Capitolo 1.
Introduzione: reinventare la storia?
1. Qual è il ruolo dell’invenzione nella storia e nel suo racconto?
Se l’Introduzione a un libro ha il compito di spiegare il motivo che ha spinto lo scrittore a scriverlo e che dovrebbe indurre altri a leggerlo, allora, nel caso di questa ricerca, quel motivo si può esprimere così: qual è il ruolo dell’invenzione nella storia e nel suo racconto?. Si tratta di un quesito che, a prima vista, potrebbe sembrare bizzarro e provocatorio, perché parlare di «invenzione» nei riguardi della «realtà» del passato appare una sfida al senso comune e anche a ben radicate convinzioni storiografiche. Ma è altrettanto vero che ognuno ha potuto constatare come la «realtà» della storia sia una sostanza a dir poco assai malleabile, in quanto esposta alle più diverse interpretazioni, alle più disparate rappresentazioni e ai più consolidati pregiudizi, che la rendono sfuggente e restia a sottoporsi a regole chiare e ben definite.
Anche l’autore di questo libro, che del «capitalismo» si è lungamente occupato nei suoi studi di filosofia della politica e di storia delle dottrine economiche, ha dovuto constatare che il modo più diffuso di concepire la realtà storica capitalista e di narrarla nei più diversi racconti riesce a sottrarsi a quel dilemma solo in rari casi e forse mai compiutamente, oscillando il più delle volte fra una plausibile oggettività del reale e l’inevitabile soggettività della sua interpretazione.
La scelta, da parte di chi scrive, di affrontare questa annosa e spinosa questione è sorta quando si è deciso a realizzare il desiderio, a lungo coltivato, di proporre e sperimentare un diverso modo di concepire il capitalismo e di narrarne la storia che consentisse di evitare quel dilemma. E questo progetto lo ha costretto a misurarsi preliminarmente con la moderna evoluzione della storiografia e dei suoi metodi di indagine sotto almeno due aspetti: dal punto di vista concettuale, ossia del tipo di paradigma interpretativo da impiegare e delle categorie analitiche da utilizzare nell’indagine dei fatti del passato, e dal punto di vista narrativo, ossia del tipo di esposizione di quei fatti da adottare nel racconto storico.
In altri termini la storiografia, fra Ottocento e Novecento, si è posta il seguente problema: se sia sensato che la realtà del passato venga considerata come «oggettiva», nel senso di fissa e immutabile, e che quindi il suo racconto debba restituircela il più possibile tal quale era avvenuta; oppure, al contrario, se non si debba accettare che quella realtà venga concepita come oggetto di una scelta dettata dalle inclinazioni «soggettive» e culturali dello storico, dunque frutto anche del suo «immaginario», e che perciò il suo racconto non possa sottrarsi, per certi versi, proprio all’esercizio della «invenzione» che caratterizza ogni forma di arte narrativa.
È stato a causa di quell’evoluzione della storiografia moderna che è divenuto legittimo porsi il quesito indicato all’inizio, e che quindi il termine «invenzione» ha potuto acquistare un significato non paradossale, finendo anzi per fare da guida e da stimolo alla presente ricerca.
È il percorso di quell’evoluzione che ci proponiamo di mostrare nei prossimi paragrafi, e anche le conseguenze che ne sono derivate per la sperimentazione, in questo libro, di quel diverso modo di concepire il capitalismo e di narrarne la storia che ci eravamo proposti quando lo abbiamo iniziato.
2. L’opportunità di cercare un nuovo paradigma storiografico
Dal punto di vista concettuale, il modello di ricerca condiviso dalla comunità degli studiosi e usato nelle indagini sulla secolare storia del capitalismo impiega ancora oggi le categorie analitiche tradizionali della società, della politica, dell’economia e della cultura. E tali categorie vengono anche sovente concepite singolarmente e separatamente, dando così luogo a distinte storie sociali, politiche, economiche e culturali, dalle quali è assai problematico ricavare un quadro intero e completo dell’evoluzione del capitalismo. Poiché invece nel corso della sua storia quelle categorie hanno sempre di più esercitato il loro ruolo combinandosi insieme, è piuttosto dei loro collegamenti che è opportuno intraprendere lo studio per coglierne il pieno significato e il ruolo più rilevante. E questo implica che si impieghi un diverso modello di ricerca.
Negli anni Sessanta del Novecento al posto dell’espressione «modello di ricerca» o «di riferimento» è entrato in uso presso gli studiosi il termine «paradigma», col significato originariamente attribuitogli da Thomas Kuhn in riferimento ad esempi tratti dalle scienze naturali1. Con tale termine egli si riferiva infatti a conquiste scientifiche universalmente riconosciute «le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerca»2.
Il concetto di paradigma è poi stato adottato anche nei più diversi campi delle scienze sociali, cioè nella storia, nella filosofia, nella sociologia, nelle scienze politiche e nell’antropologia, suscitando un vasto dibattito scientifico. Perché è risultata assai discutibile l’estensione a quei campi di ciò che nel titolo stesso dell’opera di Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, allude al ruolo che secondo lui hanno giocato i paradigmi nelle successive crisi e trasformazioni subite dalle scienze naturali con le storiche «rivoluzioni» copernicana, newtoniana e della relatività di Einstein. La tesi di Kuhn è infatti che quelle rivoluzioni, seguite a un periodo che egli definisce di «scienza normale», sono state in vari modi contraddistinte e accompagnate da nuovi paradigmi, nel senso che «la nascita di una nuova teoria comporta la rottura con una tradizione di prassi scientifica e introduce una prassi nuova che si svolgerà secondo regole differenti entro un differente universo di discorso»3.
Questa relazione diretta fra il concetto di paradigma e le fasi storiche di crisi, o addirittura di rivoluzione, di una data teoria ha dunque suscitato molte perplessità nel campo delle scienze sociali, e non è in questo senso che qui vogliamo usarlo. Ci sembra tuttavia che sia un concetto valido per questo studio se utilizzato, come dice Kuhn stesso, in riferimento «a quei caratteristici mutamenti della concezione accettata dalla comunità scientifica riguardo ai suoi problemi e criteri legittimi» quando quei problemi e quei criteri non paiono più adeguati a dar conto della realtà.
Nel nostro caso la comunità è quella multiforme degli storici, degli economisti, dei sociologi e dei teorici della politica i quali, come abbiamo detto sopra, continuano a servirsi di un paradigma nel quale sopravvivono le categorie analitiche della società, della politica, dell’economia e della cultura. Ne consegue allora l’opportunità di proporre un mutamento di quel paradigma, nel senso cioè di individuarne uno nuovo che consenta di scoprire l’emergere di un genere di fenomeni diversi da quelli fin qui indagati dalla storiografia più diffusa, perché caratterizzati dal loro manifestarsi non separatamente ma congiuntamente, secondo i principî della teoria dei sistemi4.
Dunque ci occorre un nuovo paradigma sistemico, che consenta una considerazione complessiva e unitaria di differenti sfere di fenomeni e del loro reciproco condizionarsi. Grazie al quale, per esempio, come si vedrà nel seguito di questo studio, si potrà constatare che fin dai primi esordi del capitalismo, nel XIII secolo, le sfere della «società», della «politica» e dell’«economia» hanno progressivamente cessato di essere delle solitarie protagoniste della storia, come vengono usualmente concepite. Perché invece esse, da costituire elementi originariamente eterogenei e separati, nel capitalismo si sono andate sempre più amalgamando in una sintesi che comprende le forme della società delle classi, del governo delle istituzioni pubbliche e dell’economia di mercato. È stato dunque il capitalismo storico a comporre di mano in mano quelle forme in un trio unitario nel quale si articola una singola forma che in questo studio denominiamo «potenza», e che consideriamo l’elemento fondante del sistema capitalistico per il ruolo che svolge nell’accumulazione del capitale.
All’inverso, la sfera dell’«economia» è andata scindendosi con il capitalismo in due distinti livelli: da semplice situazione degli scambi concorrenziali di mercato si è trasformata in un presupposto di base della interamente nuova categoria dell’accumulazione dei guadagni, che è il livello superiore degli scambi, nel quale si realizza il vero fine sociale innovativo del capitalismo storico.
A sua volta la «cultura», per dare impulso sia alla potenza che all’accumulazione capitalistiche, ha dovuto assumere una duplice forma. Da un lato la forma della religione sociale e laica del denaro e della proprietà, insomma degli affari, e dall’altro la forma della scienza, del cui avanzamento il capitalismo è stato in varia misura promotore e da cui è stato fortemente condizionato.
L’adozione del paradigma sistemico, rivelando l’intreccio di quei quattro complessi fenomeni che abbiamo denominati la potenza, l’accumulazione, la religione e la scienza, esercita una duplice funzione. Poiché riguarda sia la questione della realtà storica da indagare (la storia come complesso di accadimenti di cui lo storico è chiamato a dar conto), sia i metodi della conoscenza da adottare (la storia in quanto storiografia, secondo le concezioni che formano e definiscono la s...