Dizionario di bioetica
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Dizionario di bioetica

  1. 354 pagine
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Dizionario di bioetica

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L'insieme delle questioni etiche relative alla nascita, alla cura e alla morte degli esseri umani, alla ricerca scientifica e al modo di trattare gli animali e la natura. Uno strumento che informa sullo status della scienza e offre spunti di riflessione per scelte consapevoli.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858118429

C

Casi marginali

(ingl. marginal cases; fr. cas marginaux; sp. casos marginales; ted. marginale Fälle) L’argomento dei casi marginali, attribuito nella sua prima formulazione al filosofo Jan Narveson (1977), è al centro di molte analisi teoriche circa lo status degli animali () non umani e i doveri degli esseri umani verso di essi. Tale argomento mette in discussione l’idea per cui l’attribuzione dello status morale dipende dal possesso di facoltà superiori come la coscienza di sé, la razionalità o l’uso del linguaggio. L’argomento evidenzia come la mancanza di tali capacità non sia sufficiente per negare il rispetto morale a esseri umani non paradigmatici (casi marginali, appunto), quali, ad esempio, gli individui gravemente disabili dal punto di vista mentale. Alla luce di tale constatazione, l’argomento evidenzia l’incoerenza di chi attribuisce status morale a esseri umani privi di capacità superiori e, contemporaneamente, lo nega ad animali non umani egualmente privi di tali facoltà. Esso è quindi utilizzato per dimostrare la necessità di attribuire agli animali non umani almeno lo stesso rispetto morale che è dovuto agli esseri umani marginali, e non certo per giustificare l’esclusione degli esseri umani non paradigmatici dalla sfera del rispetto morale (Singer 1989, pp. 107-108). Tuttavia, accesi dibattiti nell’opinione pubblica sono stati sollevati proprio dalla mancata comprensione dell’argomento e del suo obiettivo, erroneamente interpretato come un tentativo di giustificare la discriminazione o la soppressione dei disabili. Negli anni 1989-90, ad esempio, è stato impedito a Peter Singer, uno fra i maggiori bioeticisti viventi nonché sostenitore dell’argomento dei casi marginali, di tenere conferenze in Germania, a causa della pressione di gruppi politici e religiosi e di numerose manifestazioni di protesta (Singer 2001, pp. 303-318).
Correttamente interpretato, l’argomento dei casi marginali non giustifica pratiche discriminatorie, ma al contrario contribuisce a evidenziare l’insostenibilità morale di una forma di discriminazione socialmente diffusa e accettata, qual è quella nei confronti degli animali non umani. L’argomento, infatti, evidenzia che una teoria che intendesse giustificare l’esclusione degli animali non umani dalla sfera della considerazione morale in virtù del mancato possesso delle capacità superiori proprie degli esseri umani paradigmatici dovrebbe coerentemente escludere dalla sfera della considerazione morale anche gli esseri umani privi di tali facoltà. Qualora intendesse rifiutare questa conseguenza, sarebbe necessaria una qualche ragione ulteriore per mostrare che l’appartenenza alla specie umana è un criterio sufficiente per il rispetto morale. Non essendovi, però, alcuna distinzione ontologica sostanziale fra la specie umana e le specie animali, un atteggiamento specista ( specismo) non ha maggiore validità di atteggiamenti razzisti o sessisti (Rachels 1996, pp. 153-202). L’argomento dei casi marginali non solo raggiunge l’obiettivo di scardinare le posizioni speciste, ma mostra le contraddizioni in cui cade una posizione razionalista in etica. L’argomento, infatti, evidenzia che, per il riconoscimento del rispetto morale, i criteri basati sul possesso della razionalità risultano insufficienti. Ciò che emerge come rilevante, invece, sono la capacità di soffrire e provare piacere, di possedere ed esprimere sentimenti e di avere una vita relazionale fondata su una comunicazione emotiva piuttosto che razionale.
L. Battaglia, Etica e diritti degli animali, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 32-34; P. Becchi, Questioni vitali: eutanasia e clonazione nell’attuale dibattito bioetico, Loffredo, Napoli 2001; J. Narveson, Animal Rights, in «Canadian Journal of Philosophy», VII, 1977, pp. 161-178; J. Rachels, Creati dagli animali. Implicazioni morali del darwinismo, Edizioni di Comunità, Milano 1996, pp. 153-202; P. Singer, Etica pratica (1979), Liguori, Napoli 1989, pp. 107-109; Id., Sull’essere ridotti al silenzio in Germania, in Id., La vita come si dovrebbe, Il Saggiatore, Milano 2001, pp. 319-329.
Simone Pollo

Casistica

(ingl. casuistry; fr. casuistique; sp. casuística; ted. Kasuistik) Il termine indica il metodo di ragionamento in etica fondato sull’appello ai casi. La casistica in senso stretto si sviluppò a partire dall’XI secolo e fiorì nei secoli successivi sino al XVIII come elaborazione di soluzioni a casi morali particolari alla luce degli insegnamenti provenienti dalla teologia, dal diritto canonico e dai trattati devozionali. La casistica cristiana sorse dall’esigenza di offrire una guida alle coscienze nell’applicazione dei principi etici generali, ma si risolse tuttavia nell’elaborazione di tutta una serie di eccezioni e di scusanti che finivano con l’indebolire completamente la forza e la serietà dei principi morali. L’attacco principale e più fortunato a questo approccio fu lanciato da Blaise Pascal (1623-1662) nella polemica contro i gesuiti nelle Lettere provinciali (1963), dove fu messo in luce il ridicolo in cui cadeva la casistica, che finiva con l’erodere la prescrittività di qualsiasi principio rispetto al quale era sempre possibile trovare un’eccezione attraverso cavillosità e sofismi (Jonsen e Toulmin 1988, cap. 12). L’attacco di Pascal contribuì a gettare un discredito quasi definitivo sulla casistica. Lo troviamo ribadito un secolo più tardi nella Teoria dei sentimenti morali (1759) di Adam Smith (1723-1790). Smith sostiene che l’idea di prendere il posto delle coscienze nell’applicazione dei principi generali di giustizia si risolve in un’indulgenza verso noi stessi a scapito dei principi stessi, a cui la casistica insegna a trovare sempre una scappatoia per mettere a posto la nostra coscienza dolorante (Smith 1995, pp. 636-637).
Lo sviluppo dell’approccio casistico nella riflessione attuale in bioetica riprende l’idea della priorità del singolo caso e della situazione concreta rispetto alla teoria e ai principi generali, ma con un’importante differenza. La casistica cristiana consisteva in una guida rivolta all’applicazione dei principi etici generali, mentre la casistica contemporanea sorge dalla consapevolezza della crisi in cui starebbe per entrare l’etica dei principi. Nella casistica cristiana era l’adesione a un principio e, al contempo, a una regola che lo contraddiceva, presentata come scusante, che rendeva questo metodo dell’etica più una corruzione dell’animo morale che un suo perfezionamento. Invece nella casistica contemporanea l’etica dei principi è rifiutata sin dall’inizio. La casistica contemporanea sostiene che il ragionamento morale è un tipo di riflessione pratica, in analogia ad altri saperi pratici come la medicina e il diritto. Così come nel diritto consuetudinario (il Common Law dei Paesi anglosassoni) il giudizio sui singoli casi diventa un precedente che guida la successiva deliberazione dei giudici, e così come l’esame di un caso clinico è condotto alla luce di casi simili presentatisi all’esperienza del medico, in modo analogo il giudizio morale su una situazione trova fondamento nell’analogia con casi morali simili. Si tratta perciò di un procedimento in due fasi: in primo luogo si devono mettere in luce le caratteristiche empiriche dei casi in esame; in secondo luogo si presenta una tassonomia di casi simili e delle soluzioni morali a cui essi sono stati ricondotti. Ora, non vi è dubbio che la riflessione bioetica ha già prodotto una certa quantità di casi morali (caso Quinlan, caso Cruzan ecc.). Possiamo fare appello a questi casi per illuminare le situazioni in esame sia rispetto alla loro articolazione concettuale (quali siano le caratteristiche empiriche rilevanti) sia rispetto alle soluzioni morali prospettate. Si tratta, però, di mettere in luce quale sia il ruolo della teoria. L’esame del caso, infatti, porta con sé l’appello a principi e massime che vi si applicano. Analogamente, i difensori della casistica sostengono che la plausibilità di tali massime appare chiara solo nel contesto dei singoli casi. Il luogo della certezza morale è il singolo caso e non la teoria. Jonsen e Toulmin (1988, pp. 16-20) portano l’esempio della Commissione nazionale statunitense per la tutela dei soggetti umani di ricerca biomedica e comportamentale. Essi sostengono che i commissari raggiungevano l’accordo su singole proposizioni morali concernenti casi particolari ma dissentivano sulla giustificazione che essi adducevano all’assenso dato a tali proposizioni, che chiamava in causa orientamenti religiosi e teorici diversi. Il filosofo John Stuart Mill (1806-1873) ebbe a dire di Jeremy Bentham (1748-1832) che questi aveva bisogno di una certa unità sistematica per trovare fiducia nel proprio intelletto (Mill 1999, p. 93). Al contrario, Mill era un utilitarista che pensava che dovesse essere lasciato grande spazio a quelli che egli considerava principi e massime intermedie, indipendentemente dal loro diretto riferimento a un principio morale a monte (che per Mill era l’utilitarismo). Egli riteneva cioè che la sicurezza nel fare propria una considerazione morale non dovesse essere ricondotta in ogni caso a un principio generale ma potesse fondarsi sul contesto in cui tale considerazione aveva un posto. I difensori della casistica, come Jonsen e Toulmin, sostengono che la fiducia nel proprio intelletto in etica emerge dalla riflessione sui singoli casi e che il tipo di fiducia nelle proprie convinzioni, raggiunta riflettendo su teorie generali, non consente un’autentica riflessione capace di condurre alla convergenza delle posizioni.
Rimane aperta tuttavia una questione. Quale ruolo svolgono i principi e le massime morali? Alcuni difensori della casistica (Brody 1988) sostengono, infatti, che il ragionamento per casi costituisce esclusivamente una prima fase a cui deve seguire una fase successiva di sistematizzazione teorica. Si tratterebbe perciò di mettere insieme, in coerenza riflessiva, i giudizi su casi per ricavarne la teoria che più delle altre rende conto dell’insieme di questi giudizi particolari. I giudizi su casi presenterebbero i dati su cui la teoria morale potrebbe a sua volta operare traendone indicazioni generali. Ma a questo punto la strada è aperta per affermare, come fanno Beauchamp e Childress (1999, pp. 105-106), che non si tratta di rendere i giudizi singoli prioritari rispetto alla teoria, ma di concepire piuttosto giudizi su casi singoli e teoria in reciproco bilanciamento. E con ciò essi finiscono con il respingere, quindi, il metodo casistico. Tuttavia, la proposta di Brody costituisce sin dall’inizio un indebolimento della concezione casistica, la quale sostiene invece che è solo nel contesto della riflessione sul singolo caso che emerge cosa significhi la soluzione giusta. Cioè, non esiste un concetto di giusto e sbagliato indipendentemente dal modo in cui giusto e sbagliato sono usati in quel singolo caso. Perciò le concezioni generali dei membri della Commissione per la tutela dei soggetti umani non trovano effettivamente applicazione, ma ciò che essi intendono per «moralmente giusto» emerge solo quando riflettono sui singoli casi.
Questa è una tesi molto forte, che lascia tuttavia indiscusso il ruolo attribuito al contesto di riflessione morale in cui tali giudizi su casi sono espressi. Se pensiamo, infatti, al caso del diritto consuetudinario, vi è qui una tradizione di sentenze che costituisce un affidabile corpo in cui la sentenza del singolo giudice si inserisce. Possiamo pensare che i giudizi morali in bioetica si trovano nella stessa condizione? La bioetica sembra caratterizzata, al contrario, da una notevole trasformazione delle descrizioni ordinarie delle situazioni chiamate in causa e delle intuizioni comuni. Nei casi cruciali della bioetica, non è facile fare riferimento al sapere ordinario circa la nascita e la morte delle persone, e circa ciò che significa essere una persona, ma si richiedono anzi revisioni anche radicali del senso comune. Perciò è difficile fare appello all’idea che in questo campo vi sia un corpo o una tradizione riflessiva etica in cui il singolo giudizio trova posto. E quindi il ragionamento per casi non sembra trovare qui un contesto di applicazione analogo a quello di saperi pratici come il diritto consuetudinario o la medicina.
T.L. Beauchamp e J.F. Childress, Principi di etica biomedica, Le Lettere, Firenze 1999, pp. 101-108; B. Brody, Life and Death in Decision Making, Oxford University Press, New York 1988; L. Canavacci, I confini del consenso. Una indagine sui limiti e l’efficacia del consenso informato, Edizioni Medico Scientifiche, Torino 1999; A.R. Jonsen e S. Toulmin, The Abuse of Casuistry. A History of Moral Reasoning, University of California Press, Berkeley 1988; J.S. Mill, Bentham e Coleridge, Guida, Napoli 1999, p. 93; B. Pascal, Lettere provinciali (1656), Laterza, Bari 1963; A. Smith, Teoria dei sentimenti morali (1759), Rizzoli, Milano 1995, pp. 619-640.
Piergiorgio Donatelli

Cattolica, morale della Chiesa

(ingl. Catholic Church, moral doctrine of the; fr. catholique, morale de l’Église; sp. católica, moral de la Iglesia; ted. katholischen, Moral der Kirche) Con l’espressione ci si riferisce in genere alla morale sostenuta dal magistero della Chiesa con i suoi atti ufficiali, anche se nelle comunità di cattolici e nella stessa teologia cattolica possono essere individuate posizioni diverse su molte delle questioni della bioetica e più in generale sull’autorità e obbligatorietà degli stessi pronunciamenti morali della gerarchia ecclesiastica (Chiavacci 1977). La morale cattolica è stata molto presente nel dibattito sulle questioni bioetiche fin dal nascere dei primi problemi in questa area. Tranne che in una prima fase in cui in collegamento con il Concilio Vaticano II vi fu un tentativo di fare valere una prospettiva pluralista e in parte rispett...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. A
  3. B
  4. C
  5. D
  6. E
  7. F
  8. G
  9. I
  10. L
  11. M
  12. N
  13. O
  14. P
  15. Q
  16. R
  17. S
  18. T
  19. U
  20. V
  21. X
  22. Gli autori