L'età della gloria
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L'età della gloria

Storia d'Europa dal 1648 al 1815

  1. 830 pagine
  2. Italian
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L'età della gloria

Storia d'Europa dal 1648 al 1815

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Chi crede di sapere già tutto di quell'epoca grandiosa e contraddittoria che fu l'Europa del Settecento, di quel secolo e mezzo in cui si è affermata la modernità, legga questo libro e resterà stupefatto.Alessandro Barbero

«Nel 1648 la credenza che la terra fosse il centro del mondo era condivisa quasi universalmente; nel 1815 era ormai screditata anche negli ambienti più conservatori. Nel 1648 per scongiurare le tempeste elettriche si recitavano preghiere e si suonavano le campane; nel 1815 venivano installati i parafulmine. Nel 1648 in tutta Europa si bruciavano ancora gli eretici e le streghe; nel 1815 erano i loro accusatori a trovarsi nella condizione di imputati.»Il prima, era la società degli ordini, della ricchezza fondiaria e del governo autoritario; il dopo, il mondo delle classi, del capitalismo, della democrazia e delle rivoluzioni.Tim Blanning racconta quegli anni dominati dalla ricerca del progresso e della gloria, personale o nazionale, da parte dell'élite europea. Una storia avvincente, a tutto campo, politica, economica e culturale.La storia al suo meglio... Un esempio di come si dovrebbe scriverla. "Literary Review"Uno splendido libro. "The New York Times"Magnifico... Difficile, di pagina in pagina, non rimanere a bocca aperta per l'ammirazione. "Sunday Telegraph"Brillante... Puntuale, accattivante e a tratti anche ricco di humour. "Guardian"Un trionfo. "Daily Telegraph"Eccezionale. "Spectator"La storia dell'Europa moderna osservata da altezze olimpiche. Una lettura straordinaria, densa di episodi e idee, scorrevolissima. "Sunday Times"Una scommessa vinta: narrare un'epoca con competenza, esperienza, equanimità di giudizio e un brillante stile narrativo. "Economist"Magistrale. "Financial Times"

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788858135136
Argomento
Storia

II.
Le persone

Nel 1798, ai capi opposti dell’Europa, vennero pubblicati due importanti trattati sulla popolazione. Il più autorevole era opera di Joseph von Sonnenfels, il massimo studioso di politica dell’Illuminismo austriaco. Nel suo Handbuch der Innern Staatsverwaltung mit Rücksicht auf die Umstände und Begriffe der Zeit (Manuale di amministrazione domestica degli Stati, in rapporto alle condizioni e ai concetti della nostra epoca), egli dava espressione alla saggezza convenzionale, secondo la quale una popolazione numerosa e crescente rappresentava un bene, spingendosi fino al punto di affermare che l’incremento demografico avrebbe dovuto diventare il «massimo principio della scienza politica», per la buona ragione che promuoveva i due principali scopi perseguiti dalla società civile: il benessere materiale e la sicurezza fisica. Sonnenfels sosteneva che più ampia era la popolazione di un paese, maggiori erano la sua produttività agricola e la sua capacità di resistere ai nemici esterni e ai dissidenti interni. Per ribadire il concetto, spiegava che all’aumento del numero di coloro che potevano contribuire alle spese statali sarebbe corrisposto un alleggerimento del carico fiscale sulle singole persone. Questa posizione ispirata al senso comune era sostenuta dalla convinzione che fin dall’epoca classica si stesse verificando un declino demografico. Si trattava di un’idea condivisa dalla maggior parte dei contemporanei, compresi Voltaire e Montesquieu. Quest’ultimo aveva osservato malinconicamente: «se questa diminuzione della popolazione non si interrompe, fra mille anni il mondo sarà un deserto».
Sempre nel 1798, un’opinione assai diversa venne espressa dal giovane studioso inglese Thomas Robert Malthus, nel suo An Essay on the Principle of Population as it Affects the Future Improvement of Society (Saggio sul principio della popolazione e dei suoi effetti sul futuro miglioramento della società). L’autore, trentaduenne, aveva circa la metà degli anni di Sonnenfels, ma la sua visione del futuro era assai più cupa. La sua principale preoccupazione era di confutare la credenza nella perfettibilità del genere umano sostenuta da pensatori fiduciosi nel progresso come William Godwin e il marchese di Condorcet. Malthus prendeva le mosse dal duplice presupposto che «il cibo è necessario alla vita dell’uomo» e che «l’attrazione fra i due sessi è indispensabile e si manterrà sempre, più o meno, qual è attualmente». Queste due leggi naturali non avevano però la medesima forza, in quanto «il potere di crescita della popolazione è infinitamente più grande di quello che possiede la terra di produrre maggiori mezzi di sussistenza necessari all’uomo». Un uomo e una donna potevano dare alla luce diversi figli, e ognuno di essi avrebbe a sua volta potuto fare lo stesso. Di conseguenza, la crescita demografica procedeva secondo una progressione geometrica, mentre l’agricoltura poteva svilupparsi solo secondo una progressione aritmetica. In altre parole, il numero di persone generato dalla sequenza 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128... non poteva essere sostenuto dalle risorse prodotte secondo la sequenza 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8... Il risultato inevitabile era che, prima o poi, qualsiasi espansione demografica si sarebbe arrestata naturalmente quando si fosse trovata a scontrarsi con il limite imposto da questa discrepanza. L’equilibrio sarebbe stato presto ristabilito da una combinazione di miseria e «vizio» (termine con il quale il reverendo Malthus indicava la contraccezione).
A lungo termine, le teorie di entrambi questi studiosi si sarebbero rivelate errate, ma nel 1798 le loro posizioni apparivano credibili. Nell’arco della sua vita Sonnenfels (che era nato nel 1732) poté vedere che la potenza e la prosperità del suo paese si accrescevano parallelamente alla popolazione. Uno dei quattro imperatori che servì, Giuseppe II, enunciò a tale riguardo un assioma fondamentale: «Ritengo che il principale oggetto della mia politica, quello al quale tutte le autorità politiche, finanziarie e perfino militari dovrebbero dedicare la loro attenzione, sia la popolazione, vale a dire la salvaguardia e l’aumento del numero dei sudditi. È dal maggior numero possibile di sudditi che deriva ogni vantaggio per lo Stato». In generale, però, in Europa, le periodiche crisi di sussistenza, compresi i cattivi raccolti che senza dubbio accelerarono lo scoppio della Rivoluzione francese, sembravano convalidare la fosca previsione di Malthus. E se egli fosse vissuto un po’ più a lungo (morì nel 1834), avrebbe potuto trovare una macabra conferma delle sue tesi nella miseria degli anni Quaranta in Irlanda (gli hungry forties), e in particolare nella carestia delle patate e nell’emigrazione di massa che in soli cinque anni ridussero gli abitanti del paese da 8.400.000 a 6.600.000. Questi stessi contrasti testimoniano che a tale riguardo la fine del diciottesimo secolo si colloca a metà strada fra il vecchio e il nuovo. Come avremo modo di vedere, dal punto di vista demografico il periodo 1648-1815 fu per molti aspetti più simile al quindicesimo che al ventesimo secolo, pur mostrando molte caratteristiche di segno moderno.

I numeri

Non è difficile comprendere per quale motivo, di tutte le branche della ricerca storica, la demografia sia fra quelle che danno maggiore adito a controversie. Da una parte, i suoi cultori hanno la possibilità di elaborare dati statistici assai raffinati, il che genera una fallace impressione di precisione. Dall’altra, per tutte le epoche precedenti a quelle documentate dai censimenti del diciannovesimo e del ventesimo secolo i dati stessi sono così frammentari che verbi come «stimare» o addirittura «supporre» appaiono fin troppo precisi per descrivere i risultati della ricerca in questo campo. Ci si trova in definitiva a dover scegliere fra ardite affermazioni relative alle cifre a livello nazionale e la «ricostruzione» microdemografica relativa a piccole comunità, sulle cui microscopiche fondamenta vengono poi erette grandiose strutture. Soprattutto per le zone caratterizzate da scarse comunicazioni, bassi livelli di alfabetizzazione e un sistema amministrativo carente o di fatto inoperante, come l’Ungheria dopo la reconquista asburgica della fine del diciassettesimo secolo, è praticamente impossibile sapere qualcosa riguardo all’ammontare della popolazione. Tuttavia, le dinamiche demografiche sono così fondamentali per comprendere questo periodo storico, come del resto ogni altro, che è necessario comunque tentare di erigere una qualche sorta di struttura, anche se c’è il rischio che manchino le tegole e perfino i mattoni per costruirla.
Un buon modo per cominciare è prendere in esame una sintesi delle più accreditate stime sull’ammontare della popolazione di una serie di paesi europei dalla metà del Seicento alla fine del Settecento (tabella 2).
Tabella 2. Popolazione dei paesi europei, 1650-1800 (in milioni)
1650
1700
1750
1800
Europa
110,0
140,0
190,0
Austria-Boemia
4,1
4,6
5,7
7,9
Belgio
2,0
2,0
2,2
2,9
Francia
21,0
21,4
25,0
29,0
Germania1
10,0
15,0
17,0
24,5
Inghilterra e Galles
5,6
5,4
6,1
9,2
Irlanda
1,8
2,8
3,2
5,3
Italia
11,3
13,2
15,3
17,8
Polonia
3,0
2,8
3,7
Portogallo
1,5
2,0
2,3
2,9
Prussia
3,6
6,2
Repubblica olandese
1,9
1,9
1,9
2,1
Russia
7,0
15,0
19,0
37,0
Scandinavia
2,6
2,8
3,6
5,0
Scozia
1,0
1,0
1,3
1,6
Spagna
7,1
7,5
9,1
10,5
Svizzera
1,0
1,2
1,3
1,7
Ungheria2
3,0
9,25
1 Comprende le parti del Sacro Romano Impero che entrarono a far parte dell’Impero tedesco nel 1871.
2 Compresa la Transilvania.

Fonte: principalmente Jan de Vries, The Economy of Europe in an Age of Crisis 1600-1750, Cambridge 1976.
Si tratta in tutti i casi di dati approssimati, ma alcuni lo sono più di altri. La cifra relativa all’Inghilterra e al Galles nel 1650, ad esempio, è assai più affidabile di quella relativa alla Russia, che potrebbe essere del tutto errata. Fornire dati su scala nazionale è per certi aspetti fuorviante, in quanto all’interno di ogni paese le differenze erano notevoli. In Spagna, ad esempio, la popolazione delle province più periferiche, e in particolare della Catalogna, della Valencia e della Galizia, aumentò a un ritmo molto più rapido rispetto a quella della centrale Castiglia. In Francia la crescita fu più intensa nello Hainaut, nella Franca Contea e nel Berry, moderata nel bacino parigino, in Bretagna, nella regione del Massiccio centrale, nel sud-ovest e nel Midi, più debole in Normandia. Come prevedibile, in Germania i tassi di crescita risultano molto più elevati nelle regioni orientali scarsamente popolate che non in quelle occidentali, a densità demografica relativamente elevata; come vedremo, infatti, vi fu una notevole migrazione interna.
Pur tenendo conto di ogni possibile riserva, si può comunque individuare un quadro generale. Dal punto di vista cronologico, si nota una sequenza nella quale a un periodo di stagnazione o di debole crescita (1650-1700) fa seguito una fase di aumento generale anche se modesto (1700-1750), quindi una caratterizzata da un’espansione più rapida (1750-1800). Ma il vero significato di questi dati emerge soltanto se li collochiamo in un arco di tempo più ampio. Dopo le catastrofiche perdite di popolazione provocate dalla Morte Nera a metà Trecento, alla fine del Quattrocento cominciò una ripresa, che sarebbe proseguita per tutto il Cinquecento. Atto...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima. La vita e la morte
  3. I. Le comunicazioni
  4. II. Le persone
  5. III. Il commercio e le manifatture
  6. IV. L’agricoltura e il mondo rurale
  7. Parte seconda. Il potere
  8. V. I sovrani e le loro élites
  9. VI. Riforme e rivoluzioni
  10. Parte terza. La religione e la cultura
  11. VII. La religione e le chiese
  12. VIII. La corte e la campagna
  13. IX. Palazzi e giardini
  14. X. La cultura del sentimento e la cultura della ragione
  15. Parte quarta. Guerra e pace
  16. XI. Dalla pace di Vestfalia alla pace di Nystad (1648-1721)
  17. XII. Dalla pace di Nystad alle guerre rivoluzionarie francesi (1721-1787)
  18. XIII. Le guerre della Rivoluzione francese e di Napoleone (1787-1815)
  19. Conclusione
  20. Bibliografia
  21. Ringraziamenti
  22. Cartine
  23. Immagini