Il tempo continuo della storia
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Il tempo continuo della storia

  1. 168 pagine
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Il tempo continuo della storia

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«Né tesi né sintesi, questo libro è il punto d'arrivo di una lunga ricerca: una riflessione sulla storia, sui periodi della storia occidentale, nel corso della quale il Medioevo mi ha accompagnato fin dal 1950. Si tratta quindi di un'opera che porto dentro di me da molto tempo, alimentata da idee che mi stanno a cuore, una cavalcata nel tempo che torna a riflettere sulle diverse maniere di concepire le periodizzazioni storiche: le continuità, le rotture, i modi di pensare la memoria della storia.»

Periodizzare la storia non è mai un atto neutro o innocente. Periodizzare la storia è a sua volta un appassionante tema di storia.

Questo è l'ultimo libro di un grande maestro.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858129432

Un lungo Medioevo

Si tratta ora di mostrare come sia in campo economico, sia nella sfera politica, sociale e culturale, nel Cinquecento, e di fatto fino a metà Settecento, non intervengano cambiamenti fondamentali e tali da giustificare una separazione fra il Medioevo e un periodo nuovo, diverso, che sarebbe il Rinascimento.
Alla fine del XV secolo si produce un evento di enorme portata per l’Europa: la scoperta da parte di Cristoforo Colombo di terre che egli pensa siano le Indie orientali, e che invece sono un continente nuovo, che di lì a poco verrà chiamato «America». Questo ampliamento della circolazione nel mondo verrà ulteriormente esteso e portato a compimento all’inizio del XVI secolo, con il viaggio di circumnavigazione del globo compiuto da Ferdinando Magellano. Ma è solo a partire più o meno da metà Settecento che in Europa si fanno sentire le principali ripercussioni di queste scoperte. Di fatto, l’America diventa un’interlocutrice del Vecchio continente solo al momento della nascita degli Stati Uniti, nel 1776, e per quanto riguarda l’America meridionale, con la liberazione da parte di Simón Bolivar, a partire dal 1810, di una gran parte delle colonie spagnole.
Più importante della colonizzazione europea, la quale conosce un vero e proprio sviluppo solo dopo la metà del Settecento e soprattutto nell’Ottocento, è forse il perfezionamento della navigazione d’alto mare, che avviene a partire dal Medioevo. Quello che apre agli europei una simile opportunità è l’introduzione, nel XIII secolo, della bussola, del timone di poppa, della vela quadrata. Le due parti dell’Europa, quella nordica e quella mediterranea, sono da quel momento collegate in modo regolare da grandi galere che trasportano merci ma anche uomini. Il primo viaggio di collegamento regolare fra Genova e Bruges avviene nel 1297. Fernand Braudel ricorda che Lisbona nel Duecento conosce un tale sviluppo da diventare «uno scalo che a poco a poco assimila le lezioni di un’economia attiva, marinara, periferica, capitalistica»104. Ritornerò in seguito su ciò, per contestare il termine «capitalistica»; occorre tuttavia sottolineare fin da ora questa nascita, già nel Medioevo, di una rilevante attività, in gran parte marittima, che la tradizione storiografica fa di solito cominciare solo nel XV e nel XVI secolo.
Tuttavia, come rileva sempre Braudel, i trasporti via acqua o via terra, se si eccettua il caso dei messaggeri a cavallo per alcuni servizi specializzati, rimangono lenti. È solo nel XVIII secolo che in Francia le grandi vie di comunicazione diventano migliori e più rapide. Il costo per l’appalto delle poste francesi aumenta da 1.220.000 lire nel 1676 a 8.800.000 nel 1776, il bilancio dell’amministrazione dei Ponts et chaussées (Ponti e strade) da 700.000 a 7 milioni di lire. L’École des ponts et chaussées viene fondata nel 1747.
Alain Tallon, nella sua sintesi dedicata a L’Europe de la Renaissance, osserva:
L’economia europea del Rinascimento conserva più globalmente la fragilità propria di ogni sistema di produzione tradizionale. In mancanza di reali trasformazioni del sistema colturale nella maggior parte dei terreni, e quindi di un significativo incremento delle rese agricole, essa è incapace di crescere105.
Nel Medioevo l’economia agraria europea ha conosciuto un certo sviluppo: l’invenzione dell’aratro col vomere in ferro ha consentito un’aratura più profonda; con la diffusione della rotazione triennale, ogni anno può rimanere a riposo un terzo della terra, e non più la metà; a ciò bisogna aggiungere la sostituzione del bue con il cavallo come animale da tiro. Ma nel XVI secolo, e anche oltre, in Europa permane un’economia agraria di lunga durata. Questa dimensione rurale anzi si rafforza, poiché coloro che si arricchiscono grazie ai commerci e alle nascenti attività bancarie reinvestono una larga quota dei loro guadagni in proprietà fondiarie. È il caso ad esempio dei banchieri genovesi e fiorentini in Italia e dei grandi funzionari delle finanze nella Francia di Francesco I106.
Un altro elemento di continuità fra Medioevo e Rinascimento è l’elaborazione del pensiero economico. Il suo atto di nascita è senza dubbio la comparsa del termine «valore» in un’accezione teorica, nella traduzione dell’Etica nicomachea di Aristotele effettuata dal grande filosofo della scolastica Alberto Magno, verso il 1250. Come dimostra in modo convincente Sylvain Piron, il Trattato dei contratti (circa 1292) del francescano eretico Pietro di Giovanni Olivi fa compiere al pensiero economico un progresso fondamentale. Con esso vengono introdotti concetti quali «scarsità», «capitale», «usura», suscitando vivaci discussioni di tipo teorico e pratico107. La proibizione dell’usura, vale a dire del prestito a interesse, giunge al momento culminante con il decreto di Urbano III verso il 1187, per poi scomparire a poco a poco: non è presente nel Codice civile napoleonico del 1804. Nel 1615 Antoine de Montchrestien (1575-1621) fa ricorso in un suo trattato al concetto di «economia politica» (il termine «economia» aveva fino a quel momento il significato di «amministrazione domestica», come nel greco antico e in Aristotele). L’Occidente capitalistico conosce così una lunga evoluzione, che nei suoi fondamenti economici e sociali ignora la frattura del Rinascimento.
La grande opera di Fernand Braudel, Civiltà materiale e capitalismo (il cui primo volume risale al 1967) è preziosa anche per riflettere sulla continuità fra Medioevo e Rinascimento. Nell’Europa rurale di un ancien régime che si estende dai progressi dell’XI-XII secolo alla vigilia della Rivoluzione francese, i raccolti, ricorda Braudel, sono scanditi dalle carestie. La Francia, che peraltro Braudel ritiene un paese privilegiato, conosce dieci carestie generali nel X secolo, ventisei nell’XI, due nel XII, quattro nel XIV, sette nel XV, tredici nel XVI, undici nel XVII, sedici nel XVIII108. La peste, la più terribile delle malattie epidemiche, flagella l’Europa in modo ricorrente fra il 1348 e il 1720, e anche a questo riguardo il XV e il XVI secolo non segnano una frattura.
Braudel sottolinea inoltre che fino al XVIII secolo l’alimentazione degli europei era composta essenzialmente da cibi vegetali109. In Francia, paese eccezionalmente carnivoro, il consumo di carne stranamente non registra aumenti in quel Cinquecento che i sostenitori del Rinascimento descrivono come un secolo di crescita, e anzi dal 1550 cala a picco. Le bevande e i legumi importati dalle regioni extra-europee a partire dal Cinquecento hanno una diffusione limitata: così è per il cioccolato, il tè (riservati alla Gran Bretagna, ai Paesi Bassi e alla Russia) e anche per il caffè, che raggiunge l’Europa a metà del Seicento ma il cui consumo aumenta veramente solo a partire dalla metà del Settecento, da quando diventerà un ingrediente di primo piano nel regime alimentare dell’Europa meridionale e centrale. Fino al Settecento le rese del grano, o meglio dei grani (segalata, segale ecc.) restano basse, e la concimazione è sempre quella umana e animale. Fra gli elementi scatenanti dei disordini che condurranno alla Rivoluzione, la carestia dell’estate del 1789 avrà probabilmente un notevole peso.
A partire dall’XI secolo il moltiplicarsi del numero dei mulini permette di aumentare la produzione di pane, che diventa la base dell’alimentazione europea. Il suo prezzo varia a seconda della qualità, e si apre un divario fra il pane quasi nero dei contadini e quello quasi bianco dei borghesi e dei signori. Ma come scrive Braudel, «soltanto fra il 1750 e il 1850 avviene la vera rivoluzione del pane bianco. Allora il frumento si sostituisce agli altri cereali (così in Inghilterra, il pane viene impastato con farine sempre più vagliate dal cruschello)»110.
Le classi superiori cominciano ad esigere un cibo buono sia per il gusto sia per la salute. Si diffonde il pane fermentato, e Diderot, per esempio, rileva che la farinata, un tempo elemento base del regime alimentare, è indigesta. Nel 1780 viene fondata una scuola nazionale di panetteria, e l’esercito napoleonico propagherà in tutta Europa questo «bene prezioso, il pane bianco»111.
Analogamente, nel Medioevo, la pesca nordica e le nuove tecniche di conservazione del pesce fanno dell’aringa un alimento europeo. Le grandi zone di pesca delle aringhe permettono fin dall’XI secolo ai pescatori ansea­tici, olandesi e zelandesi di arricchirsi. Verso il 1350 un olandese avrebbe scoperto il modo per pulire e salare le aringhe e conservarle in barile: diventava così possibile esportarle in tutta Europa, in particolare fino a Venezia.
Anche il consumo del pepe, ingrediente importato dall’Oriente e fondamentale nella cucina medievale, prosegue, e subirà una flessione solo a partire da metà Seicento.
In questa continuità, si deve comunque notare una novità destinata a un grande avvenire: l’alcol. La sua fortuna è tardiva, e se il Cinquecento, come nota ancora Braudel, «per così dire, lo crea»112, è il Settecento a renderlo popolare. Per molto tempo l’acquavite, distillata soprattutto nei conventi di monaci, è rimasta un medicamento, proposto da medici e farmacisti e utilizzato contro la peste, la gotta o la perdita della voce. Essa diventa una bevanda festiva solo nel XVI secolo. In seguito il suo consumo aumenta lentamente per raggiungere il massimo nel XVIII secolo. Ma il kirsch, ad esempio, proveniente dall’Alsazia, dalla Lorena e dalla Franca Contea, ancora nel 1760 risulta utilizzato a Parigi solo come rimedio.
Se passiamo alla produzione e all’uso dei metalli, settore in cui la fabbrica e gli inizi dell’industria si avranno solo nell’Inghilterra del XVIII secolo, dobbiamo anche in questo caso rilevare la continuità del loro impiego nel Medioevo, nel Rinascimento e oltre. Al riguardo Mathieu Arnoux ha potuto scrivere: «La cultura materiale medievale fu probabilmente altrettanto una civiltà del ferro quanto del legno»113. Il ferro viene usato in quantità piuttosto rilevanti tanto per la costruzione delle cattedrali che per la produzione di strumenti agricoli in via di diffusione (aratro con vomere e versoio in ferro). L’uso sempre più ampio del cavallo, non solo come destriero da battaglia ma come animale da tiro, fa sì che nelle campagne si moltiplichi la presenza di un personaggio centrale per il ruolo sociale che acquisirà: il maniscalco. Le botteghe sono numerose: i fabbri che forgiano armi sono, secondo Robert Fossier114, dei veri e propri «meccanici», i mercanti di ferro riducono il minerale e commercializzano il metallo; vi sono poi chiodaioli, fabbri, «magnani», lavoratori ambulanti che riparano oggetti di ferro ecc.
Anche l’antroponimia è una testimonianza di questa diffusione del ferro. In una vasta parte dell’Europa, in particolare occidentale, nel XIII secolo, periodo che corrisponde allo sviluppo dei patronimici, quelli che accennano al mestiere del fabbro si moltiplicano: in Francia si hanno Fèvre, Lefèvre ecc.; in Inghilterra Smith; nei paesi germanici, Schmit con diverse grafie. E qui mi permetto di segnalare che in lingua celtica, e più specificamente in bretone, il fabbro si chiama «le goff».
Per quanto riguarda la nascita e lo sviluppo della moda nel campo dell’abbigliamento, fenomeni che spesso come si è visto vengono collocati nel XV e nel XVI secolo, si deve dire che in realtà risalgono al pieno Medioevo; le prime leggi suntuarie vengono emanate da sovrani e autorità cittadine ...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Preludio
  3. Periodizzazioni antiche
  4. La tardiva comparsa del Medioevo
  5. Storia, insegnamento, periodi
  6. Nascita del Rinascimento
  7. Il Rinascimento oggi
  8. Il Medioevo diventa un’epoca buia
  9. Un lungo Medioevo
  10. Periodizzazione e globalizzazione
  11. Bibliografia
  12. Ringraziamenti