IV.
Una prima proiezione moderna
1. Cenno introduttivo
In questa e nelle successive ‘proiezioni moderne’ di cui si arricchisce il volume, il tema delle lotte persiane, delle lotte contro il bárbaros o lo straniero, chiunque esso sia, rivive nell’epopea e nella propaganda delle guerre risorgimentali d’indipendenza, in Italia e in Grecia, con prodromi nell’Europa napoleonica, fino ad arrivare, con ben altri intenti e con reversibilità di ideologia, alla mistica del colonialismo; per pervenire quindi, con purificazione di accenti, alla più celebre e motivata delle canzoni che hanno accompagnato le battaglie partigiane nella seconda guerra mondiale.
In riferimento alle Termopili, nella tradizione poetica o versificatoria della letteratura italiana, i due archetipi sono facilmente ravvisabili nel Leopardi della canzone All’Italia, che si rifà alla narrazione di Diodoro, e nel Pascoli dell’ode Ad Antonio Fratti, che segue la vulgata erodotea. Molti altri temi accessori presenti nelle due antiche pagine storiografiche rivivono poi, anche avulsi dal loro contesto, o dato quest’ultimo per sottinteso, in numerose sottolineature forniteci dalla tradizione di più popolare marca patriottica, talora derivante dagli stessi componimenti che abbiamo ricordato come modelli di riferimento. Temi che rimandano al mito dei Trecento, al motivo della ‘resurrezione’ o della ‘vita eterna’ dei caduti per la patria, all’evocazione della devastante ‘idra straniera’, al rapporto tra la vittoria e la morte simboleggiate da immagini floreali.
Ovviamente nella letteratura dei moderni, e soprattutto dei minori, nonché nelle canzoni patriottiche, il materiale è sterminato. In questa e nelle successive proiezioni moderne, ci limitiamo a un’accorta selezione documentaria in grado di evidenziare le forme e i debiti della tradizione dal ‘paradigma ellenico’ cui in questo libro facciamo riferimento.
2. “L’un sopra l’altro cade”
È la seconda parte della giovanile canzone All’Italia del Leopardi che rievoca il fatto d’arme delle Termopili con il combattimento e con il sacrificio degli Spartani di Leonida; accadimenti eroici introdotti dal poeta tramite una comparazione tra l’età antica e la propria (vv. 61-67):
Oh venturose e care e benedette
l’antiche età, che a morte
per la patria correan le genti a squadre;
e voi sempre onorate e gloriose, o tessaliche strette,
dove la Persia e il fato assai men forte
fu di poch’alme franche e generose!
Qui il Leopardi chiama le Termopili “tessaliche strette” per chiara reminiscenza della canzone del Petrarca che le definisce “mortali strette”. Da esse dilagò l’immane armata persiana che non valse a stroncare la forza d’animo di pochi generosi votati alla morte, e quindi sprezzanti il loro stesso destino. Dunque, un primo, prepotente, accenno al tema della vittoria dei vinti dominante in tutto il componimento. È stato ampiamente notato come l’espressione “a morte / per la patria” possa rimandare al dettato oraziano del dulce et decorum est pro patria mori; ma mai è stato osservato come, ben prima che dal poeta latino, il debito sia dalla più celebre elegia di Tirteo (fr. 10 W.) inneggiante alla guerra: “bello è morire nelle prime file caduto / per l’uomo valoroso che combatte per la sua patria”. Vi fa eco l’esclamazione, dettata da giovanile entusiasmo, nella canzone del Leopardi (vv. 37-38):
[...] L’armi, qua l’armi: io solo
combatterò, procomberò sol io.
Orbene, ‘procombere’ significa ‘cadere in avanti’, ed è italianizzazione forzata del latino procumbere. Ma, anche se il verbo è di derivazione latina, il poeta si ispira a un modello decisamente greco; il suo ‘procombere’ traduce, infatti, l’espressione di Tirteo “nelle prime file caduto”, enì promáchoisi pesonta, che è quasi formulazione di proemio alla sua elegia. Nell’epica i combattenti delle prime file, i prómachoi, sono i guerrieri più valorosi, quelli schierati innanzi agli altri, quelli di fatto destinati a resistere o a morire nel primo urto contro il nemico, rapidamente e ineluttabilmente subentrando gli uni agli altri in testa alla schiera. Dunque un non trascurabile contatto tra i due autori, tra il poeta moderno che freme per le sorti dell’Italia e l’elegiaco antico che inneggia all’areté guerriera di Sparta. Ma anche un primo indizio sulla pluralità di modelli ellenici che il poeta rievoca o ricicla o riattualizza nella sua canzone, con una violenza ideologica davvero inaspettata in un componimento poetico che ha per soggetto l’Italia e non l’antica Sparta.
Il Leopardi ovviamente recepisce la memoria greca senza mediazioni di sorta, muovendo da un modello all’altro per adeguarsi alla rievocazione del fatto d’arme delle Termopili. Passa così, con identica intensità di registro evocativo, dall’ordito di Tirteo, che inneggia al valore spartano, a quello di Simonide che ne celebra la sua più alta estrinsecazione, relativa, appunto, all’eroismo degli Spartani di Leonida. Sarà lo stesso poeta, nelle ultime strofe della sua canzone, a denunziare scopertamente la dipendenza da Simonide sovrapponendo il proprio canto al suo celebre encomio per i caduti delle Termopili, già noto al lettore. La critica conosce bene l’intensità di mimesi drammatica dal modello antico, ma è sfuggito all’attenzione dei più come, ben prima della riattualizzazione del celebre encomio, il poeta sia stato tentato di imitare un altro componimento simonideo, o presunto tale, tramandato da Erodoto (7, 228): “Riferisci viandante agli Spartani / che rispettosi al monito / di leggi della patria / qui nel sonno perenne riposiamo”. L’epigramma è noto esso pure al lettore, che potrà coglierne le analogie con questo luogo della canzone leopardiana (vv. 68-73):
Io credo che le piante e i sassi e l’onda
e le montagne vostre al passeggere
con indistinta voce
narrin siccome tutta quella sponda
coprîr le invitte schiere
de’ corpi che alla Grecia eran devoti.
La parola centrale qui è “passeggere”, che, in un contesto di ispirazione foscoliana, ci offre la giusta chiave di lettura per scoprire come il poeta abbia a monte un primo, e non dichiarato, debito con un epigramma che egli, con Cicerone (Tusc. 1, 101), riteneva scritto da Simonide. Anche quest’ultimo, il lirico di Ceo, ricorda un “viandante” che dovrà in eterno testimoniare a Sparta il valore degli eroici caduti: “passeggere” corrisponde a “viandante” (xeinos) con identico ruolo di preminente centralità in seno al contesto. “Narrin”, a sua volta, trova rispondenza in “riferisci” (aggélein), con un procedimento di introspettiva interiorizzazione della memoria antica che è sua diretta esplicitazione concettuale. Se, infatti, il viandante deve riferire a Sparta dell’eroismo dei Trecen...