Sui benefici
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Sui benefici

  1. 264 pagine
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Scritto a partire dal momento del ritiro di Seneca dalla politica nel 62 d.C., il lungo dialogo De beneficiis in sette libri è un trattato sul rapporto tra il dare e il ricevere e, contestualmente, sul 'criterio' che deve regolare il comportamento e le relazioni tra gli uomini organizzati in società. Seneca lo individua nella voluntas o animus dandi beneficia, ossia nella 'volontà' o 'intenzione' di beneficare i propri simili. In questo concetto del dare beneficia dove la 'volontà' sostanzia e dirige la conoscenza, il filosofo vede il motore di una società, quella imperiale, che egli ha voluto rifondare sul piano etico e politico quand'era precettore e poi ministro di Nerone, e di cui ora intende tramandare, quasi si trattasse di un suo personale beneficio alla posterità, i principi ispiratori.La traduzione italiana e la cura sono di Martino Menghi su testo critico messo a punto da François Préchac per la "Coll. Budé" (Les Belles Lettres, Paris 2003).

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858138977

Libro IV

1. 1. Di tutte le cose di cui ci siamo occupati, o Ebuzio Liberale, niente potrebbe sembrare tanto o più necessario trattare con cura, per dirla con Sallustio1, di quanto stiamo per discutere: se il fatto di dare un beneficio e, d’altra parte, quello di mostrare la propria riconoscenza siano cose da desiderarsi per se stesse.
2. Abbiamo persone che praticano il bene in vista di una ricompensa: a costoro non piace la virtù quand’è gratuita. Essa però non ha nulla di grande se in qualche misura è venale. Che cosa vi è infatti di più vergognoso che vedere qualcuno calcolare quanto sia il costo dell’onestà, quando invece la virtù non ci attira per la prospettiva di un guadagno né ci allontana per quella di un danno, e a tal punto non corrompe nessuno con speranze e promesse, che impone invece di fare per lei delle rinunce, che consistono spesso in sacrifici spontanei? Bisogna andare verso di lei dopo aver calpestato i propri interessi: ovunque ci chiami, ovunque ci mandi, lì bisogna dirigersi senza pensiero del proprio patrimonio, talvolta addirittura senza risparmiare il sangue, né mai bisogna venir meno ai suoi ordini. 3. «Ma cosa ci guadagno – mi dirai – se agirò con coraggio, con gratitudine?». Il tuo unico guadagno è di esserti comportato così: non ti viene promesso nient’altro. Se ne ricaverai per caso un profitto, lo considererai come un di più. Un’azione onesta ha il suo valore in sé. Se il bene deve essere ricercato per se stesso, allora un beneficio è questo bene: esso non può sottostare ad altra legge, poiché la sua natura è la stessa del bene. Che dunque il bene debba essere ricercato di per sé è stato ampiamente dimostrato e in molti modi.
2. 1. Su questo punto abbiamo una controversia con gli epicurei, una genia di raffinati e voluttuosi che filosofeggiano ai loro banchetti. Per costoro la virtù è serva dei piaceri: a questi obbedisce, di questi è schiava, questi guarda dal basso verso l’alto. Ma, mi dirai: «non c’è piacere senza virtù». 2. Ma perché il piacere viene prima della virtù? Pensi forse che in questa materia sia solo una questione di precedenza? No: in ballo c’è l’intero principio, e la sua autorità2. Non è virtù, se può venire dopo: suo è il ruolo di protagonista, essa deve fare da guida, dare degli ordini, stare nel posto più alto. Tu invece vuoi che sia lei a prendere degli ordini. 3. «Che cosa te ne importa? – mi dirai –. Anch’io sostengo che senza virtù non può esservi una vita felice. Lo stesso piacere che seguo, a cui mi sono assoggettato, senza la virtù lo esecro e lo condanno. Ma la discussione verte solo su questo punto: se la virtù sia causa del sommo bene o se sia essa stessa questo bene». Per limitare a questo la nostra ricerca, pensi che si tratti solo di un cambiamento nell’ordine di precedenza? In realtà, è una confusione bella e buona e una prova di cecità quella di mettere l’ultimo dei beni al primo posto. 4. Non mi scandalizzo perché si mette la virtù dopo il piacere, ma perché si confonde la virtù con il piacere, lei che invece lo disprezza, gli è ostile, se ne allontana quanto più può, e ha più familiarità con la fatica e il dolore, prove degne di un uomo, che non con un bene effeminato come appunto il piacere.
3. 1. Ho dovuto inserire queste considerazioni, o Liberale, perché ciò di cui stiamo parlando, ossia dare un beneficio, è cosa propria della virtù, mentre non c’è nulla di più vergognoso che darlo per un altro motivo, che non sia quello di darlo. Infatti, se daremo un beneficio con la speranza di ricevere qualcosa in cambio, dovremo darlo alla persona più ricca, non certo alla più degna; ma io preferirei beneficare un povero piuttosto che un ricco intrattabile. Non è infatti un beneficio, quello che tiene in conto la fortuna. 2. Inoltre, se fosse solo l’interesse a spingerci a dare dei benefici, non dovrebbero darne coloro i quali possono farlo con la più grande facilità, come i ricchi, i potenti, i re, che non hanno bisogno dell’aiuto altrui. Ma neppure gli dei ci darebbero tutti quei doni che senza soluzione di continuità, di giorno e di notte, ci elargiscono: in ogni cosa, infatti, la loro natura è autosufficiente e li conserva integri, sicuri e inviolabili3. Insomma, non darebbero un beneficio a nessuno se come unico motivo per darlo avessero quello del proprio egoismo e del proprio interesse. 3. Non è dare un beneficio, ma praticare il mestiere dell’usuraio fare attenzione non dove destinarlo nel modo migliore, ma nel modo più vantaggioso e con i maggiori profitti4. Ma poiché gli dei sono del tutto estranei a questi calcoli, ne discende che non sono liberali: infatti, se l’unico motivo per dare un beneficio è quello del profitto di chi lo dà, poiché la divinità non deve aspettarsi da noi alcun vantaggio, non vi è alcun motivo per lei di dare un beneficio5.
4. 1. So qual è la risposta a questo punto: «Dunque, la divinità non dà benefici, ma beata e indifferente nei nostri confronti, voltando le spalle all’universo si occupa d’altro o non fa nulla, ciò che secondo Epicuro rappresenta il massimo grado di felicità, né i benefici la toccano più che le ingiurie»6. 2. Chi dice questo, non sente le voci di coloro che pregano o che fanno ovunque voti privati e pubblici con le mani levate al cielo. Ciò infatti certamente non accadrebbe, né di sicuro tutti i mortali si sarebbero dimostrati d’accordo di rivolgersi a divinità sorde e impotenti, se non conoscessimo i loro benefici che, ora dati spontaneamente, ora concessi dietro le nostre preghiere, sono grandi, tempestivi, e in grado con il loro arrivo di stornare gravi minacce. 3. Quale uomo è così infelice, così miserabile, quale uomo ha un destino così tremendo o è nato per soffrire al punto da non accorgersi della grande generosità degli dei? Guarda attorno a te quegli stessi mentre piangono la loro sorte e si lamentano: scoprirai che non sono stati completamente esclusi dai benefici degli dei, che insomma non vi è nessuno a cui non sia toccato qualcosa che proviene da quella generosissima fonte. Ma forse è poco ciò che viene distribuito nella stessa misura a chi viene al mondo? Lasciando perdere i doni che seguono, distribuiti in modo più o meno generoso, forse che la natura ha dato poco nel momento stesso in cui si è data a noi?
5. 1. «La divinità non dà benefici». Da dove vengono allora queste cose che possiedi, che dai, che neghi, che custodisci, che rapisci? Da dove vengono queste innumerevoli cose che ricreano la nostra vista, il nostro udito, la nostra anima? Da dove proviene quell’abbondanza che alimenta anche i nostri piaceri (infatti, non è solo alle nostre necessità che è stato provveduto, ma siamo amati fino al punto di essere viziati)? 2. Da dove tutte queste piante che fruttificano in diversi modi, da dove tutte queste erbe salutari, o queste varietà di cibi distribuite nel corso dell’anno intero, al punto che la terra offre alimenti di fortuna anche a chi non se li procura? E poi gli animali di tutti i generi, alcuni che nascono in un ambiente secco e sulla terraferma, altri nell’acqua, altri ancora che sono concepiti nell’aria, perché ogni parte della natura possa portarci un suo contributo?7 3. E quei fiumi che con bellissime evoluzioni cingono i campi, o quelli che scorrono con un grande percorso navigabile per offrire una via ai commerci, tra cui alcuni conoscono una straordinaria crescita nel periodo estivo, al punto che dei luoghi aridi e soggetti al calore di un sole cocente sono irrigati dall’improvvisa forza della piena estiva?8 Che dire ancora delle sorgenti delle acque medicinali? Che cosa del rampollare nelle stesse rive del mare di acque termali?9
Tu, o grande Lario, e tu, Benaco, che ti gonfi per i flutti e il fremito del mare?10
6. 1. Se qualcuno ti donasse solo pochi iugeri, diresti di aver ricevuto un beneficio: e neghi che grandissimi spazi di terre che si aprono all’infinito siano un beneficio? Se qualcuno ti donerà del denaro e se, poiché è questo che ti sembra importante, riempirà la tua cassaforte, lo chiamerai un beneficio. Ma dio ha innervato la terra di tante miniere, ne ha fatto uscire tanti fiumi che portano oro sul suolo dove scorrono; un’immensa quantità d’argento, di rame, di ferro è stata seppellita in ogni luogo, e dio ti ha dato la possibilità di cercarla, e ha messo sulla superficie dei segnali di queste ricchezze nascoste: e ancora neghi di aver ricevuto un beneficio? 2. Se ti fosse donata una casa in cui risplenda del marmo e il soffitto sia più luccicante dell’oro o sia rallegrato da vari colori, ammetterai di aver ricevuto un dono di una certa importanza. Dio ha costruito per te una dimora a prova d’incendio e di crolli, nella quale vedi che vi sono non dei rivestimenti leggeri, ancor più sottili della lama che serve a tagliarli, ma blocchi massicci delle pietre più preziose, tutti di quel materiale vario e multiforme di cui sei solito ammirare dei piccoli frammenti, e un tetto che risplende di notte e di giorno in modo diverso: sei ancora disposto ad affermare di non aver ricevuto nulla? 3. E poiché tieni in grande considerazione queste cose che possiedi, pensi forse, come fanno gli ingrati, di non dovere nulla a nessuno? Da dove ti viene quest’aria che respiri? Da dove questa luce grazie alla quale disponi e organizzi le azioni della tua vita? Da dove il sangue, grazie alla cui circolazione viene mantenuto il calore vitale? Da dove questi cibi che solleticano con i loro squisiti sapori il tuo palato oltre il bisogno? Da dove questi stimoli che eccitano la tua voluttà ormai stanca? Da dove questo riposo in cui ti infiacchisci fino a marcire? 4. Se sei grato, non dirai forse: «Dio ha creato per me questi ozi. Egli sarà sempre il mio dio, e spesso un tenero agnello dei miei ovili bagnerà i suoi altari. Egli ha permesso che i miei buoi pascolassero, come vedi, e che io stesso suonassi con il mio flauto agreste le arie che volevo»11.
5. Egli è il dio che ha sparso per tutto il mondo non pochi buoi, ma interi armenti, che garantisce il foraggio a greggi che vagano ovunque, che alterna i pascoli estivi con quelli invernali, che non ha insegnato a suonare solo con il flauto e a modulare un canto agreste e rozzo, per quanto non privo di ritmo, ma che ha inventato tante arti, ha trovato tanti suoni, alcuni in grado di dar luogo a melodie con la nostra voce, altri con uno strumento. 6. Né del resto potresti dire che siano opera nostra le cose che troviamo, come pure il fatto che cresciamo, che in tempi fissati una volta per tutte per il nostro corpo gli corrispondano le sue funzioni: dapprima la perdita dei denti da latte, quindi, nel momento in cui l’età avanza ed entra nella fase in cui le nostre forze aumentano, l’arrivo della pubertà e di quell’ultimo dente che pone un termine ai progressi della nostra gioventù. In noi sono insiti i semi di tutte le età, di tutte le arti, e un dio, come un maestro, sviluppa dal profondo del nostro essere le nostre facoltà.
7. 1. «È la natura – mi dirai – che fa queste cose per me». Ma non capisci che nel momento in cui dici questo non fai che dare un altro nome alla divinità? Che cos’è infatti la natura se non un dio o una ragione divina immanente nell’intero universo e in tutte le sue parti? Tutte le volte che vuoi, puoi chiamare in altro modo questo artefice della nostre cose: potrai chiamarlo, secondo la tradizione, Giove Ottimo Massimo, o Tonante, o Statore, appellativo che, contrariamente a quanto tramandano gli storici, non gli deriva dal fatto che dopo che fu pronunciato un voto fermò le truppe dei Romani in fuga, ma che chiamiamo «statore» e «stabilizzatore» perché è grazie alla sua volontà che tutte le cose stanno al loro posto. 2. Ma se lo chiamassi fato, non ti sbaglieresti: infatti, poiché il fato non è altro che una serie concatenata di cause, quel dio è la prima causa di tutte le cose, dalla quale derivano tutte le altre. Qualunque nome vorrai dargli, purché includa una certa potenza produttrice delle realtà celesti, glielo darai a proposito: tanti possono essere i suoi appellativi quanti i suoi doni.
8. 1. Quelli della nostra scuola pensano che costui sia anche il padre Libero, o Ercole, o Mercurio: il padre Libero, perché è padre di tutte le cose. Da lui, per la prima volta, è stato scoperto il potere seminale in grado di provvedere attraverso il piacere alla perpetuità della vita; Ercole, perché la sua forza è invincibile e destinata, una volta che si sarà esaurita per le opere compiute, a ritornare nel fuoco; Mercurio, perché presso di lui si trovano la ragione, il numero, l’ordine e la scienza. 2. Ovunque ti volterai, lì lo vedrai che ti viene incontro: nulla manca in lui, la sua opera è piena della sua presenza. Ergo non ci guadagni nulla, o ingratissimo tra i mortali, a dire che non sei in debito nei confronti della divinità, ma della natura, poiché né la natura può esserci senza divinità, né la divinità senza la natura, ma sono entrambe la stessa cosa, e differiscono solo nei compiti. 3. Se tu dicessi che per del denaro che hai ricevuto da Seneca, sei in debito nei confronti di Anneo o di Lucio, non cambieresti il creditore, ma solo il modo di chiamarlo, perché sia che tu abbia pronunciato il suo prenome, o il suo nome, o ancora il suo soprannome, egli sarebbe comunque la stessa persona. Così dunque chiamala pure natura, fato, o fortuna: si tratta sempre di nomi della stessa divinità che si serve in modo di volta in volta diverso dei suoi poteri. E la giustizia, l’onestà, la saggezza, la fortezza, la frugalità sono tutte qualità di una stessa anima: qualsiasi cosa di queste ti sia piaciuta, è quell’anima che ti piace.
9. 1. Ma per non entrare surrettiziamente in una discussione estranea al mio tema, vi sono moltissimi benefici e dei più grandi che la divinità effettivamente ci dispensa senza aspettarsi di ricevere qualcosa in cambio, perché da un lato essa non ne ha bisogno, dall’altro noi non siamo in grado di darle alcunché. Quindi, un beneficio è qualcosa che deve essere desiderata per se stessa. Si deve avere di mira unicamente il vantaggio di chi lo riceve: muoviamoci verso questo obbiettivo dopo aver messo da parte i nostri vantaggi. 2. «Voi affermate – si obbietta – che bisogna scegliere con cura le persone a cui diamo i benefici, dato che, per esempio, neppure gli agricoltori seminano sulla sabbia. Ora, se questo è vero, è il nostro vantaggio che perseguiamo nel momento in cui diamo dei benefici, proprio come nell’arare e nel seminare: infatti, la seminagione non è una cosa da desiderare per se stessa. Vi chiedete inoltre dove e come dare i benefici, domande che non ci si dovrebbe porre se dare un beneficio fosse una cosa desiderabile per se stessa, dato che, in qualsiasi modo fosse dato, sarebbe comunque un beneficio». 3. Noi inseguiamo ciò che è onesto non per altra ragione che per se stesso; tuttavia, anche se non si deve avere nient’altro in mente, ci chiediamo ugualmente che cosa facciamo, quando e in che modo: è attraverso queste cose, infatti, che si realizza l’onestà. E così, quando scelgo la persona a cui dare un beneficio, quando scelgo il modo e il momento, faccio sì che, per quanto dipende da me, si tratt...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione (di Martino Menghi)
  2. Cronologia della vita e delle opere
  3. Libro I
  4. Libro II
  5. Libro III
  6. Libro IV
  7. Libro V
  8. Libro VI
  9. Libro VII