora del potere
  3. II. «Tra voi però non sia così»: il potere infranto
  4. III. Escluse dal potere
  5. IV. Potere d’Ordine e celibato ecclesiastico
  6. V. Donne di potere
  7. VI. Il potere rovesciato. Donne e utopie
  8. VII. Mettere al mondo
  9. VIII. Potere e democrazia nella Chiesa
  10. IX. Dio onnipotente, Dio fragile
  11. Sigle e abbreviazioni