Manuale di storia della pedagogia
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Manuale di storia della pedagogia

  1. 400 pagine
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Manuale di storia della pedagogia

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Il manuale ricostruisce, in forma agile, il lungo percorso della pedagogia in Occidente, prendendo in esame le forme assunte nelle varie epoche con una particolare attenzione per quelle che ne contrassegnano l'identità più attuale, sia dal punto di vista scientifico sia da quello ideologico, ma anche critico-filosofico.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858117781

II. L’Ottocento: il secolo dellapedagogia. Conflitti ideologici, modelli formativi, saperi dell’educazione

1. Borghesia e popolo: tra ideologie pedagogiche e conflitti educativi

Se l’Ottocento appare come il secolo del «trionfo della borghesia», è stato anche il secolo della «grande paura» borghese, del timore per lo «spettro» del socialismo-comunismo (come ebbe a ricordare Marx), quindi è stato un secolo caratterizzato da una frontale opposizione/lotta di classe, che ha investito le ideologie, le politiche, la cultura stessa, oltre che l’economia e la vita sociale. Ciò ha prodotto anche una più radicale (rispetto al passato) ideologizzazione della pedagogia e dell’educazione, che si sono affermate come settori-chiave del controllo sociale e quindi della progettazione politica e della gestione stessa del potere (sociale e politico). Attraverso la diffusione dell’industria e il rinnovamento economico e sociale che tale diffusione comporta si è venuto determinando nell’Europa e nell’America del Nord, con appendici anche in Asia e in America del Sud, un processo di mobilitazione sociale che ha reso più articolato il profilo delle borghesie, sviluppandone diversi ceti, da quello imprenditoriale e delle professioni libere a quello commerciale e poi a quello burocratico degli impieghi alti, fino alla piccola borghesia dell’artigianato e degli impieghi esecutivi, diversi per censo e per tradizioni, ma accomunati da aspirazioni e da alcuni aspetti dello stile di vita, ma soprattutto da una netta separazione rispetto al popolo. Anche quest’ultimo, però, al suo interno risulta tutt’altro che omogeneo: diviso tra artigianato e industria, tra città e campagna, tra nord e sud, tra popolo e plebe, tra proletariato e sottoproletariato. Il popolo, anzi, si dimostra ancora più frazionato e disomogeneo dei ceti borghesi, poiché diviso tra cosciente e no del proprio sfruttamento e tra possibilità e no di un riscatto economico e politico.
Al nord, ad ovest e nelle aree urbane d’Europa, più articolate erano le borghesie, ma lo era anche il popolo; più dinamica era la situazione sociale, più aperta a istanze rivoluzionarie era la coscienza di classe. Al sud, ad est e nelle aree agricole la situazione sociale risultava più ferma, seppure percorsa da molti fermenti. Nella seconda metà del secolo queste opposizioni sociali si verranno sempre più chiarendo, con l’affermazione del socialismo, caricando la società borghese di un forte conflitto di classe, che tende a farsi – se pure non dovunque – sempre più radicale e frontale e sempre più esteso.
In una società socialmente così lacerata, economicamente e politicamente in forte trasformazione, connotata da un fortissimo tasso ideologico nella cultura e nei saperi come nelle arti, in cui vecchio e nuovo, tradizione e rivoluzione convivono così intimamente e drammaticamente, un ruolo essenziale viene riconosciuto – dai diversi fronti sociali e ideologici – all’impegno educativo: per le borghesie si tratta di perpetuare il proprio dominio tecnico e socio-politico attraverso la formazione di figure professionali capaci e imbevute di «spirito borghese», di volontà di ordine e di spirito produttivo; per il popolo di attuare una emancipazione delle classi inferiori attraverso la diffusione dell’educazione, attraverso cioè la liberazione della mente e della coscienza per arrivare alla liberazione sociale e politica. Le borghesie hanno spesso una visione paternalistica dell’educazione: il popolo deve essere educato per evitare disordini sociali, formandolo ai valori borghesi della laboriosità, del risparmio, del sacrificio. Ma ci sono anche, nella stessa borghesia, pedagogisti che guardano all’emancipazione del popolo, ai suoi diritti sociali e politici, fra cui anche quello dell’istruzione, come pure quello dell’educazione (a essere educati nell’età infantile, in condizioni igieniche migliori, in istituzioni non degradate, etc.) che non possono essere trascurati. Le pedagogie borghesi sono sì differenziate al loro interno, rispetto all’emancipazione del popolo, ma non superano – in genere – l’obiettivo di salvaguardare soprattutto l’ordine sociale e la crescita di una società collaborativa e pacifica al proprio interno. Così pure sul terreno delle pedagogie popolari si va da quelle riformiste a quelle rivoluzionarie (e sarà questo un dualismo che percorrerà l’elaborazione teorica e socio-politica, storica, del socialismo), da quelle che guardano a una emancipazione come integrazione (nella società borghese) delle classi popolari, rese socialmente più consapevoli del loro ruolo e migliorate nelle loro condizioni di vita, a quelle che reclamano, invece, un rovesciamento dell’ordine borghese, una presa del potere da parte dei proletari guidati dalle «aristocrazie operaie». Si hanno, quindi, diversi modelli di pedagogia a forte tasso sociale e politico, diversamente orientati, più o meno conservatori e più o meno progressisti e rivoluzionari, comunque sempre fortemente ideologizzati.
Questa ideologizzazione della pedagogia risulta sensibile in tutte le grandi correnti e fasi della pedagogia ottocentesca: da quella più propriamente romantica in Germania a quella della Restaurazione europea, da quella positivistica a quella legata al socialismo. Già in Pestalozzi possiamo cogliere l’innesto strettissimo tra pedagogia e società attraverso la disciplina e il lavoro, ma anche la formazione dell’uomo vista come esercizio della libertà e della partecipazione alla vita collettiva, economica e sociale. È nella libertà che Pestalozzi (come poi Fichte e Fröbel) indica la funzione socio-politica e quindi ideologica dell’educazione: azione che deve emancipare integrando, rendendo il soggetto partecipe e responsabile nella nuova società in cammino, industriale e liberale. Il pensiero pedagogico tedesco – erede dello Sturm und Drang – si fa interprete di questa ideologia della libertà, sia pure in forme diverse, anche in Hegel (la cui Fenomenologia dello Spirito è un itinerario pedagogico, governato dal traguardo della liberazione attuata come autocoscienza filosofica), anche in Herbart (la cui pedagogia guarda a una formazione individuale scandita secondo un modello di uomo libero, critico e responsabile) o in Marx, soprattutto nel giovane Marx (in cui l’educazione è disalienazione e riconquista – nella libertà – dell’onnilateralità umana da parte di ogni uomo). Agiscono in queste pedagogie modelli assai diversi di libertà, ma tutti inscritti in quell’orizzonte di ideale della libertà, che se non era proprio, come voleva Croce, una religione era comunque una forza comune, una «stella d’impareggiabile fulgore». E libertà «era [parola] pronunziata dalle giovani generazioni con l’accento commosso di chi ha pur ora scoperto un concetto di importanza vitale, rischiaratore del passato e del presente, guida nell’avvenire», anche in pedagogia (Croce).
Negli altri paesi europei – fino al 1848 – la tensione romantica alla libertà, l’ideologia della libertà, agì in modo un po’ diverso rispetto alla Germania: prevalsero ideologie della Restaurazione, di ritorno a un ordine sociale considerato naturale e invariante, al quale l’educazione stessa doveva dare stabilità (fosse tale ordine tradizionale, come nei teorici della Restaurazione cattolica, fino a Rosmini, pur aperto che si riveli a istanze liberali, oppure fosse di tipo nuovo, industrial-progressista ma organico, alla Comte), che si opposero alle pedagogie aperte a istanze liberali o democratiche (in modo spiritualistico, alla Lambruschini, o in modo socio-politico, alla Cattaneo, o in modo religioso-laico, alla Mazzini), stabilendo un forte contrasto di posizioni o cercando di ibridarle per attuare modelli nuovi e cautamente liberali di educazione (come avviene, per rimanere ancora in Italia, con Capponi). Ideologie della Restaurazione e ideologie della libertà si contrastano, si collegano o si intrecciano in tutta l’Europa romantica alimentando un dibattito intenso e articolato che ricolloca però l’educazione al centro del progetto politico e spesso la pone come complementare (o succedanea, talvolta) alla politica stessa.
Tra Positivismo e socialismo l’ideologizzazione della pedagogia si fa ancora più forte e, soprattutto, più esplicita. Nel Positivismo essa è un momento della sociologia, che ne attraversa sia la statica sia la dinamica e tende a conformare (a socializzare, dirà Durkheim) l’uomo secondo bisogni e modelli espressamente sociali, cioè funzionali all’identità/equilibrio di una determinata società. Da Comte a Durkheim l’avvento di una società «positiva» implica, come centrale, il ruolo dell’educazione, che socializza, conforma, integra e rende il soggetto socialmente produttivo, in quanto regolato – in interiore homine – da quel cosmo di valori sociali propri del nuovo modello politico-ideologico (ed economico, ed etico): la partecipazione e la produttività. Nel socialismo non solo ogni pedagogia viene smascherata (cioè criticamente riconosciuta) come ideologia, ma assume a guida l’ideologia (supposta come post-ideologica, in quanto scientifica, cioè maturata attraverso la critica dell’ideologia) della società liberata, caratterizzata dall’uomo liberato, in quanto si realizza attraverso il lavoro liberato e ricostruisce la propria convivenza sociale (in economia, in politica, nella società civile) secondo il modello (utopico sì, ma che ora è possibile far approdare alla realtà) della comunità. Per molte strade, da Fourier a Marx, da Engels a Bernstein, a Labriola, il socialismo salda la pedagogia all’ideologia della libertà, ma intendendola come liberazione/emancipazione, come superamento dei limiti storici della formazione umana e suo potenziamento per tutti in una società senza divisione in classi e senza lavoro alienato. Negli anarchici poi – che, va ricordato, sono una componente profonda e attiva dello stesso socialismo – il richiamo a una educazione/pedagogia fortemente ideologizzata in senso libertario (cioè che esalta la libertà tanto come fine quanto come mezzo, e la assume senza restrizione alcuna, collocandola nell’individuo, prima che nella società, come invece vuole il socialismo) è centrale ed evidente.
Così tutta la pedagogia ottocentesca è animata (e irretita) da processi forti e costanti di ideologizzazione. Siamo davanti a teorie della formazione che hanno un deciso e palpabile spessore politico, una valenza politica esplicita (molto spesso) e un legame con le ideologie forti del secolo. Tutto ciò emerge anche dalla rinnovata e aumentata centralità sociale dell’educazione, alla quale vengono delegati compiti di rappacificazione sociale tra le classi e i ceti, omologandoli con valori uniformi e comportamenti comuni (appresi a scuola, ad esempio, o attraverso la propaganda attuata con libri, spettacoli, discorsi, cerimonie, etc.), come pure compiti di formazione sociale e di integrazione produttiva. Tali caratteri rendono l’educazione socialmente cruciale, quasi come il mezzo-principe per promuovere una società equilibrata e organica, aperta ad attuare un proprio costante progresso inteso come sviluppo razionale e come unificazione della collettività, com’è nei voti dell’ideologia borghese progressista. Ma anche per i gruppi conservatori l’educazione è essenziale: solo essa può – con la repressione poliziesca o altro – frenare il disordine sociale, agendo paternalisticamente presso il popolo e integrandolo, mano a mano, nella cultura-ideologia borghese (del lavoro e del risparmio, del sacrificio e della collaborazione sociale). È il richiamo che – ad esempio – corre nella Rerum novarum di Leone XIII, innestandovi però anche istanze autenticamente progressiste, che guardano alle condizioni del lavoratore, ai suoi diritti oltre che ai suoi doveri, ai doveri dei datori di lavoro, in vista di una società interclassista capace di lavorare tutta per il bene comune.
Certamente il nesso pedagogia-società o pedagogia-ideologia/politica non viene a coprire tutta la pedagogia ottocentesca, anche se vi si colloca come il vettore-chiave, intorno al quale più ampio è stato il dibattito e più articolate sono state le soluzioni. Anche altri aspetti dell’educazione e della pedagogia sono stati sviluppati (e in profondità) dalla pedagogia ottocentesca: aspetti che si collocano o su versanti più tecnici o più filosofici del «fare pedagogia» (o educazione). Quattro, in particolare, vanno ben sottolineati: 1) la riflessione intorno alla Bildung, che attraversa tutto il secolo, specialmente nella pedagogia tedesca, e che tende a riformulare, in modo critico e secondo valenze anche utopiche, il modello di formazione, umana e culturale, guardando soprattutto all’armonia del soggetto, alla sua libertà-equilibrio interiore, alla sua ricchezza di forme (cioè di esperienze spirituali); siamo davanti a una pedagogia assai critica rispetto alle ideologie e alle strutture della società moderna, profondamente alimentata dalla nostalgia del classico ma anche imbevuta dell’ideale della libertà come liberazione e autonomia, che contrappone al cittadino e all’homo faber contemporaneo l’utopia dell’«anima bella»; 2) l’attenzione prestata alla funzione educativa dell’arte, attuata dai romantici e approdata nei sistemi filosofici di Schelling o di Schopenhauer o nella prassi educativa di un Fröbel o di un Richter, ma che continua ad operare in tutto il secolo, anche in Herbart, anche in alcuni autori del Positivismo (si pensi a Corrado Ricci e alla sua rivalutazione del disegno infantile). Attraverso l’arte si potenzia la fantasia, si sviluppano le capacità cognitive, si arricchisce la personalità del bambino e del giovane; arte che nell’infanzia è soprattutto gioco e che deve essere messa al centro delle attività nei «giardini d’infanzia», ma anche nella scuola elementare; siamo davanti a una richiesta educativa tipica della cultura romantica e che da lì si diffonde nella pedagogia-educazione di tutto il secolo, mantenendovi una significativa centralità: che valorizza la creatività, che potenzia la libertà della mente; 3) l’importanza assunta dall’epistemologia, ossia da una fondazione rigorosa della pedagogia come sapere, collegata agli statuti della scientificità elaborati in discipline più avanzate (come le scienze naturali e la sociologia, come le scienze dello spirito); si tratta di far assumere questo statuto anche alla pedagogia, riorganizzandone il discorso attraverso l’uso di un metodo più rigoroso, più controllato, più consapevole delle specificità – logiche – del discorso pedagogico; già con Herbart e con l’herbartismo, poi col Positivismo – in particolare –, questa esigenza della pedagogia contemporanea è messa ben a fuoco; anche se attraverso modelli diversi – critico-filosofico il primo, scientifico-sperimentale il secondo; in tal modo, però, si avvia una riflessione che avrà un’enorme importanza e diffusione proprio nel Novecento, che si travaglierà a lungo intorno alla funzione e al modello (ai modelli) dell’epistemologia pedagogica; 4) la riorganizzazione tecnica (cioè relativa alla propria funzionalità e alla propria articolazione, anch’essa funzionale) della scuola, di quella istituzione educativa che si è fatta sempre più centrale nella vita contemporanea; si è trattato di una organizzazione che ne ha riqualificato la funzione e il volto, correlando finalità politiche e strutture curricolari, delineando una struttura di tipo arboreo che viene ad investire ogni ambito dei bisogni sociali di professionalità e di conformazione ideologica; in questo processo, però, la scuola si viene delineando come un organismo tecnico, dotato di fini e di strutture proprie, dotato anche di continuità e di «inerzia» nella società nella quale lavora a mantenere vivi il legame col passato e l’eredità culturale. Nel corso dell’Ottocento lo sforzo per realizzare una scuola efficace in una società in crescita e trasformazione è stato veramente enorme, riguardando aspetti politici e normativo-giuridici e aspetti didattici, operando cioè un coordinamento assai profondo in tutta l’istituzione-scuola e una sua collocazione sociale sempre più articolata e sempre più essenziale.
Quindi l’ideologia è solo l’aspetto più forte, più incisivo e appariscente della pedagogia ottocentesca, ma anche altri – e non secondari – contributi sono stati da essa elaborati in relazione a vari aspetti della educazione, che ha lasciato in eredità al secolo successivo. Con tutto questo possiamo ben comprendere come l’Ottocento possa esser definito il «secolo della pedagogia» (molto più del Settecento, che pur ha attivato una svolta decisiva negli studi pedagogici e nei processi educativi): un secolo che con l’avvento della società di massa e con l’affermazione dell’industrialismo si è trovato davanti il problema della conformazione a nuovi modelli di comportamento di nuove classi sociali, di popoli, di gruppi, realizzabile soltanto attraverso l’educazione, ma un’educazione nuova (organizzata in forma nuova) regolata da teorie nuove, da una pedagogia consapevole della sfida a cui essa deve rispondere. Un secolo assai ricco di modelli formativi, di teorizzazioni pedagogiche, di impegno educativo e di riformismo scolastico, in vista proprio di una crescita sociale da realizzarsi nel modo meno conflittuale possibile e nella forma più generale. È certo, invece, che questo impegno di collante politico-sociale della pedagogia non verrà interamente realizzato, per i conflitti tra forze sociali diverse e tra i loro modelli educativi che si attiveranno nel corso del secolo e che alimenteranno – però – la ricchezza e la creatività della pedagogia, la sua intensa partecipazione al complesso e contraddittorio sviluppo della società contemporanea.

2. La pedagogia romantica da Pestalozzi a Schiller, a Fröbel

L’Ottocento si apre con una grande «rivoluzione culturale», erede delle voci più eretiche dell’Illuminismo (da Rousseau a Kant, da Herder a Jacobi in filosofia, da Saint-Pierre a Madame de Staël, a Goethe in letteratura, da Buffon ad Alexander von Humboldt nelle scienze, tanto per esemplificare), come pure dello spirito della Rivoluzione francese (connesso all’idea di libertà), ma che nettamente si contrappone a molta cultura settecentesca per il suo richiamo all’individuo e al sentimento, alla storia e alla nazione, alla tradizione e all’irrazionale, contro il predominio della «critica» e della «ragione». La nuova forma culturale – che investì letteratura e filosofia, scienza e arte, politica e storiografia, musica e costume accendendo ampi dibattiti e operando una trasformazione radicale del gusto – si qualificò come «romantica», richiamandosi alle tradizioni dell’Europa cristiana medievale ed esaltando gli stati d’animo indefiniti e conflittuali come generatori della nuova cultura (tali lo Streben, il puro tendere verso, o il Rêve, il sogno), producendo così uno stile di pensiero, in ogni ambito culturale, caratterizzato da forti tensioni ideali, da una altrettanto forte coscienza storica, da una netta opposizione agli aspetti meno «nobili» del processo di modernizzazione (l’industrializzazione e la democrazia, il tecnicismo e la massificazione) per esaltare, invece, i valori del sentimento, dell’appartenenza ad una stirpe, della trascendenza religiosa che illumina e risolve il mistero dell’esistenza, sempre drammatica e lacerata, sempre sovrastata dalla morte.
Tale rivoluzione culturale ebbe il suo epicentro in Germania, dove l’opposizione all’Illuminismo fu più radicale e dove i nuovi temi del Romanticismo si svilupparono in ogni campo con più forza e con maggiore organicità. Tra lo Sturm und Drang e la Naturphilosophie, tra l’idealismo trascendentale di Fichte, Schelling ed Hegel e l’idealismo magico di Novalis, tra l’estetica romantica degli Schlegel e di Wackenroder e le ricerche sul nazional-popolare dei fratelli Grimm, fino al pessimismo filosofico di Schopenhauer e all’ermeneutica religiosa di Schleiermacher, fino al nazionalismo eroico del giovane Wagner – pur con qualche resistenza: esemplare, in filosofia, quella del realismo di Herbart – si venne delineando un amplissimo movimento culturale che investì poi tutta l’Europa e produsse, nelle diverse aree nazionali, una ripresa/variazione dei temi tedeschi, legati a una cultura fortemente spiritualistica, tradizionalista e liberale insieme, attenta ai temi del conflitto, del tragico, dell’eroico come a quelli della nazione, del popolo e della storia. Il Romanticismo fu un evento veramente europeo ed influenzò in profondità ogni ambito della cultura: anche la pedagogia.
Nell’ambito della pedagogia la stagione romantica ha prodotto un profondo rinnovamento teorico – soprattutto teorico – che ha attivato, da un lato, una nuova idea di formazione (come Bildung, come sviluppo spirituale attraverso la cultura) legata a una nuova concezione dello spirito umano (posto come centro del mondo, come presenza attiva, attraverso molteplici itinerari della cultura e in lotta con quel mondo naturale e storico in cui è immerso e che deve tendere a dominare), ma anche della cultura e della storia (viste non come intessute di errori, ma valorizzate in ogni loro aspetto); dall’altro lato, una riaffermazione dell’educazione, del rapporto educativo, della scuola e della famiglia come momenti centrali di ogni formazione umana e che vanno assunti in tutta la loro – complessa – problematicità formativa, relativa – appunto – a una formazione dello spirito. Tutte le grandi pedagogie del Romanticismo, specialmente tedesco, si dispongono su questi due fronti, intrecciano questi due motivi, sia col grande maestro della peda...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima. Il mondo antico
  3. I. Caratteri dell’educazione antica
  4. II. L’educazione in Grecia
  5. III. Roma e l’educazione
  6. IV. Il Cristianesimo come rivoluzione educativa
  7. Parte seconda. L’età medievale
  8. I. Caratteri dell’educazione medievale
  9. II. L’Alto Medioevo e l’educazione feudale
  10. III. Il Basso Medioevo e l’educazione cittadina
  11. Parte terza. L’età moderna
  12. I. Caratteri dell’educazione moderna
  13. II. Tra Quattrocento e Cinquecento: il rinnovamento pedagogico
  14. III. Il Seicento e la rivoluzione pedagogica borghese
  15. IV. Il Settecento: laicizzazione educativa e razionalismo pedagogico
  16. Parte quarta. L’età contemporanea
  17. I. Caratteri dell’educazione contemporanea
  18. II. L’Ottocento: il secolo dellapedagogia. Conflitti ideologici, modelli formativi, saperi dell’educazione
  19. III. Il Novecento fino agli anni Cinquanta. Scuole nuove e ideologie dell’educazione
  20. IV. Il secondo Novecento: scienze dell’educazione e impegno planetario della pedagogia
  21. Bibliografia