Ebraismo
  1. 250 pagine
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Informazioni sul libro

La religione dell'Israele antico; il giudaismo del Secondo Tempio, periodo particolarmente tormentato e fecondo di una storia plurimillenaria; il rabbinismo e la sua nascita in seguito alla crisi intercorsa tra I e II secolo dell'era volgare; le differenti tradizioni giudaiche e la loro formazione; la diaspora e, infine, le correnti riformate sorte tra Otto e Novecento, il più importante contributo in periodo moderno alla storia della religione ebraica.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788858134580

Il giudaismo del Secondo Tempio
di Paolo Sacchi

1. Introduzione terminologica

Con la caduta di Gerusalemme nel 587 a.C. si apre per l’ebraismo un periodo di crisi e di rapido sviluppo. Il periodo dell’esilio durò dal 587 al 521 a.C. e fu caratterizzato dalla vita parallela e reciprocamente avversa delle due comunità, quella dei restati in patria, fedeli alla monarchia e quelli trascinati in esilio, che vissero una loro vita separata, ma ricca di fermenti culturali e religiosi.
La monarchia finì intorno al 515 a.C. e fra Ebrei rimpatriati e restati in patria si aprì un lungo contenzioso, che si concluse solo intorno all’anno 400 a.C. con l’affermazione definitiva dei rimpatriati, che arrivarono a considerare gli altri dei non-ebrei. Ma il secolo dello scontro fu anche il secolo dei compromessi e delle prese di coscienza, della nascita dell’autoidentificazione dell’ebreo, quale era destinata a restare nella storia. Il periodo pre-esilico è detto comunemente dell’ebraismo, naturalmente in senso stretto; il periodo successivo all’esilio dà inizio al periodo giudaico che dura tuttora, anche se è necessario distinguervi varie fasi. Il periodo che va fino al 70 d.C. è detto comunemente del «Secondo Tempio», perché al suo inizio si pone la ridedicazione del tempio di Gerusalemme secondo i rituali elaborati dalla teologia degli esiliati e alla sua fine la distruzione ad opera delle truppe romane.
Questo lungo periodo può suddividersi in più modi a seconda dei punti di vista. Tenendo conto della storia dei popoli circonvicini che condizionarono la storia di Israele, si può avere un periodo persiano che finisce con la conquista della Palestina da parte di Alessandro Magno avvenuta nel 332. Segue il periodo ellenistico che può suddividersi in greco e romano; l’anno di divisione è il 63 a.C., anno in cui Pompeo conquistò Gerusalemme.
Una suddivisione basata sugli avvenimenti interni comporta un primo periodo sadocita (dal nome della famiglia dei Sommi Sacerdoti) dal 515 al 400 ca. e un secondo periodo sadocita dal 400 ca. al 173 a.C., anno della deposizione dell’ultimo Sommo Sacerdote sadocita. Segue il periodo maccabaico: 173-141 e poi quello asmoneo: 141-40 a.C., seguito da quello erodiano.
Sul piano della storia del pensiero religioso si può distinguere un giudaismo antico, che corrisponde più o meno al periodo persiano (520-300 a.C.), seguito da un giudaismo medio, che va fino alla formazione del corpus mishnico (ca. 200 d.C.). Questo periodo è stato indicato dalla letteratura tedesca come giudaismo tardo, Spätjudentum, perché il giudaismo sarebbe finito con l’avvento del cristianesimo, e dalla letteratura prevalentemente inglese come giudaismo delle origini, early Judaism, perché sarebbe all’origine del giudaismo di oggi. L’etichetta giudaismo medio vuol rendere giustizia alla storia e presuppone che il giudaismo recente (termine non usato) sia composto dal rabbinismo e dal cristianesimo. Con questa etichetta si vuole sottolineare come il cristianesimo delle origini sia un movimento interamente giudaico; perciò il giudaismo di quel tempo non può essere detto né delle origini, né della fine, perché il giudaismo ci fu prima e ci fu dopo.

2. Israele e l’esilio babilonese

1. La Giudea sotto il dominio babilonese. Casa regnante e sacerdozio in esilio

Nabucodonosor, dopo aver occupato definitivamente la Giudea e saccheggiato Gerusalemme col suo tempio (587 a.C.), provvide alla sua riorganizzazione. Una parte della popolazione, quella più importante sia sul piano economico sia su quello culturale, fu deportata in Babilonia proseguendo la politica inaugurata nel 599 a.C. Dopo le 3023 famiglie deportate nel 599, la seconda deportazione fu più ridotta: 832. Ma se nel 582 furono deportate altre 745 famiglie (Ger. 52,28), ciò significa che Babilonia non considerava ancora sicura la situazione politica di Gerusalemme.
Comunque, nonostante le ripetute invasioni e le violenze che le accompagnavano, la Giudea continuava ad esistere. Se i Babilonesi eseguivano deportazioni di genti dalle loro terre in Babilonia, non usavano, però, il costume assiro di riempire i vuoti con popolazioni prese da altre parti dell’impero. Dalla Giudea furono portati via a forza gli elementi più notevoli, ma il loro posto fu preso da altri Ebrei, non da stranieri. La cultura ebraica poteva mantenersi in Gerusalemme, come si mantenne anche presso i deportati di Babilonia, perché non furono divisi e trattati come schiavi, ma sistemati in zone precise, dove poterono mantenere sia i rapporti reciproci, sia quelli con la madrepatria.
La società giudaica fu trasformata dai Babilonesi in maniera radicale: distribuirono i beni dei deportati, che erano i più ricchi, ai restati in patria (Ger. 39,10; II Re 25,12; Ez. 33,21-27). Si passava da un’economia fondata sulla grande proprietà a un’economia più agile fondata sulla piccola proprietà. Non tutti gli Ebrei dovevano lamentarsi del nuovo regime, che, oltre a tutto, restava, almeno formalmente, una monarchia davidica.
Nel 587 si trovava già in esilio a Babilonia Yehoyakin1, il legittimo discendente della dinastia davidica, riconosciuto tale anche dalla corte babilonese, come risulta da una tavoletta amministrativa, datata all’anno 594, che indica l’appannaggio di cui godeva Yehoyakin nel luogo dell’esilio. In questa tavoletta gli è attribuito il titolo di «principe ereditario» (banu sharri): evidentemente per i Babilonesi era il legittimo successore al trono di Gerusalemme. In altre tavolette, non datate, ma certamente posteriori a questa, gli viene riconosciuto il titolo di «re vassallo» (sharru in accadico, naśi’ in ebraico).
La situazione politica della Giudea si spiega all’interno della struttura degli imperi mesopotamici, struttura che sarà ereditata anche dai Persiani, quando si sostituiranno ai Babilonesi nel 538 a.C. Al centro dell’impero stava l’autorità del Gran Re (sharru rabu), il quale governava i territori conquistati amministrandoli per mezzo di governatori da lui nominati, che potevano essere anche i sovrani vinti. Questi mantenevano un titolo e una funzione regali di fronte ai propri sudditi, ma assumevano il titolo e le funzioni di governatore di fronte al Gran Re, alla cui corte dovevano recarsi periodicamente e del cui Gran Consiglio facevano parte. Finché Sedecia non si ribellò, fu considerato re di Gerusalemme, ma dopo la sua ribellione e orrenda punizione (II Re 25,7), il naśi’ di Giuda divenne Yehoyakin. Non è chiaro quando poté esercitare effettivamente la sua carica dal duplice volto. Potrebbe anche darsi che ciò fosse possibile solo a partire dal 561 a.C. al momento dell’avvento al trono del figlio di Nabucodonosor, Awil Marduk. In ogni caso i suoi due discendenti, Sheshbassar e Zorobabele, furono certamente re e governatori di Giuda.
Come continuava ad esistere lo stato di Giuda personificato nel suo re, così continuava ad esistere anche il tempio, nel quale si facevano sacrifici e al quale ci si conduceva in pellegrinaggio dalla Giudea (Ger. 41,5). Certo i sacerdoti officianti erano cambiati, perché quelli che vi officiavano nel 599 furono deportati in Babilonia, ma il culto continuava e nel tempio si celebrava ancora il nome della medesima divinità sotto gli auspici della medesima casa regnante, ché il tempio era proprietà del re e non del sacerdozio.
I rapporti fra casa regnante e Giudea furono buoni. Per i re di Giuda, anche se in esilio, i loro sudditi erano quelli restati in patria, che essi governavano per la Babilonia. Gli esiliati erano scomparsi dal loro orizzonte. I deportati erano dei malvagi puniti, non erano più sudditi di Giuda.
Se questo divideva la casa regnante dagli esiliati, questi avevano ottimi motivi anche per avere cattivi rapporti coi restati in patria. Gli esiliati sapevano che i loro beni erano stati dati ad altri, che le loro funzioni sacerdotali erano ricoperte da altri. In patria si gridava che gli esiliati erano la «pula di Israele», il loglio che il vaglio della storia aveva cacciato per sempre dalla patria2. Era il modo con cui in Giuda si era spiegata la rovina dell’Israele del Nord, che ora veniva applicato agli esiliati3.
In esilio il profeta Ezechiele reagì con vigore a questa interpretazione della storia. Se essa fosse stata supinamente accettata, per gli esiliati non sarebbe restato che adattarsi a naturalizzarsi nella terra di Akkad. Ezechiele proclamò che Yahweh stesso aveva lasciato la terra a lui sacra per andare in esilio col suo popolo vero: chi era restato in patria, era un idolatra che compiva cose abominevoli (Ez. 11,16-17). Lo scontro, che aveva radici economiche, divenne scontro di ideologie e queste furono in funzione della salvezza della propria identità. Fra le due comunità cominciava uno scontro che si sarebbe concluso solo verso la fine del V secolo con la vittoria definitiva del gruppo degli esiliati. Sul piano religioso il compromesso fu inevitabile e le sue basi furono poste, quando esisteva ancora la dinastia davidica, tra l’avvento di Ciro (539 a.C.) e quello di Dario I (521 a.C.).
La situazione della casa regnante ebraica migliorò con la morte di Nabucodonosor (561 a.C.) e, in ogni caso, titolo e funzioni si mantennero, anche dopo che Ciro ebbe conquistato la Babilonia, con i due discendenti di Yehoyakin, Sheshbassar e Zorobabele.

2. La teologia del Palazzo

In Babilonia i rapporti tra casa regnante e sacerdozio in esilio furono pessimi, perché la casa regnante considerava suoi sudditi gli Ebrei restati in Giudea, ma non poteva, per ovvi motivi, considerare ancora suoi sudditi i deportati. Certo è che presso il Palazzo e presso i deportati si svilupparono due modi diversi di essere Ebrei, che si risolsero in due forme teologiche piuttosto diverse.
Presso il Palazzo si sviluppò una cultura che ...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. La religione d’Israele prima dell’Esilio di Cristiano Grottanelli
  3. Il giudaismo del Secondo Tempio di Paolo Sacchi
  4. Il giudaismo nell’età tardo-antica di Giuliano Tamani
  5. Il giudaismo nell’età medievale di Giuliano Tamani
  6. Il giudaismo nell’età moderna e contemporanea di Giuliano Tamani