Introduzione all'etica
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Introduzione all'etica

Lezioni del semestre estivo 1920/1924

  1. 308 pagine
  2. Italian
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Introduzione all'etica

Lezioni del semestre estivo 1920/1924

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La Einleitung in die Ethik raccoglie le fortunate lezioni tenute da Edmund Husserl all'Università di Friburgo nel 1920 e nel 1924, frutto di una lunga riflessione del fondatore della fenomenologia su etica e morale.

Attraverso un confronto serrato con i maggiori filosofi della tradizione occidentale, dagli antichi greci a Thomas Hobbes e ai moralisti inglesi, e mediante un'articolata analisi dei testi centrali di David Hume e Immanuel Kant, Husserl si misura con uno dei tentativi più originali del pensiero moderno: fondare in maniera sistematica un'etica scientifica e rigorosa.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858136423

Capitolo settimo.
La lotta tra i moralisti della ragione
e quelli del sentimento nel XVII secolo

27.
Ricapitolazione. Il naturalismo come scetticismo.
Lo scontro tra la morale della ragione e quella del sentimento
come forma storica del confronto tra l’etica razionalista ed empirista

[p. 125] Nell’ultima lezione abbiamo trovato la spiegazione del perché sono possibili in generale le teorie naturalistiche della spiritualità. Abbiamo compreso perché la vita dello spirito, nella sua vitalità, in realtà non sia affatto conosciuta, sebbene essa, anzi, proprio per il fatto che essa è la vita in cui ognuno vive. Si conosce, infatti, solo la sfera d’essere obiettiva, che la pratica dell’osservazione, con un costante interesse oggettivo, esamina, conferma e in tal modo conosce davvero, prima della teoria che a sua volta presuppone una tale conoscenza. Finché questa situazione non fu compresa e non si riconobbe il grande compito di studiare, in maniera sistematica e innanzitutto in modo intuitivo e pre-teoretico, la stessa vita fluente, indicibilmente sfuggente, l’interna vitalità degli eventi coscienziali passivi, degli atti e delle motivazioni d’atto e quindi di farne dei concetti esatti, finché fu ancora possibile associare dei concetti a questa vita interiore e farsi di essa rappresentazioni teoretiche, che erano tratte dall’obiettività della natura, le quali, quindi, <sono> completamente estranee a questa stessa vita interiore e in un contesto del genere assurde; fin quando fu in generale possibile che gli scetticismi di ogni sorta, così come erano già stati introdotti nella filosofia attraverso la Sofistica antica, restassero senza una confutazione definitiva, le questioni relative alle più intime fonti eidetiche di una verità e di un dovere etico vincolanti per ogni soggetto rimasero insolubili1.
[p. 126] Logica ed etica si sono trascinate attraverso i secoli, offrendo nelle varie fasi del loro sviluppo sia sistemi normativi per il giudicare corretto e le pretese verità, sia norme per atti etici, per le virtù, gli obblighi, per i fini supremi della vita pratica; in sempre nuove forme, però, emersero anche i problemi scettici, le domande sulle fonti che sarebbero in grado di legittimare tali norme nella soggettività; si presentarono poi le questioni connesse, su come sarebbe possibile rendere oggettivamente valido ciò che si è fondato soggettivamente, su come si potrebbe sfuggire al soggettivismo e quindi al relativismo. L’età moderna della filosofia inizia veramente con il tentativo di Descartes di eliminare alla radice l’intero scetticismo proprio mediante il ritorno alla radicale soggettività di tutte le conoscenze mondane, e d’allora in poi la filosofia è stata dominata dagli sforzi di rapportare regressivamente al soggetto tutte le oggettività logiche, etiche e infine estetiche, non solo alle altezze di una vaga universalità, ma anche in teorie e indagini concretamente compiute, e di rintracciare nel soggetto le fonti originarie di tutte le validità obiettive, del diritto di tali posizioni obiettive e insieme del loro senso legittimo. Questo tenta di fare la psicologia associativa, che però ha fallito, specialmente in etica.
L’utilitarismo ha fallito e sotto questo aspetto non poteva che fallire completamente, poiché parla a sproposito di spirito in riferimento a ciò che ne è privo, la natura. Non per niente ho annoverato il naturalismo tra gli scetticismi. Ogni naturalismo è in modo particolare scetticamente assurdo. Di ogni naturalismo è caratteristico il fatto che esso ha male interpretato qualsiasi cosa possa dare al discorso sulla ragione un senso autentico: esso, anzi, intende l’Io e <i> suoi atti come un genere di entità psicologiche inventate in modo mitico, come apparenze, a cui vengono attribuiti solo dei complessi di elementi passivi, senza però notare che proprio il discorso sull’immaginazione, sull’apparenza, presuppone secondo il suo senso ciò che viene negato. È inoltre tipico del naturalismo, il fatto che esso, che, come detto, ha annullato il senso del discorso della ragione, formula ugualmente teorie riguardanti la ragione, si tratti poi di ragione etica o logica, di norme giuridiche per l’agire, cui ognuno deve conformarsi, e il fatto che la loro validità e la loro obbligatorietà sarebbero da spiegare esattamente in tal modo. Ora, quel che appartiene ad ogni scetticismo, sia dichiarato che dissimulato, è il fatto che esso, nei suoi atti concreti e nella loro attiva [p. 127] motivazione razionale, mette in funzione proprio questo meccanismo e quindi nella sua vita effettiva presuppone ciò che nel contenuto teoretico di quegli atti nega e cerca di confutare.
In questo senso ogni naturalismo è uno scetticismo dichiarato o dissimulato. Non, però, tutto lo scetticismo così dissimulato né ogni teoria della ragion etica, che si annulla da sé a causa di simili assurdità, è un naturalismo nel significato descritto. Si può senz’altro descrivere quindi l’empirismo, così come lo rappresenta la maggioranza dei moralisti del sentimento e soprattutto un uomo come Shaftesbury, dicendo che darebbe allo psichico un altro significato, spiegandolo nei termini di un meccanismo di elementi psichici. D’altra parte, però, esso è in senso più ampio un naturalismo, nella misura in cui la fonte di tutti i concetti normativi etici viene cercata nella peculiarità empirica della natura umana, e l’etica viene così fondata in senso antropologico e psicologico. Non ogni psicologismo è dello stesso tipo, nè ogni psicologia naturalista naturalizza la psiche nel modo descritto. Purtroppo manca a tal fine un nome caratteristico, tanto più che il termine «sensualismo» potrebbe anche adattarsi a psicologi come Hume, Hartley, i due Mill, ma a sua volta è ambiguo e non si adatta a tutte le psicologie scientifico-naturali, non, ad esempio, a quella di Herbart.
«Psicologista» si chiama in generale ogni dottrina, che fonda sulla psicologia la logica, l’etica e qualunque scienza normativa della ragion pura, che, quindi, nelle norme logiche, assiologiche ed etiche, anche in quelle per principio supreme, vede solo espressioni di fatti della vita psichica umana. Ogni etica e dottrina psicologista della ragione in generale è empirista; l’empirismo, però, esprime quel che c’è di più universale, ossia che queste scienze sono scienze empiriche, che le loro proposizioni fondamentali sono in generale espressioni di dati di fatto empiricamente universali, risiedano poi questi nella psicologia o nella comune biologia empirica e nelle altre scienze della natura. Se, all’opposto, s’intende con razionalista ogni dottrina, che interpreta le scienze della ragione non empiricamente, ma come una scienza puramente razionale, a priori, allora, secondo la concezione opposta che in questo contesto è venuta emergendo, ogni etica autentica, come la logica e la dottrina dei valori, è razionale e il razionalismo è l’unica dottrina possibile. Bisogna tuttavia notare che il razionalismo storico, [p. 128] sebbene abbia di mira sempre ciò che è vero, ai nostri giorni si è talmente mescolato con oscure interpretazioni metafisiche e così spesso con concezioni dell’essenza di una scienza pura che vanno in generale ben oltre la meta stabilita, che dobbiamo aver cura di tenercene alla larga. Storicamente l’empirismo tende a negare in generale ogni scienza a priori e a reputare qualsiasi a priori una mitologia concettuale, come viceversa il razionalismo storico tende a giudicare tutte le scienze pure e metodologicamente compiute come delle scienze a priori e quindi a considerare le scienze empiriche solo come livelli inferiori provvisori, come inevitabili stadi preliminari incompiuti di ciò che è razionale. Quindi, ad esempio, Spinoza e Wolff sono razionalisti estremi, mentre i Mill empiristi estremi.
Il grande conflitto, che dalla fine del XVII secolo in poi si è protratto, sotto il nome di scontro tra morale della ragione e morale del sentimento, fino a Kant e che, ai nostri giorni di rinnovate battaglie tra antichi motivi, si continua a combattere sotto nuovi nomi, non è nient’altro che la forma storica, in cui viene affrontata la lotta per un’etica razionale o per una empirico-antropologica. Si tratta del grande scontro per il metodo vero, è lo scontro per il senso autentico dei principi etici, secondo concetti e proposizioni fondamentali, correlativamente per la corretta interpretazione delle fonti soggettive corrispondenti, che danno senso a questi principi e ne chiariscono la validità; ma, infine, è lo scontro per il senso di tali questioni originarie. Questo significa perlomeno che, se prendiamo nella pura generalità il concetto di etica del sentimento, si tratta di quell’etica che vede nel sentimento la fonte soggettiva originaria dei principi etici e allo stesso tempo ritiene quindi di dovere intendere questi principi come espressioni di una fattualità empirico-antropologica. Allora, anche l’etica edonista, qualunque sia la sua forma (quindi anche l’etica di Hartley e Mill), è un’etica del sentimento. Ad essa seguono a ruota, però, altre forme, che abitualmente si conoscono soprattutto con il nome di «etica del sentimento», ossia quelle forme che si volgono polemicamente contro ogni tipo di edonismo e, per ciò che è etico, per ciò che intendono sia morale, ricorrono a qualcosa che ha un senso specificamente morale con sentimenti specificamente morali. Secondo loro, l’agire in base a ragioni edoniste è in parte amorale, in parte immorale.

28.
Il parallelismo di Cudworth tra verità matematiche ed etiche.
Il razionalismo non distingue tra ragione giudicante e desiderante
e finisce in un erroneo intellettualismo

[p. 129] Lo scontro ha inizio come reazione storica alla negazione hobbesiana di tutto ciò che è specificamente morale, ossia di tutte le virtù di un autentico altruismo. Avanza così la reazione razionalista e con essa la fondazione del razionalismo etico in generale nella filosofia moderna, ciò che avviene nella cosiddetta Scuola di Cambridge. Si tratta di un effetto seguito al generale, esaltato quanto nebuloso ritorno al platonismo che si ebbe nel Rinascimento. Quel che è significativo, quindi, è che Platone, il capostipite di tutto il razionalismo rivive. Come massimi rappresentanti della Scuola di Cambridge bisogna nominare Ralph Cudworth (1617-1688) e Henry More (1614-1687). La caratteristica principale del razionalismo etico emerge con nettezza in una serie di asserzioni di Cudworth, e tuttavia dobbiamo prescindere dalle sue versioni dettagliate e da tutta la metafisica mistico-religiosa, in cui queste si collocano. Si afferma ad esempio: «Dantur boni et mali rationes aeternae et indispensabiles»2. In Cudworth emerge già la peculiarità del razionalismo, che mantiene il parallelismo tra l’etico e il matematico. «Le verità matematiche rimangono ciò che sono, poco importa se il nostro spirito vi si riferisce oppure no; non sono state create dai pensatori che se ne occupano, ma esisterebbero in sé, anche se tutte le cognizioni geometriche andassero perse, così come accade con i principi dell’eticità. Anche questi non sono qualcosa di mutevole, non sono un prodotto dello spirito, bensì espressioni di un’essenzialità immutabile, che era data prima che il mondo e gli spiriti fossero creati e che continuerebbe ad esistere, anche se tutto questo mondo corporeo e spirituale andasse in rovina»3.
[p. 130] Proposizioni siffatte sono già del più grande valore grazie all’ottima trattazione dell’idealità sovraempirica delle verità matematiche, per quanto esse stesse rinnovino solo un’antica scoperta platonica. Ricordano oltretutto le parallele dottrine medievali, come quella tomistica, secondo la quale quel che è eticamente bene (come quel che è logicamente vero) non è bene (o vero), perché Dio lo esige e ha così arbitrariamente stabilito, ma Dio lo esige, perché esso è bene in sé, è vero in sé. Il vero è vero in sé, il bene è bene in sé, e Dio, in quanto Essere assolutamente perfetto, non può far altro che riconoscerlo come tale e quindi esigerlo.
È altresì molto interessante, il modo in cui Cudworth ha compreso in anticipo il pericolo della tendenza, che proprio allora nasceva, verso il sensualismo, contro la quale ha argomentato per tempo, e il modo in cui ha cercato di dimostrare in quest’occasione l’attività propria dello spirito nella ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione di Francesco Saverio Trincia
  2. Cronologia della vita e delle opere
  3. Nota al testo
  4. Capitolo primo. Definizione sistematica introduttiva e delimitazione del concetto di etica
  5. Capitolo secondo. Le posizioni fondamentali dell’etica degli antichi e uno sguardo generale sull’etica moderna
  6. Capitolo terzo. L’etica e la filosofia politica di Hobbes e il suo principio egoistico dell’autoconservazione
  7. Capitolo quarto. Confronto critico con l’etica edonista: l’edonismo come scetticismo etico
  8. Capitolo quinto. L’edonismo come egoismoin alcune posizioni dell’etica moderna
  9. Capitolo sesto. Le legalità peculiari dello sviluppo dell’essere spirituale. Il regno della motivazione
  10. Capitolo settimo. La lotta tra i moralisti della ragione e quelli del sentimento nel XVII secolo
  11. Capitolo ottavo. La filosofia morale empirica di Hume
  12. Capitolo nono. L’etica kantiana della ragion pura
  13. Capitolo decimo. La prospettiva di un’etica della miglior vita possibile fondata sulla volontà