L'età della disgregazione
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L'età della disgregazione

Storia del pensiero economico contemporaneo

  1. 528 pagine
  2. Italian
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Storia del pensiero economico contemporaneo

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Il pensiero economico contemporaneo viene spesso presentato come se fosse espressione di un unico orientamento. L'economia invece, oggi più che mai, è un campo di battaglia tra interpretazioni di segno opposto, di cui questo libro ricostruisce radici e sviluppi: dall'impostazione classica e marginalista all'opera di Marx; dalle figure di Keynes e Schumpeter ai 'giganti' del Novecento, Hayek e Sraffa; dagli orientamenti di ricerca dominanti oggi – equilibrio generale, teoria neoclassica, monetarismo, neoliberismi, econometria, teoria dei giochi – ai filoni che si distaccano dal paradigma dominante – economia comportamentale e razionalità limitata, teoria dei mercati finanziari e delle crisi, macroeconomia post-keynesiana, marxismo, evoluzionismo, istituzionalismo. Il libro si chiude con un capitolo dedicato all'etica in economia e al problema del potere.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858136720
Argomento
Business

1.
Introduzione.
Un percorso tortuoso

L’idea di scrivere questo libro è stata giudicata folle da parte di vari amici; forse lo è, data l’ampiezza e la complessità del campo d’indagine: la ricerca economica contemporanea, dal secondo dopoguerra ad oggi. Basti pensare alla massa di riviste economiche (qualche migliaio) e di libri (come sopra) pubblicati ogni anno; gli economisti attivi nel periodo che consideriamo sono molti di più degli autori che hanno scritto di economia in tutti i periodi precedenti. Così, per quanto dietro ogni pagina scritta ci siano in media un migliaio di pagine lette, la mia ignoranza resta diffusa e pervasiva e il resoconto di ciascuna area di ricerca resterà parziale.
Tuttavia, di fronte alla frammentazione che caratterizza oggi la ricerca in campo economico, per valutare la situazione in cui si trova la nostra scienza può essere utile tentare di ricostruirne le linee di sviluppo, riflettere sui nessi che le legano e sulle filosofie sottostanti. Spero che ciò possa contribuire a spiegare le contrapposizioni anche radicali di cui è ricca la ricerca teorica in campo economico, nonostante la pretesa tante volte richiamata di obiettività scientifica. Fornire un quadro generale – per quanto provvisorio e discutibile – può essere utile, come diceva Schumpeter (1954, p. 4), per impedire che «si diffonda un senso di mancanza di direzione e di significato».
Certo il compito è difficile, e non si può pretendere che abbia una soluzione univoca. «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che nella tua filosofia»: la riflessione di Amleto vale per tanti campi di ricerca, inclusi i tentativi di comprendere il funzionamento delle società umane da parte degli economisti. E vale anche per i tentativi di ricostruire la storia di qualsiasi campo della cultura umana, inclusa la storia del pensiero economico: anzi, in questo caso vale in misura forse maggiore che in altri campi, a causa sia delle intersezioni tra concezioni del mondo, sviluppi analitici e passioni politiche, sia della continua evoluzione degli assetti economici e sociali.
Come vedremo, la stessa definizione di economia può assumere connotati diversi1; soprattutto, ci troviamo di fronte a una molteplicità di schemi interpretativi prima ancora che di teorie. I diversi punti di vista riguardano sia la selezione dei problemi specifici di volta in volta affrontati, sia l’impostazione dell’analisi. Un conto è studiare l’evoluzione della tecnologia, un altro è considerare le motivazioni dell’agire umano. Un conto è concepire la teoria economica come il modo in cui gli esseri umani affrontano il problema della scarsità, altro conto è guardare all’insieme delle relazioni economiche dal punto di vista della divisione del lavoro in un flusso circolare di produzione, distribuzione e consumo. Nel ricostruire la storia del pensiero economico, gli orientamenti di ricerca (classico, marginalista, keynesiano e così via) si intersecano con i campi di ricerca (macroeconomia, impresa, economia pubblica, ecc.)2.
All’interno di ciascun orientamento di ricerca, i concetti di base e in vari casi anche gli schemi teorici utilizzati per l’analisi dei diversi problemi presentano affinità importanti. Tra le diverse concezioni, poi, esistono rapporti dialettici non trascurabili di autodefinizione per contrapposizione, di critica esterna che diviene anche critica interna, di revisioni e riformulazioni motivate da limiti e difficoltà che emergono nel dibattito. Inoltre, a causa della crescente specializzazione dei ricercatori, la ricerca economica degli ultimi settant’anni presenta un carattere di frammentazione, in misura più accentuata che in passato e crescente nel tempo; ciò implica sempre più spesso una perdita di contatto con il problema ultimo, l’interpretazione della realtà economica che ci sta di fronte e della sua evoluzione, che richiede una molteplicità di competenze di rado compresenti nella stessa persona.
Tutto ciò significa che le vicende recenti della ricerca economica non possono essere raccontate seguendo il semplice filo lineare del loro dipanarsi nel tempo, ma neppure come un catalogo di temi e teorie tra di loro indipendenti. Sarà inevitabile andare avanti e tornare indietro: nel tempo, tra orientamenti e tra campi di ricerca diversi. Tuttavia, proprio per reagire alla pericolosa tendenza alla frammentazione della teoria economica, occorre ricercare nessi e proporre fili conduttori, che in qualche modo occorrerà anche cercare di giustificare.
Certo la ricostruzione che proporremo in questo volume, per quanto meditata e fondata su un’ampia mole di materiale (la bibliografia è ben lungi dall’esaurire gli scritti consultati in tanti anni di studio), potrà essere posta in discussione da vari punti di vista. In questa Introduzione cercherò di giustificare alcune scelte; ma è prevedibile che vi siano disaccordi, in particolare sul peso relativo attribuito ad alcuni autori, ad alcune scuole, ad alcuni orientamenti e campi di ricerca3.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, osservo subito che in un libro come questo, centrato sulla ‘rassegna delle truppe’ e sull’illustrazione/interpretazione dei diversi orientamenti di ricerca (quindi sui concetti e sulle idee più che sui modelli o sui singoli economisti), può essere utile dare più spazio del consueto agli sviluppi non rientranti nel filone dominante (il cosiddetto mainstream), anche indipendentemente dalle convinzioni dell’autore. Nel lungo periodo, di regola gli eterodossi più innovativi ricevono man mano più attenzione mentre gli ortodossi che dominano in una data fase storica passano in secondo piano.
Immagino comunque che ciascun lettore troverà troppo semplificata e riduttiva la trattazione del suo specifico campo di ricerca; alcuni, poi, riterranno esterni al campo dell’economia alcuni temi trattati, al confine con altre scienze sociali. La prima critica avrà indubbiamente buone ragioni, nonostante la necessità di selezionare e semplificare il materiale trattato; occorre tenere presente, inoltre, che il mio obiettivo è una ricostruzione, per quanto sintetica, e non una rappresentazione su scala ridotta, come avviene nel caso delle carte geografiche. Sulla seconda critica, invece, posso solo registrare fin da ora il mio dissenso. Il rifiuto di considerare tanti aspetti della vita sociale come parte integrante dei problemi affrontati dagli economisti certo semplifica il lavoro di ricerca, ma soprattutto comporta una perdita di spessore che può risultare assai pericolosa, specie quando si pretende che i risultati delle nostre ricerche influiscano sulle scelte di politica economica.
Molto spesso, chi lavora all’interno di una data impostazione e affronta uno specifico problema decide per semplicità di ignorare la natura variegata della ricerca economica, o addirittura non se ne rende neppure conto. Quel (spesso poco) che si guadagna in profondità, lo si perde in visione d’insieme e in capacità critica. La ricerca rischia così di disperdersi in un meandro di vicoli ciechi. Il pericolo è ancora più grave per chi intenda la ricerca come guida per l’azione: si perdono di vista i nessi tra i diversi aspetti del problema, maledettamente complesso, di come perseguire il bene comune (e, ancora prima, di come tale bene comune possa essere definito); la contrapposizione tra tesi diverse viene vissuta come scontro di convinzioni aprioristiche, chiudendo ogni spazio all’esigenza di comprensione reciproca in un dibattito aperto tra opinioni basate su impostazioni le cui caratteristiche possono – anzi, debbono – essere delineate e discusse. Ogni economista impegnato in un campo di ricerca specifico può trarre vantaggio dal considerarlo per un attimo dall’esterno e dal vedere messi in discussione alcuni presupposti tradizionalmente considerati scontati4.
La storia del pensiero economico tenta di gettare un ponte tra le diverse concezioni, risalendo alle fondamenta di ciascuna di esse e illustrando l’evoluzione interna del lavoro teorico. Naturalmente, questo non significa negare che lo storico del pensiero abbia una propria opinione: in quanto economista, lo storico del pensiero economico è direttamente protagonista del dibattito che presenta ai suoi lettori. Ha comunque un vincolo: il rispetto dei criteri di scientificità propri della storia del pensiero, che possiamo sintetizzare nel rispetto filologico del testo e del contesto. Resta aperta la possibilità del dissenso, certo ben più ampia di quando ci si trova di fronte a teo­remi matematici; in ogni caso, il dibattito può essere condotto – in modo sempre aperto – tramite il metodo argomentativo della ricerca di elementi, testuali o contestuali, a sostegno o di critica di ciascuna tesi interpretativa. Come scrive Kula (1958, p. 234): «Comprendere gli altri – ecco il compito che lo storico deve prefiggersi. Non è facile averne uno più difficile. È difficile averne uno più bello».
* * *
Quando si accetti come dato di fatto l’esistenza di concezioni diverse della teoria economica5, il lavoro interpretativo deve dedicare attenzione a un aspetto spesso trascurato nei dibattiti correnti. Come ricordava Schumpeter (e prima di lui Max Weber), i modelli teorici si basano su una rete di concetti; ciascun concetto, pur conservando la stessa denominazione, può differire anche notevolmente da una concezione all’altra. Il teorico nel suo lavoro spesso non si occupa di questo aspetto, perché assume come scontata l’impostazione dominante nel suo campo di ricerca. In realtà, l’elaborazione di tale rete di concetti – e la corrispondente scelta, talvolta solo implicita, di una rete di assunzioni semplificatrici – costituiscono da un punto di vista logico il primo passo del cammino di ricerca, tutt’altro che banale: la ‘fase della concettualizzazione’. La costruzione di modelli formalizzati e il confronto con la realtà empirica costituiscono solo il secondo e il terzo passo: pur essi complessi, specie il terzo, ma mai quanto il primo. Per il confronto tra teorie costruite sulla base di concezioni diverse dell’economia, è fondamentale considerare innanzitutto il primo passo, cioè la rete di concetti utilizzati, e solo successivamente considerare gli aspetti più strettamente analitico-formali. Per questo nelle pagine che seguono si dedicherà attenzione ai concetti assai più che ai modelli teorici; alcuni elementi più strettamente analitici vengono sinteticamente illustrati in apposite appendici alla fine del capitolo; spesso, per facilitare la lettura a chi non abbia una formazione economica universitaria, gli aspetti più teorici vengono trattati sinteticamente nelle note o solo richiamati fornendo qualche rinvio bibliografico.
Converrà iniziare facendo non uno ma due passi indietro. La Parte prima sarà dedicata a richiamare le premesse del dibattito economico più recente. Il capitolo 2 illustrerà in sintesi le principali impostazioni che si sono succedute e intersecate nella storia del pensiero economico: quella classica di Adam Smith e David Ricardo (e, per certi aspetti, di Karl Marx), quella marginalista di Jevons, Menger e Walras6. Ci si sofferma anche sulla distinzione tra concezione monodimensionale (calcolo felicifico) e pluridimensionale (le passioni e gli interessi) degli obiettivi dell’agire umano. Il capitolo 3 considererà i maggiori protagonisti del periodo che va dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento: Wicksell, Veblen e Weber; Schumpeter e Keynes. Gli ultimi due in particolare hanno notevole influenza nel periodo successivo alla conclusione della seconda guerra mondiale, sul quale concentriamo l’attenzione, ma scompaiono quando tale periodo è appena iniziato.
La Parte seconda costituisce un ponte tra i dibattiti del periodo tra l...

Indice dei contenuti

  1. 1. Introduzione. Un percorso tortuoso
  2. Parte prima. Il retroterra
  3. 2. Le fondamenta: classici e marginalisti
  4. 3. I precursori immediati
  5. Parte seconda. I giganti del secolo breve
  6. 4. Il liberista: Friedrich von Hayek
  7. 5. Il rivoluzionario: Piero Sraffa
  8. Parte terza. La frammentazione del mainstream
  9. 6. La nuova microeconomia: equilibrio generale e utilità attese, teoria dell’organizzazione industriale
  10. 7. La macroeconomia della sintesi neoclassica
  11. 8. Il mito della mano invisibile: i neoliberismi
  12. 9. Economia applicata ed econometria
  13. Parte quarta. L’indebolimento del paradigma
  14. 10. Economia comportamentale e razionalità limitata
  15. 11. Dai mercati finanziari efficienti alla teoria delle crisi
  16. 12. La macroeconomia post-keynesiana
  17. 13. Marxismo, evoluzionismo, istituzionalismo
  18. 14. L’etica dell’economista e il problema del potere
  19. Bibliografia