Uruk la prima città
eBook - ePub

Uruk la prima città

  1. 146 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Uruk la prima città

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Nella bassa Mesopotamia del IV millennio a.C. si compie il salto dalla 'barbarie' neolitica alla 'civiltà' storica, ossia alla complessità organizzativa dello Stato, della vita urbana, dell'amministrazione e della scrittura.A quali esigenze rispondeva la nuova organizzazione politica ed economica? Chi furono gli autori (coscienti o meno) dei mutamenti in corso? Perché il processo fu così precoce nella bassa Mesopotamia? Quale fu il peso dei fattori ecologici, tecnologici, demografici, socio-economici, politici e ideologici? Quale fu il 'successo' dell'esperimento di Uruk e quali modificazioni subì nel tempo?

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Uruk la prima città di Mario Liverani in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a History e World History. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858130025
Argomento
History
Categoria
World History

L’amministrazione
di un’economia complessa

1. Il ciclo dell’orzo

I sumeri del terzo millennio avevano ben chiaro che la loro economia era basata sostanzialmente su due elementi: l’orzo e la pecora. Il componimento letterario neo-sumerico, in cui questi due elementi vantano a gara i rispettivi meriti per un primato di utilità rispetto ai bisogni della comunità umana, coglie perfettamente nel segno. Dobbiamo dunque chiarire, sia pure per grandi linee, come venga gestita sul piano tecnico e soprattutto organizzativo la produzione e redistribuzione di queste due risorse fondamentali, che costituiscono l’ossatura portante dell’intero sistema economico. Ovviamente i due elementi in questione hanno caratteristiche assai diverse e richiedono una diversa organizzazione del processo produttivo.
L’orzo viene selezionato quale cereale di base nella dieta basso-mesopotamica, sin dal periodo antico-Ubaid, soprattutto per due caratteristiche: maggiore rapidità di maturazione e maggiore tolleranza di suoli salinizzati. Rispetto ad altri cereali allora coltivati e dieteticamente preferibili (frumento e dicocco), l’orzo fronteggia meglio le due grandi minacce cui è sottoposta la cerealicoltura basso-mesopotamica. In primo luogo il cattivo incastro temporale tra ciclo annuale della cerealicoltura e livelli fluviali (con piene tardo-primaverili le quali costituiscono più che altro una minaccia per le messi ormai vicine a maturazione), e in aggiunta anche il ricorrente arrivo delle cavallette, consiglia di mietere il più presto possibile ad evitare che il raccolto sia seriamente danneggiato nell’ultima fase di maturazione. In secondo luogo l’iper-irrigazione (già naturale e soprattutto artificiale) nella zona del delta, con gradiente minimale e falda acquifera molto alta, e per di più con piogge irrilevanti, fa sì che i sali contenuti nell’acqua d’irrigazione rimangano nella parte superficiale del suolo, accumulandosi fino a rendere impraticabile la coltivazione. Così l’orzo divenne ben presto il cereale largamente preferito (oltre il 90% della superficie messa a coltura) nelle terre del sud; mentre nell’agricoltura pluviale dell’alta Mesopotamia le scelte erano più equlibrate (con un 30-40% di frumento).
Quando si parla di eccedenze agricole in connessione con il processo di prima urbanizzazione, si intende dunque parlare in sostanza di eccedenze nella produzione di orzo. Dal punto di vista dell’agenzia templare, il problema organizzativo è quello di riuscire a produrne e accumularne grossi quantitativi in aggiunta a quanto necessario per il nutrimento dei produttori. La soluzione data a questo problema conferisce a tutta l’economia proto-storica della bassa Mesopotamia la sua fisionomia caratterizzante.
Semplicisticamente, si potrebbe pensare (e c’è in effetti chi così distrattamente pensa) che i villaggi di produttori agricoli fossero tributari del tempio: cioè che devolvessero al tempio una quota-parte dei loro raccolti. Questo rapporto tributario semplice è in sostanza quello che potremmo trovare nei chiefdoms; non conferisce al sistema alcuna complessità; è molto doloroso per i produttori; comporta doppi spostamenti fisici del prodotto (accumulo e redistribuzione). La soluzione fu invece tutt’altra: la sistemazione infrastrutturale (irrigazione) e messa a coltura di terre appartenenti al tempio stesso, i cui raccolti andavano perciò direttamente al tempio, detratte solo le quote destinate agli addetti. Se gli addetti da mantenere fossero stati tutti quelli necessari per le varie operazioni stagionali, mantenuti per tutto l’anno e a pieno tempo e con le rispettive famiglie a carico, il recupero di eccedenza e il suo dirottamento verso investimenti sociali sarebbe stato insufficiente. Invece si ricorse alle prestazioni lavorative (corvées) della normale popolazione dei villaggi, negli specifici periodi di impiego (soprattutto la mietitura) e senza famiglie a carico.
L’unità produttiva standard era un’estensione di 100 iku (circa 30 ettari) di terra in forma di campi lunghi, unità gestita da un engar «contadino» ma più propriamente «manager agricolo», e dotata di un apin «aratro» ma più propriamente «squadra di aratura e semina» (con due/tre coppie di bovini), e un piccolissimo numero di dipendenti fissi (retribuiti mediante assegnazione di terre). Il lavoro stagionale con concentrazione di centinaia di lavoratori era assicurato dal sistema della corvée. Il meccanismo complessivo assomiglia a quello studiato da Witold Kula come «feudale» (nella Polonia tardo-medievale): i costi vivi di gestione sono relativamente modesti e consentono ricavi di sostanziose eccedenze, mentre se si immettessero nel computo anche i costi sociali (scaricati invece sulle comunità di villaggio) il saldo sarebbe ampiamente passivo.
Il tempio retribuiva ovviamente i lavoratori stagionali mediante razioni personali, ma scaricava tutti gli altri costi sulle comunità di provenienza. Non solo nel sistema classico (neo-sumerico), ma già nel periodo tardo-Uruk, i costi di gestione sono calcolati forfettariamente ad un terzo del raccolto, coi due terzi che vengono incamerati dall’amministrazione centrale. I costi di gestione sono: semente per l’anno successivo, razioni alimentari per gli uomini, razioni integrative per gli animali da lavoro nei mesi di utilizzo (il resto dell’anno gli animali sono mantenuti al pascolo in stato di sotto-alimentazione). Il momento o meccanismo cruciale per la costituzione di eccedenze risiede dunque nel prelievo di lavoro stagionale coatto. O per dirla in termini più ottimistici e ideologizzati: le terre del dio (= del tempio) erano lavorate dai fedeli del dio, come doveroso servigio, oltre tutto retribuito mediante razioni alimentari. Il «costo» per le comunità di provenienza (villaggi, famiglie) non era probabilmente eccessivo: è vero che la corvée cadeva proprio nei periodi in cui anche a casa ciascuno aveva più bisogno di accudire alle sue proprie terre; però probabilmente nell’ambito di una famiglia estesa l’assenza di un membro su dieci (se questo era l’ordine di grandezza dell’impegno richiesto) per due o tre mesi su dodici non era poi un problema troppo grave.
Quanto alla stima quantitativa del raccolto, che l’amministrazione esige venga immagazzinato, dai testi posteriori è chiaro che si ricorre ad una stima forfettaria eseguita dall’amministrazione poco prima del raccolto. È questo un sistema diffuso in tutta l’antichità, per ovviare alla difficoltà di controllare la sorte del raccolto dopo la mietitura (e soprattutto dopo la trebbiatura) quando è suscettibile di prelievi fraudolenti. La paglia poi viene anch’essa utilizzata, in particolare per la fabbricazione di mattoni e come combustibile.
Per tornare al meccanismo produttivo nel suo complesso, se il rapporto tributario semplice (tipo chiefdom) è basato su una semplice contrapposizione tra capo e produttori tributari, invece il sistema introdotto in bassa Mesopotamia è basato sull’interazione di tre elementi: l’agenzia centrale (tempio, in seguito anche palazzo reale), il villaggio (da cui ricavare i lavoratori a corvée), l’azienda agricola templare. Questo rapporto tripolare (con ulteriori complicazioni che non è qui possibile esaminare in dettaglio) si traduce in una complessità di tipo spaziale, cioè in una diversificazione del territorio e dei suoi occupanti. Terre e uomini hanno diverse collocazioni giuridiche e socio-economiche, e diversificati sono i rapporti che si stabiliscono tra di loro e l’agenzia centrale. Si hanno terre a gestione centrale, terre di assegnazione condizionata, terre di proprietà familiare a gestione diretta, e anche in affitto o mezzadria. Si hanno dipendenti interni dell’agenzia centra-le re­distributiva, e comunità economicamente «libere» (nel senso che detengono i propri mezzi di produzione) ma asservite all’agenzia centrale da obblighi lavorativi. Altrettanto complessi sono i rapporti tra i diversi elementi: si hanno forniture coatte di lavoro, forniture di servizi (da parte degli specialisti), forniture di razioni alimentari, usufrutto di mezzi di produzione, ecc.
Il ciclo dell’orzo è essenziale, non solo perché riguarda la maggiore fonte di nutrimento, ma anche perché la facilità di immagazzinamento, conservazione, redistrubuzione, ne fa l’elemento centrale del meccanismo di razioni – e dunque del finanziamento (in termini, s’intende, di staple finance) dei lavoratori a corvée e dei dipendenti a tempo pieno. Non di solo orzo si vive in Mesopotamia, ovviamente: ma la produzione di altri nutrienti non dà luogo ad analoghi cicli gestionali, per motivi sostanzialmente tecnici. Così ad esempio la cipolla o la lattuga non sono immagazzinabili, perché muffiscono o marciscono rapidamente: perciò ognuno si coltiva le sue e il tempio non ne assume la gestione. Tra i dolcificanti assume enorme importanza la palma da dattero (anch’essa parte del paesaggio agrario basso-mesopotamico sin dal periodo di Ubaid): ma la cura specialistica e distribuita lungo tutto l’arco dell’anno sconsiglia una gestione mediante manodopera coatta, e consiglia piuttosto la coltivazione o da parte delle famiglie, o da parte di affittuari e mezzadri.
Non credo si sia abbastanza riflettuto sull’influenza peculiare esercitata dalle caratteristiche puramente tecniche nel determinare il ruolo dell’orzo quale fattore di base nel processo di proto-urbanizzazione. Un confronto con altre situazioni servirà a chiarire questo punto.
Si consideri da un lato la situazione di quelle colture, del tipo di tuberi e frutti, prevalenti nei paesi tropicali e sub-tropicali, che assicurano alle comunità umane cibo abbondante con modesto impiego di energie lavorative. Questi prodotti tropicali non richiedono concentrazioni di lavoro né in fase di sistemazione del territorio né in fase di semina e raccolto; inoltre sono inadatte alla concentrazione e redistribuzione, perché malamente conservabili. Dunque la coltivazione dello yam o del taro o della banana non può generare un sistema centralizzato e redistributivo, e favorisce invece il mantenimento di una società egualitaria, di auto-consumo e auto-riproduzione: su simili prodotti sarebbe impensabile costruire organismi proto-statali.
Si consideri d’altro lato la situazione di quelle zone la cui potenziale ricchezza risiede in materie prime del tipo dei metalli o delle pietre dure o anche del legname – come sono in generale le aree montane, anche alla periferia della Mesopotamia. In questi casi lo sfruttamento delle risorse ambientali può portare ad un accumulo anche notevole di ricchezza che resta però immobilizzata, non redistribuibile sotto forma di cibo. Chi controlla le risorse (il «capo» locale) può arricchirsi inserendosi in circuiti di scambio, ma la popolazione locale (salvo un ristretto numero di minatori o taglialegna) resterà tagliata fuori dal processo: i prodotti alimentari di base, nella tecnologia dell’epoca, non possono «scambiarsi», giacché non sono trasferibili nello spazio a costi ragionevoli. Si avranno dunque processi di tesaurizzazione, ostentazione a scopo di prestigio, ma non si avrà un decollo verso la centralizzazione e l’urbanizzazione. È la situazione drammaticamente illustrata dal mito greco del re Mida dal tocco d’oro, ricchissimo ma incapace di alimentarsi.
Tra queste due situazioni estreme, di ricchezze facili da produrre ma difficili da redistribuire, l’orzo si colloca per così dire nel giusto mezzo. Si può produrre in massa eccedente, ma solo a seguito di ingenti investimenti di lavoro umano concentrato, per la sistemazio-ne territoriale (irrigazione) e per la coltivazione stessa; è facilmente immagazzinabile e redistribuibile anche in piccoli quantitativi (razioni giornaliere); si mantiene abbastanza (a differenza di tuberi e frutti) ma non indefinitamente (a differenza di metalli e pietre dure) e dunque stimola sia l’accumulo sia il reimpiego a scadenza annuale. In sostanza l’orzo stimola al meglio quell’interazione, mediante rapporti integrati ma strutturalmente ineguali, che sta alla base della formazione di organismi socio-politici complessi. Solo il riso (nell’Asia meridionale e orientale) e in qualche misura il mais (nell’America centrale e andina) sono dotati di caratteristiche analoghe, e hanno in effetti storicamente dato vita (anche se in tempi sfasati) a paralleli processi di formazione proto-urbana e proto-statale.

2. Il ciclo della lana

Oltre alle razioni alimentari, tempio e palazzo debbono fornire ai loro dipendenti delle razioni di lana (oppure tessuti o abiti già confezionati), con cadenza annuale. Le agenzie centrali debbono pertanto curare anche la produzione di lana e tessuti in grandi quantitativi. Inoltre, una produzione di tessuti a costi convenienti fornisce alle stesse agenzie centrali una risorsa particolarmente adatta all’esportazione nell’ambito del commercio amministrato.
Il ciclo della lana dà luogo ad una complessità che può definirsi «di sequenza», nel senso che le varie fasi dell’allevamento delle pecore, della tosatura, della cardatura e lavaggio, della filatura e tessitura, infine della confezione comportano differenti rapporti di gestione. Per grandi linee, si possono distinguere tre fasi diversamente gestite.
La fase dell’allevamento delle pecore, per ovvie necessità tecnico-ecologiche, si svolge lontano dalla possibilità di controllo da parte dell’amministrazione. Le greggi di caprovini seguono ritmi di transumanza che possono definirsi «orizzontali» nella steppa siro-arabica, e «verticali» sui monti Zagros a nord-est della Mesopotamia. Nella transumanza orizzontale si utilizzano in inverno-primavera i pascoli delle steppe, germogliati a seguito delle modeste piogge invernali, e destinati ad inaridirsi col sopraggiungere della calura estiva. Nella stagione calda e secca si utilizzano i pascoli della vallata fluviale, resi ampiamente disponibili dalla prevalenza delle colture invernali (l’orzo appunto) e dalla pratica della rotazione biennale semplice (col 50% delle terre a maggese). Nella transumanza verticale si utilizzano i pascoli pedemontani nella stagione estiva-autunnale, e quelli montani nella stagione invernale-primaverile. In ogni caso l’allevamento avviene lontano (e stagionalmente anche molto lontano) dagli amministratori cittadini.
L’amministrazione affida pertanto le sue greggi a pastori (ciascuno in grado di accudire circa 100-200 pecore) i quali si disperdono nel territorio, sottraendo alla visibilità amministrativa i tassi reali e variabili di ac-crescimento del singolo gregge (natalità, mortalità) e di produttività (lana, latticini). L’amministrazione può dunque procedere solo a controlli annuali (o semestrali), e non può far altro che stabilire dei parametri di accrescimento e di produttività costanti, parametri che sono mantenuti piuttosto bassi ma che si possono esigere fermamente. Attraverso tutta la storia mesopotamica, il tasso di accrescimento che l’amministrazione esige viene fissato sul 25% annuo (ovvero un nuovo nato ogni due pecore femmine adulte); e anche l’alternanza di maschi e femmine viene fissata al 50 e 50%. Il tasso di accrescimento si determina in vario modo: l’amministrazione neo-sumerica esige un neonato ogni due femmine adulte e convenzionalmente ignora totalmente i decessi. In periodi posteriori si hanno convenzioni più realistiche (con maggiori tassi di natalità compensati da tassi di mortalità), ma il risultato è sempre lo stesso. Dai testi arcaici di Uruk IV-III relativi ai controlli annuali si può constatare che la convenzione neo-sumerica era già in vigore all’avvento della prima urbanizzazione. Ovviamente i capi abbattuti per decisione proprietaria (nel nostro caso templare), per usi alimentari cerimoniali (sacrifici e banchetti), vengono detratti dal computo. Ma questa utilizzazione alimentare è mantenuta su livelli modesti (appunto sotto il tetto del 25%), cosicché la consistenza delle greggi tende a rimanere costante nel tempo.
La determinazione contrattuale e convenzionale di tassi di accrescimento abbastanza bassi (in realtà, le pecore generano di norma un agnello l’anno) consente ovviamente al pastore di mettere da parte rispetto al computo ufficiale una riserva di animali per proprio uso e profitto, e anche per compensare le perdite di annate negative. Anche i quantitativi di prodotti caseari da consegnare all’agenzia centrale (burro e formaggio, il latte non essendo centralizzabile con le tecnologie dell’epoca) sono modesti. Quelli della lana sembrano invece realistici, di norma due mine (quasi un chilogrammo) di lana a pecora; ma la tosatura può effettivamente avvenire sotto controllo amministrativo diretto. Non è comunque nella fase dell’allevamento che il tempio può ricavare particolari quote di eccedenza; semmai deve accontentarsi di non perdere troppo.
La tosatura richiede una concentrazione di manodopera per breve tempo. Per questo si ricorre allo stesso sistema che abbiamo visto adottato per la mietitura dell’orzo: il lavoro coatto, retribuito a razioni, ma col resto dei costi sociali respinti sulle comunità di provenienza dei lavoratori. Questa fase in verità è documentata in maniera soddisfacente solo in periodi successivi, ma del resto è l’unica ovvia soluzione possibile. Sulla tosatura dunque si realizza un indubbio ricavo di eccedenza (rispetto al costo del lavoro impegnato); e forse questo momento non va troppo sottovalutato perché la tosatura a «pettinatura e strappo» (sumerico ur4, accadico ba­qa¯mu) prevalente nel III millennio, è un’operazione più lunga di quella a «rasatura» (accadico gaza¯zu) mediante appositi coltelli, che prevarrà poi nel II millennio.
Le fasi di lavorazione più impegnative sono quelle della filatura e tessitura. E qui la soluzione adottata è di tutt’altro genere – una soluzione che nel ciclo dell’orzo viene applicata solo alla fase relativamente marginale della molitura in farina per i consumi interni. Si tratta del ricorso a lavoro schiavile, con concentrazione di manodopera soprattutto femminile e anche minorile, considerata più adatta per consuetudine domestica e soprattutto meno costosa per l’agenzia centrale. Le razioni alimentari sono infatti rapportate grosso modo al peso corporeo, e sono dunque minori per donne e bambini rispetto agli uomini: le razioni femminili sono sui 2/3 di quelle maschili per le donne adulte, e quelle per bambini sono ancora minori, circa la metà. Questa manodopera schiavile, nell’ordine delle centinaia di persone, viene concentrata in edifici appositi (a metà tra p...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. Uruk, la prima società complessa nell’antico Oriente
  2. Storia della questione
  3. La trasformazione sociale del territorio
  4. L’amministrazione di un’economia complessa
  5. Politica e cultura dello stato arcaico
  6. Centro e periferia
  7. Bibliografia
  8. Tavole