Il popolo
13a Avenue, Brooklyn
9a Avenue. Fort Hamilton Parkway. 50a strada. 55a strada. Quando il treno proveniente da Manhattan e diretto a Coney Island giunge alla fermata «55a strada», fra i passeggeri che scendono ci sono giovani donne con parrucca e numerosi bambini al seguito, studenti di yeshivah con lo zaino sulle spalle e qualche uomo sulla sessantina con gli tzitziot del tallit katan che escono da sotto il gilet. Per tutti «55a strada» in realtà significa 13a Avenue, ovvero la strada più vissuta, trafficata e pulsante di Boro Park1, che assieme a Flatbush Avenue, Crown Heights, Williamsburg, Coney Island e Brighton Beach è una delle zone di Brooklyn che comprendono una popolazione di ebrei ortodossi più numerosa di quella del quartiere di Mea Shearim a Gerusalemme.
Uscendo dalla stazione sopraelevata ci si trova dinanzi a un macellaio kosher, a un noleggio di automobili che non lavora il sabato e al chiosco di un giornalaio ricoperto di titoli in ebraico, russo e yiddish accanto alla solita pila dei tabloid «New York Post» e «Daily News». Il «New York Times» da queste parti non ha molti lettori, essendo considerato una voce degli ebrei laici, molto assimilati e troppo critici nei confronti di Israele. Su entrambi i lati della 13a Avenue, dalla 54a alla 39a strada, decine di botteghe di vestiti, alimentari, elettronica come anche mercatini, boutique di abiti da sposa, negozi di giudaica, librerie e pizzerie si susseguono, spesso raggruppati per genere, proponendo prezzi bassi per attirare la clientela di una zona dove il 63 per cento dei nuclei familiari ha un reddito annuo inferiore ai 35.000 dollari.
Fra la 45a e la 46a strada si vendono cappotti, cappelli e parrucche – che le donne ortodosse indossano dopo il matrimonio – tutti rigorosamente senza shatnez, ovvero confezionati con tessuti conformi al precetto che impedisce di mescolare lana e lino. Trovare un parcheggio è impossibile, i negozianti tentano di richiamare l’attenzione dei clienti gridando in yiddish in piccoli megafoni, mentre un po’ ovunque si sentono musiche di cantanti ortodossi come Avraham Fried. Qui non vi sono le catene dei grandi magazzini di Manhattan – Bloomingdale’s, Barney’s, H&M o Macy’s – perché i clienti locali non hanno molto denaro da spendere. Diversamente dagli ebrei stranieri, che vengono sulla 13a Avenue per ritrovare la Varsavia descritta dalle foto di Roman Vishniac prima della Shoà o sentirsi a Gerusalemme anche dopo aver attraversato l’Oceano Atlantico. Per i turisti, ma anche per i parenti che vengono da altri quartieri per trascorrere uno Shabbat vicino alla famiglia, c’è un hotel di 52 stanze. La banca Astoria Federal Savings, al 5220 della 13a Avenue, consente di ritirare i soldi da un atm (il bancomat americano) che oltre a inglese e spagnolo accetta anche comandi in yiddish. Nelle strade laterali file di case a due piani – che spesso svelano la condizione disagiata di chi vi abita – si alternano a sinagoghe situate in edifici più alti o a shtiblach – semplici sottoscala adibiti alle preghiere –, in un continuo via vai di mamme con bambini in carrozzina e autobus gialli che accompagnano gli studenti a scuola.
I chassidim Bobover hanno il loro quartier generale e le loro scuole sulla Bobover Promenade, lungo la 48a strada, dove sorgono anche il Temple Beth El e il duomo del Temple Emanu-El, ovvero le due più imponenti sinagoghe non chassidiche di Borough Park. Da queste parti, il tempo libero si svolge attorno a centri culturali – come lo ym-ywha – che offrono corsi di lettura, piscina, sauna, un club per sopravvissuti alla Shoà e la visione di film classici in yiddish come Il Dybbuk e Il fabbro cantante. Quando nel mese di Adar – che in genere coincide con marzo – arriva la festa di Purim, l’appuntamento per i più piccoli è sulla 14a Avenue, che si ricopre di maschere della regina Esther e del cugino Mordechai, che nell’antica Persia salvarono gli ebrei dalla distruzione voluta dal malefico Amman. Borough Park è un villaggio etnico, dove i primi ebrei arrivarono negli anni Trenta dell’Ottocento, che iniziò a formarsi solo all’inizio del Novecento, quando la costruzione del ponte di Brooklyn consentì agli ebrei che affollavano lo shtetl del Lower East Side di varcare l’East River, lasciando un quartiere sovraffollato per trasferirsi in una zona dove le case erano più spaziose, divise da qualche metro di distanza e circondate perfino da piccoli giardini. «Ciò che distingue questo villaggio – spiega Egon Mayer, direttore del Center for Jewish Studies della City University di New York – è il fatto di essere stato capace di comunicare con ogni angolo del mondo. È una comunità insulare che tutti conoscono e sanno come raggiungere». Il proliferare delle piccole botteghe di titolari che hanno scelto di vendere prodotti ebraici ad altri ebrei ha portato un maggiore benessere e così le banche locali hanno moltiplicato le filiali. «In pochi anni siamo passati da un totale di depositi di zero dollari a 350 milioni» racconta Charles Hamm, presidente della Independence Community Bank, secondo cui «la 13a Avenue è divenuta uno dei luoghi più vivaci dell’economia nazionale» grazie all’estrema operosità degli abitanti2. Non sorprende, dunque, se cinque anni fa la Doron Food Corporation – che spedisce una media annua di cinquemila pizze kosher congelate in ogni angolo di Stati Uniti e Canada – ha deciso di spostare il proprio quartier generale da Lower Manhattan a Borough Park. Se invece parliamo di pizza al taglio, ogni venerdì pomeriggio i tavolini più affollati sono quelli di Amnon Kosher Pizza, famoso anche per il falafel, le knishes di patate e, ovviamente, la pizza. Fra i clienti abituali c’è anche la signora Taub, nata nel nord della Romania, sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz e arrivata sulla 13a Avenue dopo aver vissuto per alcuni anni in Israele. Il figlio Michael assicura che il motivo per cui la madre frequenta così spesso la pizzeria non ha molto a che vedere con la pizza, quanto piuttosto con il fatto che quel posto «le ricorda da dove è venuta»3.
Chassid-ville a Borough Park
Borough Park è la Chassid-ville di Brooklyn. Negli ultimi cinque anni ha beneficiato dell’arrivo di vari gruppi di chassidim trasferitisi da altri quartieri di New York. Molti di loro hanno comprato e rinnovato appartamenti, che spesso sono diventati delle shtiblach. Così, su porte e portoncini si sono moltiplicate denominazioni di sinagoghe che si richiamano ai villaggi perduti in Russia, Polonia, Ungheria, Ucraina, Romania e altre zone dell’Europa centro-orientale: Lubavitch, Bobov, Satmar, Breslav, Ger, Kossov, Sighet, Vishnitz. Dinastie chassidiche hanno aperto scuole e yeshivot. I discepoli dei Rebbe Gerer, Bobover, Vishnitzer e di molti altri vivono gli uni a fianco agli altri in un reticolo di strade di Borough Park – nel sud di Brooklyn – comprese in un’area lunga venti isolati e larga sei, che si estende fra la 12a e 18a Avenue e fra la 40a e la 62a strada.
Carri e carretti che nel XVII e XVIII secolo pullulavano gli shtetl della Russia e dell’Europa dell’Est, a Borough Park sono stati sostituiti da automobili station wagon, adatte a trasportare masserizie e bambini. Qui vivono oltre 76.000 ebrei: il 75 per cento è ortodosso, il 71 per cento è sposato, il 76 per cento delle famiglie rispetta la kasherut e nell’81 per cento delle case il venerdì sera si accendono le luci per segnare l’entrata dello Shabbat mentre i matrimoni misti sono appena il 6 per cento (uno dei picchi minimi dell’intera New York). Da queste parti è raro incontrare un uomo che cammina a testa scoperta e impossibile trovare un negozio aperto di sabato.
Dopo lo sterminio nazista della Seconda guerra mondiale, molti ebrei sopravvissuti si sono insediati a Borough Park, dove vivevano già famiglie irlandesi e italiane. Progressivamente si sono appropriati di questa zona, anche grazie a un baby-boom che ha sorpreso il Dipartimento pianificazione familiare del Comune di New York, quando tre esperti – Joseph Salvo, Frank Vardy e Vicky Virgin – alla fine degli anni Novanta si sono trovati dinanzi a un’area di nove isolati con un totale di cento nascite l’anno. Secondo lo studio condotto dai tre ricercatori, a Borough Park mille donne di età compresa fra i 35 e 44 anni nel corso complessivo della loro vita partoriscono 3.800 bambini, mentre la media di Brooklyn è di 2.000 nascite e quella di New York City di 1.750. A Borough Park i minori di 17 anni sono il 42 per cento della popolazione, in tutta Brooklyn il 30 e nell’intera New York City il 234.
I diversi gruppi di chassidim stanno vivendo una rinascita che li ha portati non solo a crescere qui – come in Israele – ma a insediarsi anche in Australia e Russia, Marocco e Sud America, Alaska e Sud Africa, soprattutto grazie agli shluchim, gli «emissari» di Menachem Mendel Schneerson, Rebbe di Lubavitch, scomparso nel 1994 – a 92 anni – lasciando dietro di sé, al 770 di Eastern Parkway, il fulcro di una comunità chassidica presente in oltre cento nazioni. Eastern Parkway è a Crown Heights, uno dei quartieri ebraici che progressivamente si sono spopolati lasciando il posto ad afroamericani e ispanici. Ma i chassidim Lubavitch sono determinati a restare: attorno alla grande sinagoga in mattoni rossi, dove pregava e insegnava il Rebbe, continuano a vivere in quella che è diventata un’enclave ortodossa. I Lubavitch sono di origine russa e stanno a Crown Heights come i Satmar di origine ungherese stanno a Williamsburg. Ma il quartiere dove riescono a convivere i differenti gruppi di ebrei è Borough Park, tanto da essere diventato un punto di attrazione anche per i chassidim che vivono in altre zone attorno a New York. Da Lawrence, Long Island, come a Monsey e New Square, nell’Upstate oppure a Passaic, New Jersey, le famiglie si spostano verso la 13a Avenue attirate dai grandi supermercati kosher, dai coiffeur per donne con parrucca come dai negozi che vendono ogni possibile tipo di cappello e pastrano nero.
Le statistiche del censo affermano che gli abitanti di Borough Park sono in gran parte ebrei. Ma nessuno conosce le cifre esatte di una comunità che mostra la propria vitalità non solo attraverso il boom edilizio, ma anche tramite il suo crescente numero di istituzioni di assistenza: dalla Shlomo Stern, la scuola per bambini con ritardo nell’apprendimento al Metropolitan Jewish Geriatric Center per anziani. E c’è dell’altro: pur di vivere a Borough Park, le famiglie di chassidim non badano alle differenze di reddito ed è un fenomeno che crea una situazione sociale anomala in una città come New York, permettendo che ricchi e poveri convivano e si ritrovino a pregare anche nelle stesse sinagoghe o a fare la spesa negli stessi mercatini. Per avere un’idea di quanto sia diffusa la tzedakah – l’opera di beneficenza – è sufficiente fare una passeggiata nelle strade laterali il giovedì pomeriggio, quando gli studenti delle yeshivot caricano su dozzine di station vagon centinaia di pacchi con dentro uova, latte, pollo e vino kosher da distribuire alle sinagoghe, affinché anche i poveri possano mangiare durante lo Shabbat.
A Chassid-ville le scuole sono chiuse il sabato e aperte la domenica, le tv e i pub scarseggiano, le donne non mostrano gambe e braccia scoperte, ogni mattina alle 8 un’armata di autobus gialli trasporta bambini e bambine verso le 65 scuole religiose del quartiere, mentre la cosa più comune che possa capitare a un uomo che si trovi a camminare per strada è di essere chiamato per un minyan – raggiungere il numero necessario di almeno dieci uomini e recarsi nella sinagoga più vicina per recitare le preghiere.
Gli eroi di Williamsburg
«Se Adolf Hitler fosse ancora vivo vorrei essere il suo autista per qualche ora e portarlo a fare un giro per Williamsburg». Le parole di Yossi Garelik, un chassid di Lubavitch appassionato di storia e politica, aiutano a comprendere la realtà di un quartiere di Brooklyn dove in dieci anni il numero delle famiglie ebraiche è balzato dall’8 al 38 per cento raggiungendo un totale di 52.700 anime, di cui il 94 per cento è ortodosso e il 54 per cento ha meno di 17 anni. «Ortodosso» da queste parti è sinonimo di Satmar, i chassidim che i nazisti tentarono di sterminare nell’ultimo anno di guerra assieme a tutti gli oltre 500.000 ebrei magiari.
Per avere un’idea dell’atmosfera di Williamsburg basta pensare che ogni isolato contiene una o più sinagoghe, che il 94 per cento delle famiglie fa il Seder di Pesach, che il 92 per cento osserva il sabato e il 91 digiuna a Kippur. A qualsiasi ora del giorno e della notte si vedono chassidim andare e venire dalle yeshivot in un ininterrotto fiume di vita ebraica che parla yiddish e quasi sempre ha la propria terra d’origine in Ungheria. È in questo angolo di Brooklyn, sotto il ponte di Williamsburg, sull’East River, che per mezzo secolo hanno vissuto quasi in incognito i due fratelli bielorussi protagonisti di uno dei più riusciti episodi di resistenza armata contro i nazisti. Tuvia e Zus Bielski – scomparsi rispettivamente nel 1987 e nel 1995 – a Williamsburg lavoravano in una società che gestiva taxi e un camion da trasporto. Conducevano vite semplici, facendo attenzione a dare valore a eventi comuni che ritenevano di straordinaria importanza, come gli allenamenti sportivi dei figli e l’abitudine serale della cena casalinga. Nati all’inizio del Novecento a Stankiewicze, piccolo centro rurale della Bielorussia, in una famiglia di dodici figli, Tuvia e Zus furono arrestati dai nazisti il 22 giugno 1941, il giorno in cui iniziò l’attacco tedesco all’Unione Sovietica, ma riuscirono a scappare giurando che avrebbero fatto di tutto per non essere più catturati. Nacque così la decisione di rifugiarsi nella foresta di Novogrudok, dove portarono anche i fratelli Asael e Aron, di appena 11 anni, mentre il resto della famiglia veniva trucidato o deportato. Nei boschi i fratelli Bielski crearono un’unità di partigiani ebrei la cui missione era di combattere i nazisti e far fuggire dai ghetti il maggior numero di persone possibile.
Tuvia era il comandante della cosiddetta Brigata Bielski, Asael guidava le unità d’attacco e Zus aveva la responsabilità delle ricognizioni sul territorio. Nell’ottobre del 1942 la Brigata contava 200 unità fra uomini e donne, quantità che si era già triplicata nell’estate del 1943. Vivendo in nascondigli sotterranei, bevendo l’acqua dei fiumi e cibandosi di ciò che la foresta poteva offrire, la Brigata dava fastidio ai tedeschi nel bel mezzo dell’Urss occupata e la Wehrmacht decise di liquidarla lanciando una vasta operazione nei boschi di Novogrudok. Ma i fratelli Bielski riuscirono a portarsi in salvo fuggendo per paludi, dove anche i cani dei tedeschi non volevano entrare. Così, protetta dalla palude, nel cuore della foresta la Brigata fondò un accampamento che alcuni chi...