Il periodo di Salò
Nei diciotto mesi di Salò il corpo dell’Italia è diviso in due e il cuore del cinema italiano, trapiantato a Venezia, pulsa debolmente e con battiti minimi che ne assicurano la sopravvivenza quasi in modo artificiale.
Il periodo di Salò costituisce una pagina di storia nazionale e di storia del cinema italiano che, solo da poco, si è cominciata a studiare alla luce dell’esigenza di osservarne e capirne il groviglio di contraddizioni e di lacerazioni nascoste e dissimulate troppo a lungo. La storia di Salò costituisce quasi un linfonodo malato e cancerogeno nel vissuto collettivo che, per un tacito accordo tra soggetti che l’hanno vissuto, è stato rimosso molto a lungo dalla memoria1. Non solo in Italia del resto.
In questi ultimi anni – grazie a una cospicua quantità di studi originali di utilizzazione e analisi di nuove fonti, di tentativi di abbracciare in uno sguardo onnicomprensivo soggetti sociali e politici nuovi, protagonisti di una nuova «moralità» e soggetti in controparte, di cui si sono cercate di indagare le ragioni e ricostruire le fisionomie e le ragioni delle scelte – Salò non è più un buco nero della storiografia dell’Italia contemporanea. Le ragioni che hanno spinto milioni di italiani a scelte decisive per la storia successiva della nazione sono state esaminate e inserite in un quadro di riferimenti che hanno sempre più valorizzato il ruolo della propaganda attraverso la stampa e tutti i mezzi di comunicazione di massa attivabili in quel momento2.
Zona oscura e dolente della storia che ha preceduto la nascita dell’Italia democratica e repubblicana, quasi tabù ideologico e storiografico, Salò è stato per quasi quarant’anni evocato per frammenti minimi, illuminato solo in certi aspetti e raccontato per lo più come una storia di fantasmi. La storiografia più recente – accanto al fondamentale lavoro di Claudio Pavone vanno segnalate tutta l’attività della Fondazione Micheletti di Brescia per quanto riguarda i modi e le forme della propaganda, e per quanto riguarda il cinema e la propaganda la monografia di Ernesto Laura che indaga capillarmente le caratteristiche della stampa e del cinema documentario e di finzione – ha cercato di ricostruire l’insieme dei macro e microfenomeni, di calarsi entro vicende reali, di far circolare il sangue nel corpo dei fantasmi e di illuminare, con fasci di luce ad ampio spettro e massima luminosità, una miriade di forze e comportamenti contraddittori, disordinati e confusi.
Il fascismo, giunto alla fase terminale, affida ai mezzi di comunicazione di massa il compito di costruire l’immagine di un mondo di nuovo normalizzato e di uno Stato capace di garantire una continuità assoluta con lo Stato precedente. Mussolini, di questo mondo, realizzato solo in parte, non è più il primo motore, la luce e la fonte di energia principale. Nel piccolo insieme di apparizioni mussoliniane a Salò che possiamo isolare dai cinegiornali Luce, ci troviamo di fronte a un’immagine irriconoscibile, di un uomo malato, destituito di ogni carisma e rappresentatività. La prima è quella che lo riconsegna agli italiani nel settembre 1943. Si tratta di un individuo in cerca di anonimato e in fuga dalle macchine da presa: ha un cappello scuro a larghe falde che gli copre la parte superiore del viso mentre il bavero alzato del cappotto copre quella inferiore. Da questo momento le apparizioni, come i discorsi, vengono centellinati. Mussolini è sempre un ectoplasma, la controfigura di se stesso, che si aggira in una sorta di continuo stato confusionale e denuncia un’irreversibile emorragia di forze e perdita di facoltà psichiche e fisiche. In apparenza è ancora il sovrano della scena, ma attorno a lui si stringe una compagnia improvvisata che tenta di attirare l’attenzione di una parte del popolo italiano con lusinghe, promesse, immagini di forza e di mondi possibili di pace sociale, di più equa redistribuzione del reddito, di visioni paradisiache di benessere ed eliminazione della conflittualità di classe.
In realtà il vuoto fatto attorno al progetto della socializzazione e alle promesse di palingenesi da parte di uomini di cultura, di intellettuali militanti del fascismo, della quasi totalità dei divi e degli uomini di cinema non esclude partecipazioni volontarie da parte di antifascisti storici, adesioni opportunistiche, ripescaggi di vecchi rottami politici e ideologici da tempo messi da parte. Un piccolo gruppo di fedeli vecchi e nuovi cerca, come può, di proteggere Mussolini più che di seguirlo in questa ultima impresa. La stampa, in ogni caso, continua a scorrere come un fiume in piena: nella sua monografia Ernesto Laura ha censito 57 quotidiani e 257 periodici, oltre ai film e ai cinegiornali. La parola d’ordine per tutti è di essere presenti con la massima regolarità. Da «Eva» al «Corriere dei piccoli» al «Barbagianni» si cerca, con ogni mezzo, di tenere in vita i giornali illustrati più popolari fino all’ultimo, parlando di moda e di dive tedesche, di fioricultura in Liguria e di giochi di società.
Una parte della stampa continua e ritagliarsi piccole zone franche, a lavorare senza assoggettarsi alle direttive del nuovo Ministero della Propaganda e non pochi giornalisti criticano apertamente i fenomeni di corruzione, clientelismo, nepotismo, nati all’indomani della creazione del nuovo Stato sociale. I pochi film realizzati e distribuiti e i servizi dei cinegiornali danno un sostegno assai debole alla causa repubblichina. Restituiscono piuttosto il senso di un’atmosfera generale di rassegnazione e sconfitta, la rappresentazione di un vuoto tangibile di popolo attorno...