Diritto civile e religioni
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Diritto civile e religioni

  1. 320 pagine
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Diritto civile e religioni

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La pluralità religiosa è divenuta un fenomeno caratteristico della società multietnica nella quale viviamo. Nel volgere di pochi anni, quindi, si è passati dal riconoscimento di un'unica 'religione di stato' a una legislazione che deve affrontare e gestire un sempre crescente pluralismo religioso e culturale. Il libro indaga la disciplina civile del fenomeno religioso, nell'ordinamento italiano e in quello europeo.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858107720
Argomento
Diritto

IV. Disciplina giuridica delle organizzazioni della religiosità collettiva

1. Introduzione

La religiosità umana, come le ispirazioni spirituali o filosofiche diverse dalla religiosità, normalmente si manifesta in collettività, organizzate in vario modo, dotate di un patrimonio più o meno complesso di credenze, valori, regole, strutture, personale, beni, attività.
L’insieme di questi elementi costituisce un fenomeno sul quale i poteri pubblici hanno un limitato potere di controllo. In virtù del riconoscimento costituzionale dei diritti inviolabili dell’uomo (fra i quali vi è certamente la libertà di coscienza e di pensiero), il patrimonio di credenze, di valori, cui ciascuna collettività si ispira, al pari della coscienza del singolo, non può essere oggetto di sindacato di merito da parte dell’autorità civile.
Le regole, le strutture organizzative, il personale, i beni e le azioni concrete di queste organizzazioni per l’attuazione dei propri fini, quando operano in territorio nazionale, invece, sono oggetto della giurisdizione dello Stato in funzione della tutela dell’ordine civile, cioè della legalità costituzionale.
I poteri pubblici devono garantire gli interessi generali della comunità nazionale e delle strutture sovranazionali cui lo Stato aderisce; in tale funzione, hanno doveri e poteri riferibili alle attività delle collettività a carattere religioso o spirituale nello spazio sociale e alle loro strutture organizzative. Perciò, l’ordinamento giuridico ha il compito di disciplinare le garanzie, i diritti, gli aiuti promozionali pubblici, di cui le organizzazioni di queste collettività ideologicamente orientate possono godere; ma ha anche il compito di stabilire i limiti di queste garanzie e i divieti cui debbano eventualmente sottostare, specie quando le regole proprie e i comportamenti di questi gruppi non sono armonici con l’ordinamento italiano.
In applicazione di questi principi, l’ordinamento italiano ha sedimentato nel tempo una legislazione caotica e discriminatoria che, anche ingiustificatamente, appresta tutele e garanzie differenziate e stabilite in un caleidoscopio di fonti di diversa natura, di contenuti non omogenei e scarsamente coerenti col sistema delle libertà collettive stabilite nella Costituzione.
L’esperienza empirica, poi, ci mostra che tutti i gruppi religiosi presenti nel territorio italiano sono organizzati con strutture di diverso grado di complessità. La Chiesa cattolica è la organizzazione religiosa oggettivamente più rilevante in Italia e consta di poteri, uffici, regole giuridiche, di origini bi-millenarie; inoltre, è la religione tradizionalmente preminente fra la popolazione italiana. È organizzata come un vero e proprio soggetto sovrano, con un proprio ordinamento giuridico, con poteri e strutture simili a quelle di uno Stato moderno; salvo la peculiarità che il vero e proprio Stato territoriale (lo Stato della Città del Vaticano) è solo la sede degli uffici centrali di questa grande struttura universale, mentre la sovranità in campo spirituale è esercitata senza limiti territoriali, sui popoli e nei territori di molti altri Stati nazionali.
Anche altre fedi religiose (comunità ebraiche, religioni di ceppo protestante, ecc.) hanno strutture organizzative complesse e storiche, talora con reti sovranazionali e con organi e uffici diffusi nello spazio dello Stato.
Altri gruppi di persone praticano la fede religiosa collettiva attraverso organizzazioni meno complesse, tuttavia, hanno costituzionalmente diritti e garanzie non sostanzialmente diversi da quelli delle grandi religioni; viceversa, sul piano pratico e in molte normative (di dubbia costituzionalità), risultano discriminati.
L’ordinamento italiano, anche per un fenomeno di sedimentazione di vecchie e nuove discipline giuridiche, richiama questi fenomeni con denominazioni differenti e detta regole poco omogenee, fattualmente non coerenti coi principi di uguaglianza e della neutralità dello Stato laico132.
La disciplina civile di queste organizzazioni, poi, deve misurarsi con i diritti distinti, ancorché per lo più convergenti, dei singoli, seguaci di quelle organizzazioni o estranei ad esse, ma potenzialmente condizionati da loro.

2. Le categorie «classiche» di esigenze religiose delle organizzazioni collettive

Dalla comparazione fra le normative vigenti in materia di tutela dei soggetti collettivi di carattere religioso si evince che, non ostante l’enorme diversità di tutele e garanzie accordate alle singole fedi o a gruppi più o meno omogenei di esse, vi è una serie di esigenze comuni, che in gran parte sembrano riconducibili alla garanzia dell’art. 20 della Costituzione, che fissa il divieto di limitazioni legislative e gravami fiscali «per la costituzione, capacità giuridica ed ogni forma di attività» di quelle organizzazioni del fenomeno religioso collettivo, che vengono individuate con la denominazione di «associazioni o istituzioni a carattere ecclesiastico e con fine di religione e di culto». Queste esigenze sono considerate in tutte le singole fonti legislative che regolano l’esistenza e l’attività dei gruppi religiosi organizzati, anche se denominati in vario modo.
L’autonomia statutaria Ogni formazione collettiva a carattere religioso, per quanto spontanea nella sua fase iniziale, quando si struttura in un livello di organizzazione abbastanza significativo, rileva giuridicamente ed esprime bisogni di beni e servizi che vengono indirizzati verso l’ordinamento giuridico civile.
L’organizzazione si manifesta con il dotarsi di regole riconosciute e condivise che chiamiamo statuti. Quando il livello organizzativo del gruppo si fa più complesso ed articolato si dice che il gruppo si è dotato di un proprio ordinamento. Gli ordinamenti, cioè i sistemi di regole che fanno capo all’organizzazione del gruppo, sono classificati dalla dogmatica giuridica come derivati, se operanti nell’ambito di liceità stabilita da un ordinamento giuridico statale, cui restano soggetti; sono classificati come originari quando sono frutto di un’autodeterminazione che non deriva dall’ordine dell’autorità superiore (superiore non recognoscentes).
Poiché gli ordinamenti giuridici statali non pretendono di regolare ogni aspetto della vita dei loro popoli, l’autonomia statutaria delle organizzazioni degli interessi collettivi della popolazione è un principio generale.
Le organizzazioni collettive del fenomeno religioso cui tradizionalmente facciamo riferimento, però, in quanto riferentesi alla fede in una divinità, superiore e previa rispetto all’organizzazione dello Stato, talora reclamano l’originarietà della propria autonomia, cioè la sua non derivazione dall’autorità dello Stato133.
Libertà di esercizio del culto Già la legge c.d. Sui culti ammessi nello Stato, n. 1159, del 24 giugno 1929, che non ha certamente la natura di normazione libertaria, stabilisce la libertà di esercizio, anche pubblico, del culto (art. 1). L’art. 1 del Concordato del 1929, invece, garantisce l’esercizio del culto, implementato dalla libertà di giurisdizione in materia ecclesiastica, nonché dalla difesa degli ecclesiastici per gli atti del loro ministero spirituale; fino alla qualificazione di Roma, in quanto sede universale del papato, come città di carattere sacro.
Enti di culto I culti ammessi possono creare istituti, cui si attribuisce, con fortissime limitazioni, la qualifica di enti morali (art. 2). È stabilita su questi enti la vigilanza e tutela delle autorità statali, che giunge a comprendere la possibilità di scioglimento dell’ente o la nullità dei suoi atti sulla base di una valutazione discrezionale dell’autorità civile, che ha più natura politica che tecnica (artt. 13, 14 e 15 del r.d. n. 289/1930 – Norme di attuazione della legge n. 1159/1929). Di seguito si esporrà in maniera più estesa la disciplina degli enti ecclesiastici cattolici e delle altre confessioni religiose.
Agevolazioni fiscali Il fine di culto e di religione, che è proprio delle strutture organizzative dei culti ammessi, ai fini fiscali, è generalmente equiparato ai fini d’istruzione o di beneficenza (art. 12).
Finanziamento Non sussiste alcun sostegno finanziario per i culti ammessi nello Stato. Solo alle organizzazioni collettive religiose che hanno stipulato accordi con lo Stato, ricevendo la qualifica di confessione religiosa, in maniera non uguale, vengono assicurate forme di finanziamento pubblico e d’incentivazione con leve tributarie al finanziamento privato.
Personale dell’organizzazione Sempre con limitazioni, si prevede la possibilità che i culti esprimano ministri di culto, cioè personale qualificato che opera per l’organizzazione della collettività (art. 3).
Le garanzie per il personale, nel Concordato lateranense (artt. da 3 a 8), non prevedono alcuna delle autorizzazioni, dei controlli e delle limitazioni stabilite per i culti ammessi; ma sono implementate con vari privilegi: esenzioni dall’ufficio di giurato nei processi; è esclusa la pignorabilità dei loro emolumenti; garanzia del segreto, per ragioni di ufficio.
Comunicazioni con i fedeli Ai culti ammessi si garantisce un limitato diritto di comunicazione fra organizzazione e fedeli (art. 3), con esenzione fiscale.
Trattandosi di una legge dichiaratamente sorta per differenziare e discriminare i culti ammessi, rispetto alla religione dello Stato, ovviamente, non si prevede parità degli strumenti di promozione, facilitazione e sostegno, che lo Stato si prodiga a effondere in favore della Chiesa cattolica. La libertà di comunicazione e rapporti fra gerarchia cattolica e fedeli è garantita senza «alcuna ingerenza da parte del Governo italiano» (art. 2, c. 1°), anche in riferimento all’esercizio del «ministero pastorale» (c. 2°), per ogni tipo di comunicazione («tutti gli atti e documenti relativi al governo spirituale dei fedeli», c. 3°).
Per le organizzazioni religiose di grandi dimensioni, con personale e capacità organizzativa, la comunicazione con i fedeli va oltre l’attività religiosa di culto in senso stretto e si espande in aree per così dire profane, come la gestione di scuole, ospedali, attività di soccorso sociale ed anche del tempo libero, compreso il turismo o l’ospitalità alberghiera, il tutto religiosamente ispirato. Queste attività sono l’area della pastorale, cioè di quella che la Chiesa cattolica chiama cura delle anime, ma ha un risvolto imprenditoriale, economico, che crea problemi nell’economia nazionale, perché tutelata per l’aspetto religioso, può generare privilegio e discriminazione nei confronti dei soggetti laici che svolgono le medesime attività, ma indipendentemente dall’orientamento etico.
Edifici di culto Con le norme attuative della legge sui culti ammessi (r.d. 28 febbraio 1930 n. 289), si prevede l’astratto diritto dei culti ammessi ad avere un proprio tempio od oratorio (art. 1); ovviamente con molte limitazioni, riguardanti finanche la possibilità di riunione dei fedeli (art. 2). Per la Chiesa cattolica, invece, addirittura il codice civile all’art. 831 sancisce la tutela del vincolo di destinazione al culto pubblico, implicante la costituzione di una sorta di servitù di uso pubblico creata e gestita dal diritto della Chiesa, ma recepita nell’ordinamento italiano.
L’assistenza spirituale Le norme attuative della legge per i culti ammessi prevede un limitato diritto di assistenza religiosa ai rispettivi fedeli, da parte dei ministri di culto: nei luoghi di cura (art. 5), negli istituti di pena (art. 6) e in forma ancora più limitata nelle forze armate (art. 8). Viene solo promesso, a richiesta dei fedeli malati, detenuti o militari, l’accesso del ministro di culto approvato, da autorizzare di volta in volta e senza oneri per l’erario. Per la Chiesa cattolica, invece, il Concordato del 1929 previde l’istituzione stabile di un ordinario militare, cioè un vescovo col grado di generale, di un servizio di assistenza spirituale ai militari stabilmente costituito, con cappellani assunti nelle forze armate, con gradi militari e tabella organica stabilita per legge (artt. 13, 14 e 15). Con l’accordo di revisione del Concordato del 1984, poi, si sono con...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Introduzione. L’oggetto della materia
  3. Parte prima. Storia e principi della disciplina giuridica civile del fenomeno religioso
  4. I. Cenni storici
  5. II. I principi generali della disciplina del fenomeno religioso
  6. Parte seconda. Il diritto di professione di fede religiosa individuale e collettiva
  7. III. Discipline giuridiche che generano conflitto di coscienza e soluzioni legislative
  8. IV. Disciplina giuridica delle organizzazioni della religiosità collettiva
  9. V. Esigenze comuni delle organizzazioni collettive a carattere religioso e delle persone
  10. VI. Regole religiose di vita e libertà dei singoli
  11. Gli autori